Federico Garcìa Lorca, il poeta delle metafore

Reading Time: 15 minutes

«Fu visto, camminando tra fucili, in una lunga strada,
uscire ai freddi campi,
ancora con le stelle del mattino.
Uccisero Federico
quando la luce spuntava.
Il plotone dei carnefici
non osò guardargli la faccia.
Tutti chiusero gli occhi; mormorarono:
neppure Dio ti salva. Cadde morto Federico
– sangue alla fronte e piombo nelle viscere – .
Sappiate che fu a Granada il delitto –
Povera Granada! -, nella sua Granada…
»
Antonio Machado

Federico Garcìa Lorca, biografia e citazioni
Con questi toccanti versi Antonio Machado descrive il brutale assassinio di uno dei più grandi poeti spagnoli.
Federico Garcìa Lorca viene fucilato da una truppa franchista appartenente al CEDA (un partito di destra appoggiato dalla Chiesa Cattolica), a soli trentotto anni. Secondo la versione ufficiale viene ucciso perché repubblicano e omosessuale.
Inizio stavolta con un tragico epilogo e non con una nascita il mio piccolo omaggio ad un’altra famosa vittima “rea” di aver osato pensare liberamente e di “diverso” orientamento sessuale.
Per non dimenticare.
Per rammentare ancora una volta il danno incommensurabile prodotto dal pregiudizio. Un male che purtroppo ha sempre accompagnato e forse continuerà ad accompagnare la storia dell’uomo.
I testimoni raccontano che il poeta sia andato incontro alla morte piangendo, un pianto probabilmente sorto dalla profonda amarezza che aveva sempre angustiato gran parte della sua breve esistenza, soffocata dalla sua condizione interiore di escluso da una società castrante nei confronti degli omosessuali e dei diversi.
Eppure aveva dato il consenso a pubblicare la nota poesia Adàn, proprio Lorca, quel poeta che aveva sempre cercato di celare la propria omosessualità. Aveva anche dichiarato: «Così come non mi sono preoccupato di nascere, non mi preoccupo di morire». E aveva anche redatto e firmato, poco prima dello scoppio di una guerra civile già presagita, un manifesto di aperto supporto al Frente Popular, il partito di sinistra che vinse le elezioni poco prima della tragedia vissuta dalla Spagna. Proprio Federico, convinto assertore dell’impossibilità di un artista di identificarsi con un qualsiasi partito politico per il suo animo fondamentalmente anarchico.
No, non piangeva perché stava andando incontro alla morte.
Piangeva nel vedere ancora una volta quel mondo straziato e offeso descritto nelle sue opere che possono essere simboleggiate con quella frase tratta da una delle sue più note poesie “A las cinco de la tarde“.
Alle cinque della sera.
Siamo in molti ad usare questa frase per indicare la spietata e algida forza del destino tragico dell’uomo scaraventato dentro un’arena per poi scomparire nel nulla.

Un’apocalisse lirica volta a sottolineare la fine della vita di un grande amico del poeta, così come di ogni altro essere umano che permane nella memoria di un sorriso o di una tenerezza che mai potranno essere dimenticati.
Lorca ha sempre donato uno sguardo, una voce, un urlo, un faro che illuminasse l’esistenza di quegli esseri umani sconfitti, del cui breve cammino su questa terra mai si smarrirà la loro grandezza, in un mondo in cui la pietas ha bisogno di essere riportata alla luce, rivivendola nei nostri cuori attraverso la potente passione dei suoi versi e di chi prende apertamente posizione nei confronti dei cosiddetti ultimi sparsi in tutto il mondo.
Proprio lui, come uomo e come artista, paga un prezzo elevatissimo per la sua “diversità”, e in quel breve volgere di un’esistenza vissuta intensamente che abbraccia quegli ideali ancora non raggiunti di solidarietà ed empatia, seppur nel tormento angosciante di una società ottusa e discriminante, la sua voce non sarà mai dimenticata.
Pensando a quell’anima vulnerabile ma appassionata, viene in mente una citazione di Flaubert, «c’è tanta gente la cui gioia è così immonda, il cui ideale è così meschino, che noi dobbiamo benedire la nostra disgrazia se ci fa più degni».
Oggi in Spagna e in altri paesi evoluti il matrimonio tra omosessuali è consentito. In Italia da poco tempo è stata approvata, tra polemiche ridicole e “libertà di coscienza”,  la legge sulle “unioni civili”.
In Italia non si uccidono gli omosessuali; spesso ci si limita a isolarli, deriderli o maltrattarli al punto da condurre spesso le anime più fragili al suicidio.
Il nostro paese ha mostrato di non essere ancora del tutto pronto e il dibattito resta aperto. Per chissà quanto tempo ancora. E probabilmente chi verrà dopo di noi ci guarderà con disprezzo.
Federico Garcìa Lorca, biografia, poesie e citazioniDifficile riassumere in poche righe la grandezza della produzione poetica e teatrale di un uomo entrato nel mito della letteratura moderna.
Nella sua poesia, che non si limita a descrivere il mondo intorno a lui, si avverte un nuovo uso della metafora che trasfigura e stilizza gli elementi pittorici in una variegata tonalità cromatica, giungendo a penetrare la tragicità di quel mondo andaluso, carico di “angoscia e tragedia“, con uno stile raffinato e aristocratico, ma nello stesso tempo popolare. I suoi versi s’imprimono indelebilmente nella nostra mente consentendoci di cogliere l’essenza dell’animo spagnolo.
Nelle sue rivoluzionarie opere teatrali approfondisce la realtà psicologica della donna spagnola e le sue peculiarità più determinanti che spaziano dalla passione amorosa, fortemente impregnata di sensualità, all’istinto materno fino a giungere alle convenzioni sociali, percepite come leggi inflessibili e rigoroso dovere. Quella donna, simbolo di energia vitale, assurge a protagonista delle opere teatrali di Lorca. Una tragica protagonista, vittima di tradizioni e superstizioni violente che conducono chi si ribella o vede penalizzata la propria vita perché sterile o nubile, all’infelicità o al suicidio.

Federico Garcìa Lorca, biografia, opere, poesie e citazioni

Ritratto di Rinaldo Hopf

Nato il 5 giugno del 1898 a Fuente de Vaqueros, un piccolo paesino situato nella Vallata di Granada, Federico Garcìa Lorca proviene da una famiglia benestante; il padre è un facoltoso proprietario terriero e la madre è una maestra socialmente attiva che combatte l’analfabetismo dei contadini e legge loro pagine delle opere di Victor Hugo.
Una donna di umili origini che stende una volta la settimana la biancheria di una famiglia di contadini talmente poveri da dover attendere l’asciugatura degli unici abiti posseduti per potersi rivestire.
Il ragazzino Lorca comincia già da bambino a prendere coscienza delle ingiustizie sociali e della durezza della vita quotidiana nascosta dietro l’apparente spensieratezza andalusa.
Nel 1909 si trasferisce con la famiglia a Granada e, nonostante la vivace intelligenza che lo contraddistingue, mostra disinteresse per la scuola, affascinato invece dalla musica e dai quartieri gitani che comincia a frequentare sin dagli anni dell’adolescenza.
Brillante negli studi di pianoforte, sotto la guida del maestro Antonio Segura, sogna di diventare un grande compositore e di trasferirsi a Parigi per perfezionare i suoi studi.
Nel 1914 s’iscrive in quella che definisce “indecente” Università di Granada per intraprendere gli studi di Lettere, Filosofia e Diritto, mostrando sin dall’inizio scarso interesse alle lezioni accademiche.
Il dolore per la morte del suo insegnante di musica lo induce ad abbandonare il sogno di diventare musicista e comincia a scrivere e viaggiare per la Spagna.
Nel 1919, i genitori, preoccupati per il disinteresse del figlio agli studi universitari, lo iscrivono a Madrid dove alloggia nella prestigiosa Residencia de Estudiantes in cui incontrerà Salvador Dalì e Luis Buñuel.
La sua prima opera teatrale, scritta nel 1919 e rappresentata l’anno seguente, “Il maleficio della farfalla, non ottiene alcun successo. Ma nonostante questa sua prima sconfitta, il giovane Lorca continuerà a scrivere.

Federico Garcìa Lorca, biografia, poesie e citazioni

Federico Garcìa Lorca insieme al suo grande amico Salvador Dalì

Pubblica numerose raccolte di poesie tra cui bisogna ricordare “Libro de Poemas” (1921), “Canciones” (1922), il “Romancero Gitano” (1928), il “Poema del cante jondo” (1931) e la struggente “Pianto per la morte di Ignacio Sànchez Mejias” (1935).

Scrive contemporaneamente anche per il teatro e vengono messe in scena, riscuotendo un enorme successo, molte sue opere, tra cui bisogna ricordare “Mariana Pineda“, “La zapatera prodigiosa“, “Bodas de sangre“, “Yerma” e quella che può considerarsi il suo capolavoro assoluto “La casa di Bernarda Alba“, scritta nel 1936.
La grazia e l’umorismo satirico delle sue commedie e la suggestione poetica delle sue tragedie rendono il suo nome noto in tutto il mondo.
Tormentato dalla sua omosessualità, la sua vita è un susseguirsi di periodiche depressioni che nemmeno il conseguimento della laurea, tanto agognata dai suoi genitori, né il successo delle sue opere riescono a lenire.
La famiglia di Federico, preoccupata per i continui sbalzi di umore del figlio di cui ignora la causa, gli organizza un viaggio negli Stati Uniti nel 1929. E da tale esperienza prenderà vita un altro suo capolavoro “Poeta en Nueva York” che vede protagonisti gli afroamericani del ghetto di Harlem e tutti gli emarginati strangolati dalla corsa al denaro e dalle disumane leggi del capitalismo.

Federico Garcìa Lorca, biografia, raccolta di poesie e citazioni

“Autorretrato en Nueva York”, disegno di Federico Garcìa Lorca che rappresenta la prima copertina del libro “Poeta en Nueva York”

L’impatto con quella metropoli, simbolo della fiducia nel progresso, sconvolge a tal punto il poeta che sostituisce la metrica tradizionale dei colori accesi andalusi al bianco e nero di una città che sente distante da sé per quelle contraddizioni sociali pronte ad emarginare quei diversi di cui sente la vicinanza.
Al suo ritorno in Spagna, nel 1930, Lorca si prodiga per servire la politica culturale del governo repubblicano fondando e dirigendo una compagnia teatrale, chiamata “La Barraca” per far sì che le opere classiche del teatro spagnolo vengano conosciute in tutta la Spagna.
Ciò che accadrà dopo è purtroppo ben noto e sconvolgerà gli intellettuali di tutto il mondo.
Prelevato nella casa di amici in cui si era rifugiato per cercare di sfuggire alle persecuzioni fasciste, viene condotto a Viznar, vicino Granada e giustiziato senza alcun processo.
Il 19 agosto del 1936, due giorni dopo lo scoppio della rivolta militare contro il governo repubblicano, viene spezzata la vita di uno dei massimi poeti in lingua spagnola ed ancora oggi si cercano i resti del suo corpo.
Così commenta Pablo Neruda, grande amico di Lorca, la brutalità di tale uccisione: «L’assassinio di Federico fu per me l’avvenimento più doloroso di un lungo combattimento. La Spagna è sempre stata un campo di gladiatori; una terra con molto sangue. L’arena, con il suo sacrificio e la sua crudele eleganza, ripete l’antica lotta mortale fra l’ombra e la luce».

Federico Garcìa Lorca, biografia, raccolta di poesie e citazioni

“La solitudine è il grande taglio dello spirito”

Con una raccolta dei suoi versi e delle sue citazioni più significative voglio ricordare il cantore dell’amore impossibile tra persone dello stesso sesso, schierato sempre dalla parte degli oppressi e degli emarginati, creatore di liriche espressive ricche di metafore suggestive e simboli arcani che fondono le tradizioni popolari e classiche con le avanguardie europee.

[…] Ma io protestavo ogni giorno. Protestavo nel vedere i bambini negri come decollati dai colletti inamidati, con vestiti e stivaletti dai colori sgargianti, pulire le sputacchiere di uomini freddi che parlano come anitre.
Protestavo per tutta questa carne rubata al paradiso, maneggiata dagli ebrei dal naso gelido e dall’anima inaridita; e protestavo per la cosa più triste, perché i negri non volevano essere negri, perché inventano pomate con cui nascondere i deliziosi capelli ricci e polveri che mutino il grigio del viso e sciroppi con cui ingrassare e attenuare il florido cachi delle labbra.
***

La Luna

Quando spunta la luna
tacciono le campane
e i sentieri sembrano
impenetrabili.
Quando spunta la luna
il mare copre la terra
e il cuore diventa
isola nell’infinito.
***

I labirinti
I labirinti
creati dal tempo
svaniscono.
(Rimane solo il deserto.)
Il cuore,
fonte del desiderio,
svanisce.
(Rimane solo il deserto.)
L’illusione dell’aurora

e i baci

svaniscono.
Rimane solo
il deserto;
l’onduloso
deserto.

Elegia del silenzio

Silenzio, dove porti
il tuo vetro appannato
di sorrisi, di parole
e di pianti dell’albero?
Come pulisci, silenzio,
la rugiada del canto
e le macchie sonore
che i mari lontani
lasciano sul bianco
sereno del tuo velo?
Chi chiude le tue ferite
quando sopra i campi
qualche vecchia noria
pianta il suo lento dardo
sul tuo vetro immenso?

Dove vai se al tramonto
ti feriscono le campane
e spezzano il tuo riposo
gli sciami delle strofe
e il gran rumore dorato
che cade sopra i monti
azzurri singhiozzando?

L’aria dell’inverno
spezza il tuo azzurro
e taglia le tue foreste
il lamento muto
di qualche fonte fredda.

Dove posi le mani,
la spina del riso
o il bruciante fendente
della passione trovi.

Se vai agli astri
il solenne concerto
degli uccelli azzurri
rompe il grande equilibrio
del tuo segreto pensiero.

Fuggendo il suono
sei anche tu suono,
spettro d’armonia,
fumo di grido e di canto.
Vieni a dirci
la parola infinita
nelle notti oscure
senza alito, senza labbra.

Trafitto da stelle
e maturo di musica,
dove porti, silenzio,
il tuo dolore extraumano,
dolor di esser prigioniero
nella ragnatela melodica,
cieco per sempre
il tuo sacro fonte?
Oggi le tue onde trascinano
con torbidi pensieri
la cenere sonora
e il dolore del passato.
Gli echi dei gridi
che svanirono per sempre.
Il tuono remoto
del mare, mummificato.

Se Geova dorme
sali al trono splendente,
spezzagli in fronte
una stella spenta
e lascia davvero
la musica eterna,
l’armonia sonora
di luce, e intanto
torna alla tua fonte,
dove nella notte eterna,
prima di Dio e del tempo
sgorgavi in pace.

L’ombra dell’anima mia

L’ombra dell’anima mia
fugge in un tramonto di alfabeti,
nebbia di libri
e di parole.

L’ombra dell’anima mia!

Sono giunto alla linea dove cessa
la nostalgia,
e la goccia di pianto si trasforma
in alabastro di spirito.

(L’ombra dell’anima mia!)

Il fiocco del dolore
finisce,
ma resta la ragione e la sostanza
del mio vecchio mezzogiorno di labbra,
del mio vecchio mezzogiorno
di sguardi.

Un torbido labirinto
di stelle affumicate
imprigiona le mie illusioni
quasi appassite.

L’ombra dell’anima mia!

E un’allucinazione
munge gli sguardi.
Vedo la parola amore
sgretolarsi.

Mio usignolo!
Usignolo!
Canti ancora?
***

Notturno

Ho tanta paura
delle foglie morte,
paura dei prati
gonfi di rugiada.
Vado a dormire;
se non mi sveglierai
lascerò al tuo fianco
il mio freddo cuore.

Che cosa suona
così lontano?
Amore. Il vento sulle vetrate,
amor mio!

Ti cinsi collane
con gemme d’aurora.
Perché mi abbandoni
su questo cammino?
Se vai tanto lontana
il mio uccello piange
e la vigna verde
non darà vino.

Che cosa suona
così lontano?
Amore. Il vento sulle vetrate,
amor mio!

Non saprai mai
o mia sfinge di neve,
quanto
t’avrei amata
quei mattini
quando a lungo piove
e sul ramo secco
si disfa il nido.

Che cosa suona
così lontano?
Amore. Il vento sulle vetrate,
amore mio!

L’ottimismo è proprio delle anime che hanno una sola dimensione: di quelle che non vedono il torrente di lacrime che ci circonda, prodotto da cose per cui c’è rimedio.
***

Ogni libro è un giardino. Beato colui che lo sa piantare e fortunato colui che taglia le sue rose per darle in pasto alla sua anima!

***

Casida del pianto

Ho chiuso la mia finestra
perché non voglio udire il pianto,
ma dietro i grigi muri
altro non s’ode che il pianto.
Vi sono pochissimi angeli che cantano,
pochissimi cani che abbaiano;
mille violini entrano nella palma della mia mano.
Ma il pianto è un cane immenso,
il pianto è un angelo immenso,
il pianto è un violino immenso,
le lacrime imbavagliano il vento.
E altro non s’ode che il pianto.

Verde ramo libero
da ritmo ed uccelli.

Eco di singhiozzo
senza dolore né labbro.
Uomo e Bosco.

Piango
di fronte al mare amaro.
Nelle mie pupille
due mari che cantano!
***

Prigioniera

Sui rami
indecisi
andava una fanciulla
ed era la vita.
Sui rami
indecisi.
Con uno specchietto
rifletteva il giorno
che era lo splendore
della sua fronte pura.
Sui rami
indecisi.
Sulle tenebre
andava sperduta,
piangendo rugiada,
prigioniera del tempo.
Sui rami
indecisi.


Romanza sonnambula

Verde che ti voglio verde
Verde vento. Verdi rami.
La barca sul mare
e il cavallo sulla montagna.
Con l’ombra nella cintura
lei sogna sul suo balcone
verde carne, capelli verdi,
con occhi di freddo argento.
Verde che ti voglio verde.
Sotto la luna gitana,
le cose la stanno guardando
e lei non le può guardare.

Verde che ti voglio verde.
Grandi stelle di brina,
vengono con il pesce d’ombra
che apre il cammino all’alba.
Il fico strofina il vento
con la corteccia dei sui rami,
e il monte, gatto ladro,
rizza le sue acerbe agavi.
Ma chi verrà? E da dove…?
Lei insegue sul suo balcone,
verde carne, capelli verdi
sognando il mare amaro.

Compare, voglio cambiare
il mio cavallo con la sua casa,
la mi sella col suo specchio,
il mio coltello con la sua coperta.
Compare, arrivo sanguinando
dai porti di Cabra.

Se potessi, ragazzo,
questo accordo si chiuderebbe.
Ma io non sono più io.
Né la mia casa è più la mia casa.
Compare, voglio morire
decentemente nel mio letto.
Di acciaio, se è possibile,
con le lenzuola d’Olanda.
Non vedi la ferita che ho
dal petto alla gola?
Trecento rose brune
sopporta il tuo sparato bianco.
Il tuo sangue zampilla e odora
attorno alla tua benda.
Ma io non sono più io
Né la mia casa è più la mia casa.

Almeno lasciami salire
fino agli alti balconi,
lasciami salire!, lasciami
fino ai verdi balconi.
Ballatoi della luna
da dove l’acqua rimbomba.

Già salgono i due compari
fino gli alti balconi.
Lasciando una scia di sangue.
Lasciando una scia di lacrime.
Tremavano sulle tegole
lanternine di latta.
Mille tamburelli di cristallo
ferivano l’alba.

Verde che ti voglio verde,
verde vento, verdi rami.
I due compari salirono.
Il lungo vento, lasciava
in bocca uno strano sapore
di fiele, di menta e di basilico.
Compare! Dimmi, dov’è?
Quante volte ti aspettò!
Quante volte ti ha aspettato,
volto fresco, capelli neri,
su questo verde balcone!

Sul rostro della cisterna,
si cullava la gitana.
Verde carne, capelli verdi,
con occhi di freddo argento.
Un ghiacciolo di luna
la sostiene sopra l’acqua.
La notte si fece intima
come una piccola piazza.
Guardie civili ubriache
sulla porta bussavano.
Verde che ti voglio verde.
Verde vento. Verdi rami.
La barca sul mare.
E il cavallo sulla montagna.
***
Una rumba flamenca molto famosa è stata tratta da questa poesia. Di seguito una versione…

Come sono pesanti i giorni

Come son pesanti i giorni,
A nessun fuoco posso riscaldarmi,
non mi ride ormai nessun sole,
tutto è vuoto,
tutto è freddo e senza pietà,
ed anche le care limpide stelle
mi guardano senza conforto,
da quando ho appreso nel mio cuore,
che anche l’amore può morire.

***

Non è il tuo amore che voglio

Non è il tuo amore che voglio.
Voglio soltanto saperti vicina
e che muta e silenziosa,
di tanto in tanto, mi tenda la tua mano.

(Photo by Popperfoto/Getty Images)

Canzoncina del primo desiderio

Nel mattino verde
Volevo essere
Cuore.

Volevo essere cuore.
Cuore.

E nella sera matura
Volevo essere usignolo.
Usignolo.

(Anima,
fatti color d’arancia.
Anima,
fatti color d’amore)

Nel mattino ancor vivo
io volevo essere io.
Cuore.

E nella sera ormai scesa
Volevo essere la mia voce.
Usignolo.

Anima,
fatti color d’arancia!
Anima,
fatti color d’amore!

***

Eco

Dischiuso s’è già
il fiore dell’aurora.

(Ricordi
il fondo della sera?)

Il nardo della luna effonde
il suo freddo aroma.

(Ricordi
lo sguardo d’agosto?)

***

Morì all’alba

Notte di quattro, lune
E un solo albero,
con una sola ombra
e un solo uccello.

Cerco sulla mia carne i
Segni delle tue labbra.
La sorgente bacia il vento
Senza toccarlo.

Porto il No che mi dicesti
Sul palmo della mano,
come un limone di cera
quasi bianco.

Notte di quattro lune
E un solo albero .
Sulla punta di un ago
Il mio amore sta girando!

***

Corrente

Chi cammina
s’intorbida.
L’acqua corrente
non vede le stelle.
Chi cammina
dimentica.
E chi si ferma
sogna.

***
Discorso di Federico García Lorca all’inaugurazione della biblioteca del suo paesino: Fuente de Vaqueros (Granada). Settembre 1931.

Mezzo pane e un libro
Quando qualcuno va a teatro, a un concerto o a una festa di qualsiasi tipo, se la festa è di suo gradimento, ricorda subito e si rammarica che le persone che ama non si trovino lì. ‘Quello che piacerebbe a mia sorella, a mio padre’, pensa, e non gode più lo spettacolo ma attraverso una leggera malinconia. Questa è la malinconia che provo, non per le persone di casa mia, che sarebbero piccole e rovinate, ma per tutte le creature che per mancanza di mezzi e purtroppo loro non godono del bene supremo della bellezza che è vita ed è gentilezza ed è serenità ed è passione. Per questo non ho mai un libro, perché regalo quanti ne compro, che sono infiniti, e per questo sono qui onorato e felice di inaugurare questa biblioteca del paese, la prima sicuramente in tutta la provincia di Granada.
Non vive solo il pane. Io, se avessi fame e svaligiato per strada non chiederei un pane; ma chiederei mezzo pane e un libro. E io attacco da qui violentemente coloro che parlano solo di rivendicazioni economiche senza mai nominare le rivendicazioni culturali, che è ciò che i popoli chiedono a grida. Va bene che tutti gli uomini mangino, ma che tutti gli uomini sappiano. Che godano tutti i frutti dello spirito umano perché il contrario è trasformarli in macchine al servizio dello Stato, è renderli schiavi di una terribile organizzazione sociale.
Ho molta più pena per un uomo che vuole sapere e non può, che per un affamato. Perché un affamato può calmare facilmente la sua fame con un pezzo di pane o con qualche frutta, ma un uomo che ha voglia di sapere e non ha mezzi, soffre di una terribile agonia perché sono libri, libri, molti libri che ha bisogno e dove sono questi libri?
Libri! Libri! Fa qui una parola magica che equivale a dire: ‘amore, amore’, e che i popoli dovevano chiedere come chiedono pane o come desiderano la pioggia per i loro sementi. Quando l’insigne scrittore russo Fedor Dostoyevskij, padre della rivoluzione russa molto più di Lenin, era prigioniero in Siberia, lontano dal mondo, tra quattro mura e recintato da desolate pianure di neve infinita; e chiedeva aiuto in lettera alla sua lontana famiglia, diceva solo: ‘Mandatemi libri, libri, tanti tanti libri perché la mia anima non muoia! ‘. Aveva freddo e non chiedeva fuoco, aveva una sete terribile e non chiedeva acqua: chiedeva libri, cioè orizzonti, cioè scale per salire la vetta dello spirito e del cuore. Perché l’agonia fisica, biologica, naturale di un corpo per fame, sete o freddo dura poco, molto poco, ma l’agonia dell’anima insoddisfatta dura tutta la vita.
Il grande Menéndez Pidal, uno dei saggi più veri d’Europa, ha già detto che il motto della Repubblica deve essere: ‘Cultura’. Cultura perché solo attraverso essa si possono risolvere i problemi in cui oggi si discute il popolo pieno di fede, ma senza luce. “

Federico Garcìa Lorca insieme alla sorella Isabel.

Io sono uno Spagnolo integrale e mi sarebbe impossibile vivere fuori dai miei limiti geografici; però odio chi è Spagnolo per essere Spagnolo e nient’altro, io sono fratello di tutti e trovo esecrando l’uomo che si sacrifica per una idea nazionalista, astratta, per il solo fatto di amare la propria Patria con la benda sugli occhi. Il Cinese buono lo sento più prossimo dello spagnolo malvagio. Canto la Spagna e la sento fino al midollo, ma prima viene che sono uomo del Mondo e fratello di tutti. Per questo non credo alla frontiera politica.

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web, quindi considerati di pubblico dominio e appartenenti a google, a youtube e ai legittimi proprietari. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo lacapannadelsilenzio@yahoo.it e saranno immediatamente rimossi.

Digiprove sealCopyright secured by Digiprove © 2015

11 commenti

Leave a Comment