Ispiratore delle correnti filosofiche esistenzialiste ed impossibile da schematizzare con formule scientifiche o pseudoscientifiche così care al dominante pensiero positivista del periodo, Fëdor Michajlovič Dostoevskij conduce la sua esistenza in una Russia zarista ancora lontana dal divampare dell’espressionismo artistico e dai suoi sforzi di catturare l’uomo nei suoi sfuggenti recessi interiori. Tuttavia i personaggi che si muovono nei suoi romanzi mostrano, a differenza di quelli creati da Tolstoj, a cui viene spesso paragonato, una profonda inquietudine spirituale che racchiude nello stesso uomo una combinazione di personalità contrastanti che sfocia in un’incolmabile tensione emotiva donandoci pagine di elevata bellezza ed eleganza. La sua esistenza, colma di dolori apparentemente sconfitti, avrà sicuramente contribuito a far sì che in lui esplodesse quell’energia creativa che divamperà in romanzi ancora oggi estremamente attuali per quegli interrogativi destinati a rimanere sospesi nell’animo umano.
Nelle sue opere, particolarmente dettagliate nella descrizione degli ambienti, ma mai prolisse e ripetitive, si rileva l’importanza che lo scrittore attribuisce ai dialoghi in cui emerge con forza il tormento interiore dei suoi personaggi. Il suo è uno stile molto originale ed appassionante per la sua abilità ammirevole di rendere il lettore partecipe alla narrazione e dandogli quasi la sensazione di essere lui stesso a raccontare la storia.
Alcolisti, prostitute, contadini che diventano operai, uomini costretti a condurre un’esistenza infame che si trasformano in ribelli violenti e nichilisti sono i protagonisti assoluti delle opere di Dostoevskij. Tuttavia nello scrittore russo questi personaggi vengono delineati in modo differente da Émile Zola ; si assiste infatti ad una ricerca incessante della spiritualità insita nell’uomo dotato di libero arbitrio e quindi capace di scegliere.
Da qui nasce la tragedia esistenziale dei suoi personaggi.
Le frasi da loro usate sono brevi e frammentarie e si riscontra una ripetizione quasi maniacale del pronome personale di prima persona singolare; quell’io ripetuto fino allo spasimo sembrerebbe evidenziare un profondo senso di colpa insito nello stesso scrittore e che lo accompagnerà per tutta la vita. Non bisogna dimenticare che, oltre ad Heidegger e a Bergson, la lettura approfondita delle sue opere influenza anche la formazione culturale di Freud, cui dedicherà un saggio per analizzare la personalità autodistruttiva e nevrotica dello scrittore. La sensazione percepita dal lettore di Dostoevkij è quella di assistere ad un colloquio psicoanalitico in cui il paziente si abbandona senza alcun freno inibitorio e trasmette i suoi pensieri tramite libere associazioni di idee, continue oscillazioni d’animo e tendenze ossessive.
Il grande scrittore russo nasce a Mosca l’undici novembre del 1821 da un padre dispotico e violento che svolge la professione di medico presso l’ospedale dei poveri in uno dei quartieri più degradati della città, e da una madre dalla personalità mite e allegra che trasmette al figlio l’amore per la lettura e la musica.
Secondo di sette figli, Fëdor ed i suoi fratelli trascorrono un’infanzia molto infelice e la madre, debilitata da numerose gravidanze e dalla tubercolosi, si spegne nel 1837, pochi anni dopo l’abbandono della casa del futuro scrittore, allontanatosi per portare a termine gli studi.
A causa delle continue insistenze del padre acconsente ad effettuare la domanda di ammissione alla Scuola Superiore di Ingegneria di Pietroburgo, dove si trasferisce nel 1838.
L’anno seguente il padre viene ucciso dai propri servi, esausti dai comportamenti autoritari nei loro confronti e, quando il giovane Fëdor apprende la notizia, viene colto dal primo attacco di epilessia, malattia che segnerà la sua esistenza. E proprio ispirandosi alla figura oppressiva di quel padre da lui profondamente detestato prenderà vita l’ultimo romanzo dello scrittore (1878-1880), “I fratelli Karamazov“.
La morte violenta del padre, quel padre da lui odiato e di cui ne aveva più volte augurato la morte fa sorgere nell’animo di Dostoevskij un perenne senso di colpa che lo porta ad un’autopunizione inconscia talmente potente da far sì che la frequenza dei suoi malori si accresca ogni giorno di più.
A Pietroburgo studia con scarso impegno Ingegneria Militare dal 1838 al 1843, coltivando invece con passione il suo vero interesse, la letteratura.
Divora avidamente moltissimi libri tra cui le opere scritte da Hoffmann, Goethe, Hugo, Puškin e Schiller. Gogol e Balzac cattureranno maggiormente il suo interesse e di quest’ultimo traduce, ad appena ventidue anni, “Eugénie Grandet”.
Terminati gli studi, ottiene il grado di ufficiale ed un impiego malpagato come cartografo. Nonostante lo stipendio non gli consenta di poter vivere dignitosamente, s’incammina verso la strada, spesso senza ritorno, del vizio del gioco che lo induce a peregrinare da un casinò all’altro e a giocare rischiosamente. Tale vizio s’insinua in lui non per amore del denaro, ma per una passione nei confronti del gioco per se stesso; non gli interessa accumulare soldi e non è nemmeno in grado di gestirli. La sua generosità illimitata ed i continui debiti contratti, con conseguenti incontri con quella parte di umanità più abietta, lo porteranno a nutrire un odio assoluto verso gli impassibili borghesi, i commercianti, gli usurai, i possidenti ed i risparmiatori.
Ne “Il Giocatore” delinea egregiamente quel masochismo derivato dai profondi sensi di colpa che attanagliano la sua vita e che sorgono da quella profonda fede, sebbene si sia sempre definito agnostico, facilmente riscontrabile nel suo massimo capolavoro già citato “I fratelli Karamàzov“.
Una fede che nasce dal dubbio e dal perenne conflitto tra dogma e razionalità, etica e libero arbitrio.
Nel 1844 viene destinato ad una missione militare, ma decide di dimettersi da tale incarico. Da quel momento in poi dedica la sua vita alla scrittura.
Il suo primo racconto “Povera gente” (1846) viene osannato dalla critica e gli spalanca le porte agli ambienti culturali più esclusivi di Mosca.
E già in questo primo romanzo breve vengono anticipati i soggetti che saranno ritratti nella successiva produzione letteraria dello scrittore. Personaggi dilaniati da una febbrile tensione si agitano in un ambiente cupo che lascia presagire un’imminente catastrofe.
La trama è complessa, gesti e dialoghi s’impongono sul paesaggio lasciando spazio ad un’atmosfera rarefatta di piccole abitazioni ammuffite, osterie e stradine sudice illuminate debolmente dalla presenza, quando ciò avviene, di tiepide luci provenienti da sporchi fanali.
I personaggi di Dostoevskij sarebbero oggi definiti affetti da bipolarismo, così come sarebbe accaduto allo stesso scrittore, probabilmente poi imbottito di psicofarmaci che gli avrebbero impedito di esprimere la sua grandezza nel ritrarre quella difficoltà di afferrare l’animo umano ed anche se stessi.
Personaggi candidi che sono in grado di tormentare crudelmente gli altri e figure malvagie capaci d’impietosirsi. Il dualismo dell’essere umano sarà ricorrente nelle sue opere così come quel desiderio di riabilitazione congiunto ad un folle e fanatico amore per la vita. E l’uomo può giungere al divino e alla grazia solo attraverso l’amore. Una grazia elargita per lo più al cosiddetto “peccatore” perché ha più penato e non è in grado di redimersi. L’uomo si trova su questa terra non per raggiungere una pacata felicità, ma per quel compiacimento sovrumano della salvezza divina, espiato con la sofferenza, la disperazione, lo smarrimento ed il dolore.
Lo stesso successo riscontrato nella pubblicazione di “Povera gente” non si ripete con “Il sosia” (1847) che intiepidisce l’animo di chi aveva gridato al “nuovo Gogol“.
L’incontro con Michail Petrasevskij, coetaneo dello scrittore e deciso assertore del socialismo di Fourier, influenzerà il pensiero di Dostoevskij che frequenterà le riunioni organizzate dall’amico in modo assiduo.
Il nostro sognatore subisce il fascino dell’idea di una società in cui a tutti vengano garantite le stesse opportunità, ma rigetterà sempre l’idea di una rivoluzione violenta; il suo socialismo non condivide le posizioni estremiste dell’amico, ma si limita a navigare in quel sogno di uguaglianza, abolizione della servitù della gleba, scomparsa della sopraffazione e sconfitta della povertà.
Nel 1848, vengono pubblicati i suoi racconti “La padrona“, “Un cuore debole“, “Polzunkov“, “Le notti bianche” e “L’eterno marito“.
L’anno seguente escono le le prime due parti di “Netocka Nezvanova” e la terza parte verrà pubblicata senza la sua firma dopo il suo clamoroso arresto avvenuto il 25 aprile.
L’accusa che gli viene mossa è quella di cospirazione per aver frequentato le riunioni tenutesi al circolo “sovversivo” dell’amico Petrasevskij e per tale ragione viene condannato a morte insieme ad altri venti imputati. È già pronto per la fucilazione quando arriva la notizia della grazia, puntualmente concessa dallo zar Nicola I per mostrare al popolo la sua presunta “grandezza”. La pena viene commutata in quattro anni di lavori forzati in Siberia in un campo di prigionia situato ad Omsk, in compagnia di detenuti di vario genere con storie diverse che forniranno allo scrittore materiale per il suo successivo libro “Memorie di una casa di morti” (1862).
L’esperienza vissuta in quegli anni si traduce in un tormentato percorso spirituale che matura in una visione profondamente cristiana delle relazioni umane. Così scrive in una lettera in quei duri anni: «Se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità ed effettivamente risultasse che la verità è fuori dal Cristo, io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità».
Parole simili saranno pronunciate nel 1871 dal protagonista di “Demoni” convinto della missione affidata al popolo russo, simbolo di un ideale di purezza spirituale che si pone in antitesi al materialismo del mondo occidentale.
Quando è finalmente libero, fa ritorno a Pietroburgo e fonda insieme ad uno dei suoi fratelli una rivista che sarà presto chiusa. Il vizio del gioco non lo abbandona e comincerà a viaggiare in Europa girando vari casinò, nonostante la moglie Marija Dmitrievna sia affetta da tisi e le sue condizioni di salute peggiorino ogni giorno di più.
Lo scrittore viaggia non solo per girovagare nelle sale da gioco, ma anche per incontrarsi a Parigi con la giovane intellettuale Apollinarijia Suslova da lui profondamente amata da anni.
La relazione, piuttosto burrascosa e che si trascinava da anni, s’interrompe a causa dell’infatuazione della donna per un altro uomo, nonostante i tentativi di Dostoevskij di riconquistarne l’amore; la conduce con sé in un lungo viaggio e mostra la sua fragilità in quell’ inarrestabile passione per il gioco.
Apollinarija lo abbandonerà definitivamente e l’uomo sarà poi salvato in extremis dalla stessa amante che provvederà a pagare i debiti da lui contratti.
Si reca a Mosca e fonda un’altra rivista insieme al fratello.
Si apre un’altra fase della sua produzione letteraria che vede la nascita di grandi romanzi.
Proprio mentre lo scrittore comincia a pubblicare le prime puntate del torbido libro “Memorie dal sottosuolo” (1864), si spegne Marija che, nonostante il matrimonio fallito, era stata molto amata da Dostoevskij.
L’uomo torna a Pietroburgo, continua a scrivere il libro appena iniziato e pubblica anche “Umiliati e offesi” (1861) in cui si scorgono tutte le contrastanti sfaccettature di coloro che si pongono in quella linea di demarcazione sospesa tra il bene ed il male, senza tuttavia prendere la decisione definitiva di varcarne una delle due.
Molto interessante per cercare di comprendere il pensiero dell’autore è indubbiamente “Memorie del sottosuolo“.
Chi è l’uomo del sottosuolo?
L’uomo del sottosuolo è un individuo che ricorrerà spesso nei romanzi dello scrittore: è un uomo smarrito e sordido alla ricerca di qualcosa che riesca ad illuminare la propria esistenza e che analizza in modo impietoso le sue antinomie e grettezze. Un impiegato a disagio con se stesso ed incapace di instaurare delle relazioni con la società. Dopo un litigio durante una cena d’onore, fallirà pure il tentativo ridicolo ed ambiguo di redimere una prostituta.
Ed in quel sottosuolo di un uomo che indaga su stesso ossessivamente scovando tutti i suoi lati oscuri bisognerebbe rimarcare la vicinanza notevole alle teorie di Freud sulla penetrazione profonda del proprio io per poter superare o convivere con le proprie macerazioni interiori.
Il protagonista non riesce a trovare delle risposte nella propria incapacità di vivere e quel sottosuolo in cui si allontana dagli altri è un luogo infimo in cui tenta di nascondere la sua angoscia di vivere.
Un romanzo che rappresenta quasi una sintesi del pensiero di Dostoevskij sull’illogicità delle azioni umane di cui non riesce a comprenderne le motivazioni.
Anticipatore di Freud, ma anche di Nietzsche, il protagonista è una figura vigorosa che vive seguendo la propria volontà. Quest’uomo altezzoso si rinchiude in un sottosuolo per difendersi da quell’umanità “normale” a lui incomprensibile. Quando esce dalla sua tana si costruisce un mondo di sogni che cozza spietatamente con la realtà e preferisce, dunque, essere nuovamente inghiottito dal proprio sottosuolo.
La civiltà occidentale lo ha trasformato in un essere senza radici e privo di personalità; «né cattivo né buono, né eroe né insetto“, è privo di conoscenze riguardo il mondo che lo circonda, eppure mostra più criterio di coloro con cui viene in contatto mettendo in risalto con esempi tangibili quanto sia errato ricondurre l’uomo a verità razionali condivise dai più.
Il libro è suddiviso in due parti. La prima parte intitolata “Il sottosuolo” ritrae la psicologia di questo individuo sotto forma di monologo confessione. Nella seconda parte, “A proposito della neve bagnata“, il protagonista infierisce su una giovane prostituta. ai suoi occhi più miserabile di lui, che mostra una purezza interiore, nonostante la violenza psicologica che l’uomo le infligge, preservando una dignità che il topo del sottosuolo non potrà mai sognare di raggiungere.
Nel 1866 lo scrittore è costretto ad assumere una stenografa di appena vent’anni, Anna Grigor’evna Snitkina, perché schiacciato dai debiti, firma in maniera avventata un contratto che lo costringe a consegnare entro poco tempo un romanzo. Se ciò non fosse avvenuto, Dostoevskij avrebbe dovuto cedere a tale editore i diritti di tutte le sue opere. Pressato da tale scadenza affida alla giovane stenografa il compito di registrare e trascrivere il suo nuovo romanzo.
L’obiettivo viene portato a compimento ed in soli ventisei giorni prende vita “Il giocatore“.
Il romanzo avrà successo e nello stesso anno Anna e Fëdor convolano a nozze.
Nonostante il temperamento difficile dello scrittore, la ragazza riesce a comprendere l’animo del marito e quelle momentanee abulie con cui spesso è costretto a fare i conti e della cui natura sembra non conoscerne la causa:«è un tipo di tristezza senza oggetto, come se avessi commesso un delitto».
Quale delitto ha commesso Dostoevskij? La risposta è dentro di lui, in quella sua continua tristezza che emerge particolarmente nel romanzo “Demoni” in cui il protagonista è colpevole di uno stupro su una bambina. Quanto dello scrittore vi è in Stavroghin di “Demoni“?
Probabilmente la storia è solamente nata dalla sua fantasia, sebbene alcuni studiosi abbiano insinuato il sospetto di certe tendenze sessuali aberranti di Fëdor. Solo di una cosa possiamo esser certi: il suo logorio interiore non riesce a dargli un attimo di tregua e fiacca sempre di più il suo fisico.
Pur subendo altri terribili dolori, tra cui la morte della figlia, seguiterà a scrivere anche durante i periodi in cui, a causa dei debiti di gioco, è costretto a lasciare la Russia. Tra gli altri suoi romanzi di quel periodo, insieme a “Il giocatore“, bisogna annoverare “Delitto e castigo” e “L’idiota”.
Nel 1871 fa ritorno in Russia e collabora con una rivista conservatrice di Mescerskij, “Il cittadino”, in cui pubblica altri due romanzi: “L’adolescente“ ed il già citato “I fratelli Karamazov”.
Ne “L’adolescente” il protagonista è un ragazzo ventenne che con candore narra ciò che gli è successo un anno prima e prova vergogna per quegli eccessi che daranno però poi vita ad un nuovo modo d’intendere quel percorso verso la maturazione di sé.
Ne “I fratelli Karamazov”, suo romanzo-testamento, completato qualche mese prima di morire, emerge tutto il pensiero filosofico di Dostoevskij, in cui le tematiche inerenti il conflitto tra bene e male e la questione religiosa vengono magistralmente trattati dal nostro scrittore che si spegnerà in quella odiata Pietroburgo, sfondo della maggior parte dei suoi romanzi, il 9 febbraio del 1881 a causa di un enfisema polmonare.
Così la grandezza di Dostoevskij verrà descritta da Hermann Hesse: «Dobbiamo leggere Dostoevskij quando ci sentiamo a terra, quando abbiamo sofferto sino ai limiti del tollerabile e tutta la vita ci duole come un’unica piaga bruciante e cocente, quando respiriamo la disperazione e siamo morti di mille morti sconsolate. Allora, nel momento in cui, soli e paralizzati in mezzo allo squallore, volgiamo lo sguardo alla vita e non la comprendiamo nella sua splendida, selvaggia crudeltà e non ne vogliamo più sapere, allora, ecco, siamo maturi per la musica di questo terribile e magnifico poeta.»
Di seguito alcune citazioni di questo grande scrittore dalle immense capacità introspettive. Non poche saranno le opere dedicate alla genialità dei suoi scritti ed alla sua personalità sfuggente e spesso ambigua.
Fintanto che ciascun uomo non sarà diventato veramente fratello del suo prossimo, la fratellanza non avrà inizio. Nessuna scienza e nessun interesse comune potrà indurre gli uomini a dividere equamente proprietà e diritti. Qualunque cosa sarà sempre troppo poco per ognuno e tutti si lamenteranno, si invidieranno e si ammazzeranno l’un l’altro.
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L’assassinio legale è incomparabilmente più orrendo dell’assassinio brigantesco. Chi è assalito dai briganti, chi è sgozzato di notte spera di potersi salvare fino all’ultimo momento. Tutta quest’ultima speranza, con la quale è dieci volte più facile morire, viene tolta con certezza dalla condanna a morte.
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A volte l’uomo è straordinariamente, appassionatamente innamorato della sofferenza.
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Ama la vita più della sua logica, solo allora ne capirai il senso.
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I sogni, sappiamo, sono davvero strani: qualcosa magari ci appare straordinariamente chiara, minuziosa come la cesellatura di un orafo, su altre cose invece si passa sopra senza notarle neppure come ad esempio lo spazio ed il tempo. Credo che i sogni nascano non dalla ragione, ma dal desiderio, non dalla testa, ma dal cuore, anche se la mia ragione in sogno si è esibita qualche volta in ingegnosi voli non da poco. Certo è che in sogno accadono cose del tutto incomprensibili. Mio fratello, ad esempio, è morto cinque anni fa, qualche volta lo sogno: egli prende parte alle cose della mia vita, siamo molto interessati l’uno all’altro, ma intanto, durante tutto lo svolgimento del sogno, io sono pienamente cosciente che mio fratello è morto e sepolto. […] E va bene, ammettiamolo pure, è un sogno, ma questa vita che viene tanto esaltata, io volevo finirla suicidandomi, invece il mio sogno, oh! Esso mi ha indicato una vita nuova.
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Il poeta, quando è rapito dall’ispirazione, intuisce Dio.
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L’umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui.
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La malattia e l’umore morboso stanno alla radice della nostra stessa società, e intanto chi osa notarlo e indicarlo ha subito contro di sé lo sdegno generale.
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Invano il sognatore rovista nei suoi vecchi sogni, come fra la cenere, cercandovi una piccola scintilla per soffiarci sopra e riscaldare con il fuoco rinnovato il proprio cuore freddo, e far risorgere ciò che prima gli era così caro, che commuoveva la sua anima, che gli faceva ribollire il sangue, da strappargli le lacrime dagli occhi, così ingannandolo meravigliosamente.
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Il tuo amore è sceso su di me come un dono divino, inatteso, improvviso, dopo tanta stanchezza e disperazione.
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Non c’è nulla di più bello, di più profondo, di più ragionevole, di più coraggioso e di più perfetto di Cristo, e non solo non c’è, ma non può esserci. A tal punto che si mi si dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità ed effettivamente risultasse che la verità è fuori da Cristo, io preferirei restare con Cristo anziché con la verità.
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Amate gli animali: Dio ha donato loro i rudimenti del pensiero e una gioia imperturbata. Non siate voi a turbarla, non li maltrattate, non privateli della loro gioia, non contrastate il pensiero divino. Uomo, non ti vantare di superiorità nei confronti degli animali: essi sono senza peccato, mentre tu, con tutta la tua grandezza, insozzi la terra con la tua comparsa su di essa e lasci la tua orma putrida dietro di te; purtroppo questo è vero per quasi tutti noi.
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Tutte le cose e tutto nel mondo è incompiuto, per l’uomo, e nel frattempo il significato di tutte le cose del mondo è racchiuso dell’uomo stesso.
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Per un dolore vero, autentico, anche gli imbecilli sono diventati qualche volta intelligenti. Questo sa fare il dolore.
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Ogni uomo ha dei ricordi che racconterebbe solo agli amici. Ha anche cose nella mente che non rivelerebbe neanche agli amici, ma solo a se stesso, e in segreto. Ma ci sono altre cose che un uomo ha paura di rivelare persino a se stesso, e ogni uomo perbene ha un certo numero di cose del genere accantonate nella mente.
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Non passione ci vuole, ma compassione, capacità cioè di estrarre dall’altro la radice prima del suo dolore e di farla propria senza esitazione.
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La gente spesso parla di crudeltà “bestiale” dell’uomo, ma questo è terribilmente ingiusto e offensivo per le bestie: un animale non potrebbe mai essere crudele quanto un uomo, crudele in maniera così artistica e creativa.
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L’ateismo si limita a predicare il nulla; il Cattolicesimo va oltre, e predica un Cristo travisato, un Cristo calunniato e oltraggiato, un Cristo che è l’antitesi del Figlio di Dio. Il Cattolicesimo predica l’Anticristo, ve lo assicuro, ve lo giuro! Questa è la mia opinione personale e io so quanto ho sofferto nel rendermene conto! Il Cattolicesimo romano crede e proclama che, senza un potere temporale capace di abbracciare tutta la terra, la Chiesa non possa sussistere… Non possumus! No, il Cattolicesimo romano non è una religione, è la continuazione dell’Impero Romano d’Occidente. Nel Cattolicesimo, infatti, tutto è subordinato a questa idea. Il Papa si è impadronito della terra, ha occupato un trono terrestre, ha impugnato la spada e si è circondato di un seguito composto da menzogne, intrighi, imposture, fanatismi, superstizioni e scelleratezze. Nelle mani della Chiesa di Roma, i più sacri, i più ingenui e i più giusti sentimenti popolari sono diventati delle armi. Roma ha fatto tutto questo per denaro, con il solo scopo di consolidare il suo dominio terreno. E che cos’é questa se non la dottrina dell’Anticristo?”
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Incontriamo a volte persone che non conosciamo affatto, ma che destano in noi subito, fin dal primo sguardo e, per così dire, di colpo, un grande interessamento, sebbene non si sia scambiata ancora una sola parola.
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Per quanto sia ridicolo che io mi aspetti tanto dalla roulette, mi sembra ancora più ridicola l’opinione corrente, da tutti accettata, che è assurdo e stupido aspettarsi qualcosa dal gioco. Perché il gioco dovrebbe essere peggiore di qualsiasi altro mezzo per far quattrini come, per esempio, del commercio? Vero è che, su cento, uno solo vince, ma a me che importa?
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Se avessi voluto aspettare che tutti fossero diventati intelligenti, sarebbe passato troppo tempo… Poi ho capito anche che questo momento non sarebbe arrivato mai, che gli uomini non cambieranno mai e che nessuno riuscirà a trasformarli e che tentar di migliorarli sarebbe fatica sprecata!
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Chi non desidera la morte di suo padre?
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L’uomo è infelice perché non sa di essere felice. Se qualcuno lo scoprisse diventerebbe immediatamente felice.
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La razza umana non ha riconosciuto il suo profeta, e l’ha ucciso, ma ama i suoi martiri.
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L’uomo migliore è quello che non si è mai inchinato di fronte a una tentazione materiale.
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L’amore è un tesoro così inestimabile che con esso puoi redimere tutto il mondo e riscattare non solo i tuoi peccati ma anche i peccati degli altri.
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Il sognatore non è un uomo ma una specie di essere neutro. Si stabilisce prevalentemente in un angolino inaccessibile, come se volesse nascondersi perfino dalla luce del giorno, e ogni volta che si addentra nel suo angolino, vi aderisce come la chiocciola al guscio, e diventa simile a quell’animale divertente chiamato tartaruga, che è nello stesso tempo un animale e una casa.
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L’uomo è una creatura particolare, frivola, e come un giocatore di scacchi si preoccupa più del procedimento nel perseguire il proprio obiettivo che dell’obiettivo in se stesso.
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A un proprietario sfaccendato, carico di denaro, poteva anche sembrare naturale che l’intelligenza si comprasse al mercato, specialmente in un paese come la Svizzera.
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Non c’è nulla di più irritante che essere ricco, di buona famiglia, avvenente, colto, intelligente e perfino buono e, al tempo stesso, non possedere nessuna attitudine speciale, nessuna originalità o almeno un’idea che possa dirsi veramente personale.
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Perché per punire un uomo di avere ucciso, lo uccidono?
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Se il diavolo non esiste ma l’ha creato l’uomo, credo che egli l’abbia creato a propria immagine e somiglianza.
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Ciascuno saprà di essere mortale, senza possibilità di resurrezione, e accetterà la morte con fierezza e tranquillità, come un dio. Il suo orgoglio gli insegnerà che è inutile stare a lamentarsi del fatto che la vita sia solo un attimo, ed egli amerà suo fratello senza alcuna promessa di ricompensa.
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Quando un uomo ha grossi problemi dovrebbe rivolgersi ad un bambino; sono loro, in un modo o nell’altro, a possedere il sogno e la libertà.
***
Anche senza credere in Dio si possono amare gli uomini.
***
La sofferenza, il dolore sono l’inevitabile dovere di una coscienza generosa e d’un cuore profondo. Gli uomini veramente grandi, credo, debbono provare su questa terra una grande tristezza.
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Era un membro di quella innumerevole e svariata legione di menti piatte, di aborti informi, di stravaganti, che non hanno completato nessuna specie di studi, che s’affrettano ad accodarsi all’idea più di moda, per involgarirla, per farne immediatamente la caricatura di tutti gli ideali a cui essi si son talvolta dedicati con sincerissimo slancio.
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L’uomo ha tanta passione per il sistema e la deduzione astratta, che è disposto ad alterare deliberatamente la verità, è disposto a non vedere e non sentire, pur di giustificare la propria logica.
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Bisogna essere troppo bassamente innamorati di sé per scrivere senza vergogna della propria persona.
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Il bisogno d’amare, d’amare in misura infinita porterà l’uomo a Dio.
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Un attimo di vera beatitudine! È forse poco per riempire tutta la vita di un uomo?
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Un dolore autentico, indiscutibile, è capace di rendere talvolta serio e forte, sia pure per poco tempo, anche un uomo fenomenalmente leggero; non solo, ma per un dolore vero, sincero, anche gli imbecilli son diventati qualche volta intelligenti, pure, ben inteso, per qualche tempo.
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Tutti gli uomini immediati e d’azione sono attivi proprio perché ottusi e limitati.
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Articolo molto interessante, sopratutto per quanto concerne il paragone con Nietzsche, filosofo che meriterebbe una rilettura. L’uomo occidentale rappresentato da Dostoevskij e da Nietzsche è un uomo che rifiuta quei valori fasulli e ambigui che gli sono stati imposti. Li vede come una sorta di tradimento. Entrambi indagano sulle stesse dinamiche, ma vi è una sostanziale differenza tra i due filosofi.Sì, anche Dostoevskij è un filosofo, secondo me. Comunque, dicevo che la loro indagine li accomuna ed entrambi sono annientati da quel senso di impotenza e schiacciamento. Però Nietzsche ha una forza esplosiva che manca a Dostoevskij; l’uomo di Dostoevskij si corrode internamente,si logora. Nietzsche esplode nel superbo Superuomo e prende le distanze dagli altri esseri umani. L’uomo di Dostoevskij esplode nei dialoghi, ma in fondo non urla come il Superuomo. Lo scopo di Dostoevskij è quello di prendere per mano il lettore e condurlo a ciò che lui considera veritiero. Vorrebbe forse aiutarlo, sebbene lo faccia anche Nietzsche, a trovare un senso all’illogicità della vita. Comunque, secondo me, la vita non ha proprio nulla di logico. Siamo qui per caso e andremo via dopo tanti patimenti cercando invano una risposta al senso della vita.
[…] Niente al mondo è più difficile della franchezza e niente è più facile dell’adulazione. Fëdor Dostoevskij *** L’adulatore è un essere che non ha stima né degli altri, né di sé stesso. Egli aspira […]
[…] La lettura gli tiene compagnia in quei duri anni, in particolar modo quella di Proust, di Dostoevskij e di Joyce e, quando guarisce, a diciassette anni, la malattia ha già profondamente segnato la […]
[…] giungla. Kipling si può considerare un vagabondo della vita. Non nutre le stesse ambizioni di un Dostoevskij, non è interessato ad una rappresentazione critica del mondo e della natura umana; vuole […]
[…] e gridare forte semplicemente i nomi degli autori che ama. Io amo Kafka, Flaubert, Tolstoj, Cechov, Dostoevskij, Proust, O’Casey, Rilke, Garcìa Lorca, Keats, Rimbaud, Burns, Brönte, Austen, Henry James, […]
[…] rapporto contenuto nell’espressione dostoievschiana di “umiliati e offesi”. In Dostoevskij c’è potente il sentimento nazionale-popolare, cioè la coscienza di una missione degli […]
[…] La sua produzione letteraria influenzerà profondamente i più grandi scrittori russi e lo stesso Dostoevskij affermerà, riferendosi alla sua generazione di intellettuali, che «siamo tutti usciti dal […]
[…] problemi dovrebbe rivolgersi ad un bambino; sono loro a possedere il sogno e la libertà.Fëdor DostoevskijImmagine reperita nel […]
[…] discenti e collaboratori nelle maggiori corti europee. Impossibile non condividere le parole di Fëdor Michajlovič Dostoevskij sulla maestria di questo immenso artista: «Dalle sue mani sono uscite cose […]
[…] Fëdor Michajlovič Dostoevskij, biografia, stile, pensiero, opere e citazioni says: 30/10/2015 at 13:30 […]
[…] Fonte: http://www.lacapannadelsilenzio.it […]
[…] ardere il sangue, che gli strappava le lacrime dagli occhi e lo illudeva meravigliosamente. “Fëdor Dostoevskij, “Le notti bianche”.Louis Douzette, “Winter Landscape” […]
[…] di Dickens e di Kipling, per poi proseguire con la lettura di Lawrence, Stendhal, Tolstoj e Dostoevskij. Attivista per i diritti umani, si sposa nel 1939 con Frank Charles Wisdom. Da quel matrimonio […]
[…] decadente con sottofondi di musica jazz e alle continue rievocazioni letterarie che spaziano da Dostoevskij a Flaubert, solo per citarne qualcuno. Lascio volentieri i pettegolezzi sulla sua burrascosa vita […]
[…] per la pittura Bresson affianca quella della lettura; sin da giovane è un grande lettore di Dostoevskij, Schopenhauer, Rimbaud, Nietzsche, Mallarmé, Freud, Proust, Joyce, Hegel, Engels e […]
[…] Ancora sedicenne, li osservavo con cupa meraviglia; già allora mi stupivano la grettezza del loro pensiero, la stupidità delle occupazioni, dei giochi, dei discorsi loro. Non capivano certe cose così indispensabili, non s’interessavano di argomenti così suggestivi e impressionanti che per forza presi a considerarli inferiori a me. Non era la vanità offesa che mi ci spingeva, e, per amor di Dio, non venitemi avanti con le obiezioni convenzionali, rancide fino alla nausea, che io non facevo che sognare, mentre essi già allora capivano la vita reale. Nulla essi capivano, nessuna vita reale, e vi giuro che questo, appunto, era ciò che più m’indignava in loro. Al contrario, la realtà più evidente, più abbagliante la percepivano in modo fantasticamente sciocco e già allora si abituavano ad inchinarsi nient’altro che al successo. Di tutto ciò che era giusto, ma umiliato e oppresso, ridevano crudelmente e vergognosamente. La posizione la consideravano ingegno; a sedici anni discorrevano già di comodi posticini. Naturalmente, in questo molto derivava dalla stupidità, dal cattivo esempio che aveva sempre circondato la loro infanzia e adolescenza. Erano depravati fino alla mostruosità. S’intende che anche qui c’era soprattutto esteriorità, soprattutto cinismo ostentato, s’intende che la giovinezza e una certa freschezza trasparivano anche in loro perfino attraverso la depravazione; ma in loro non era attraente nemmeno la freschezza e si manifestava come una specie di bricconeria. Io li odiavo tremendamente, sebbene fossi magari peggio di loro. Essi mi ripagavano della stessa moneta, e non nascondevano la propria ripugnanza per me. Ma io non desideravo più il loro affetto; al contrario, avevo sempre sete della loro umiliazione.– Fëdor Dostoevskij(garcon-portraits.tumblr.com) […]
[…] corso che lo scrittore Paolo Nori avrebbe dovuto tenere nell’ateneo sull’autore russo Fedor Dostoevskij. Dinnanzi all’ondata di polemiche scatenate dall’annuncio dato dallo scrittore, ci ha […]
[…] pane o come desiderano la pioggia per i loro sementi. Quando l’insigne scrittore russo Fedor Dostoyevskij, padre della rivoluzione russa molto più di Lenin, era prigioniero in Siberia, lontano dal […]