Alberto Moravia, il delirio senza speranza dell’uomo moderno

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Renato Guttuso, Ritratto di Moravia, 1982, olio su tela, cm 122 x 95 Casa Museo “Alberto Moravia”, Roma

Renato Guttuso, “Ritratto di Moravia“, 1982, olio su tela, cm 122 x 95 Casa Museo “Alberto Moravia”, Roma

Il ritratto profondo e spietato dell’uomo di oggi, un individuo senza strutture ed incapace di scorgere delle motivazioni in grado di farlo sentire vivo, trova un interprete di estrema rilevanza in Alberto Moravia. Ancora oggi la sua produzione letteraria è oggetto di studio di critici di tutto il mondo che ne riconfermano l’attualità del suo pensiero.
Con uno stile pungente, impregnato del paludoso fondo del quotidiano, Moravia mostra la ruvida e faticosa realtà catturandola con uno sguardo profondamente implacabile, ma investendola nello stesso tempo di un soffio di vento poetico, come se le vicende fossero osservate con occhi trasognati, ma vissute con un sentimento di indifferenza.
Così come è accaduto con altri grandi autori della letteratura moderna italiana, anche Moravia è scivolato misteriosamente nell’oblio, mentre in altri paesi, in particolar modo in Francia, viene considerato un classico da approfondire per la modernità del suo stile e l’acuta analisi della crisi senza via d’uscita della società borghese. Nonostante oggi nessuno parli più di Moravia, i suoi lettori aumentano ogni anno e, se non pochi attribuiscono la mancanza di riconoscimento del Premio Nobel ai temi scabrosi da lui trattati, ciò riveste un’importanza irrilevante. Quel che maggiormente è da considerarsi fondamentale è evitare che venga dimenticato in Italia.
moravia 2Pessimismo e disincanto pervadono i protagonisti della narrativa di colui che era stato definito “il Balzac italiano“, non si intravede mai la presenza di un personaggio positivo; Moravia descrive l’inquietudine dell’uomo comune dinnanzi alle miserie del suo mondo. Non in grado di ribellarsi, o impossibilitato a farlo, precipita in un dilaniante dissidio interiore sprofondando poi nell’indifferenza. I suoi personaggi sembrano rinchiusi in una gabbia e non riescono ad andare al di là di un’ossessione quasi maniacale per il sesso e per i soldi.
La società descritta da Moravia è terribilmente ingorda e, a causa di tale avidità, le relazioni umane sono prive di valori.
L’uomo, per cercare di sfuggire al malessere derivante da tale freddezza, usa il sesso come strumento per entrare in relazione con un altro essere umano.
La borghesia corrotta e amorale avvolge nelle sue spire l’individuo che, pur consapevole del marciume intorno a lui, non riesce ad attuare una rivolta morale. La difficoltà del protagonista dei suoi romanzi, quasi sempre un intellettuale borghese che percepisce il senso di estraniamento al mondo materialista e superficiale intorno a lui, si rivela nel suo annegare nell’amara consapevolezza di non poter cambiare quella società incancrenitasi già dai tempi del fascismo e sfocia in un distacco che non suona come liberazione, ma piuttosto come profonda sofferenza.
Scrittore prolifico, si fa interprete degli avvenimenti storici che hanno profondamente segnato l’Italia: dal fascismo alla guerra, dall’occupazione alla liberazione, fino a giungere ai parametri variopinti del “boom economico”, al consumismo, alla rivolta sessantottina e agli “anni di piombo“. Due saranno i maestri che ispireranno la sua opera: MarxFreud. Il pensiero marxista gli servirà per esaminare le dinamiche sociali vincolate al possesso, mentre la psicoanalisi lo aiuterà a comprendere il rapporto dell’uomo con la sua interiorità più recondita.

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Da alcuni suoi romanzi, di evidente contenuto esistenzialista, sono stati realizzati dei film molto noti che però, proprio per la profondità di alcuni suoi messaggi, non sempre sono riusciti ad esprimere l’immensità delle tematiche affrontate dall’autore e quel torpore esistenziale che affligge i suoi protagonisti non è facile da cogliere nella sua interezza attraverso le immagini.
Scrittore indubbiamente scomodo, e non solo durante il fascismo, è spesso polemico con gli altri scrittori e, fatta eccezione il suo grande amico Pasolini e pochi altri, non esita a definire la letteratura italiana «provinciale e piccolo borghese».

Tale peculiarità la porta ad essere irrimediabilmente vincolata alla politica da cui lo scrittore prende le distanze considerandola artefice di quel “guscio vuoto ed iperindividualista” che è l’Italia. «Non ho partito, odio i partiti. Non mi ci iscriverei neppure morto. Diventerei uno strumento e non potrei essere utile a nessuno, neppure al partito al quale aderissi. Non partecipo ad alcun monopolio culturale e tantomeno economico. Ho sempre protestato nei miei libri. Protestate anche voi … provate a scrivere un romanzo contro il monopolio».
Le sue critiche feroci alla società italiana, dominata da una borghesia cinica e affarista, non risparmia dunque i cosiddetti “intellettuali” e vi si scaglia contro senza peli sulla lingua. Se potesse vedere in questo momento il desolato panorama letterario e politico italiano penso proprio che lascerebbe definitivamente il paese. Quanto si sente la mancanza di veri intellettuali in questo momento!

Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini

Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini

Secondo Moravia lo scrittore ha il dovere morale di essere fedele a se stesso e deve servirsi della letteratura per studiare la realtà e cercare di migliorarla ed in tale concezione si scontra con la mentalità del periodo che considera il romanzo finalizzato al mero intrattenimento di donne alla ricerca di una lettura d’evasione.
Il suo stile è realista e sobrio, usa, soprattutto nei dialoghi, parole di uso comune e preferisce focalizzare la propria attenzione all’edificazione di periodi caratterizzati da una sintassi accurata in cui emergono delle interessanti indagini psicologiche che riescono a descrivere le emozioni dei protagonisti.
Con il passare del tempo la sua prosa si evolve ancor più verso l’essenzialità ed il predominio dei dialoghi evidenzia maggiormente l’obiettivo principale dell’autore volto a concentrarsi sui monologhi interiori che tormentano i protagonisti.
Il distacco con cui analizza le tematiche affrontate si riscontra anche nel suo stile prettamente oggettivo di cui lo scrittore si serve per poter meglio lasciarci cogliere la meschinità della realtà.
Il suo evidenziare l’inerzia spirituale e morale e la sessualità ossessiva ed asfittica di personaggi della borghesia dominante logora le traballanti e stereotipate immagini della statura morale dell’Italia frutto di quella severa disciplina imposta dal fascismo e di cui i suoi seguaci ne rivendicano il raggiungimento.
Nato a Roma il 28 novembre del 1907 da una famiglia dell’alta borghesia, Alberto Pirlenche, questo il nome dello scrittore all’anagrafe, si ammala di tubercolosi ossea a soli nove anni. La malattia lo costringe a letto per circa cinque anni e gli impedisce di seguire studi regolari. La lettura gli tiene compagnia in quei duri anni, in particolar modo quella di Proust, di Dostoevskij e di Joyce e, quando guarisce, a diciassette anni, la malattia ha già profondamente segnato la sua personalità ed acuito la sua sensibilità che presto si tradurrà in quell’opera, considerata dalla maggioranza dei critici la più significativa, “Gli indifferenti” (1929).
Pubblicato a proprie spese, il romanzo segna l’inizio di un rapporto conflittuale con il fascismo e che costringerà lo scrittore ad allontanarsi spesso dall’Italia.

Ne “Gli indifferenti” emerge un’aspra critica al mondo borghese, accartocciato su se stesso e privo di alcun impeto interiore. L’idolatria del denaro si è ormai impossessata della società e l’indifferenza cui si riferisce lo scrittore non viene intesa come una forma di distacco nei confronti di un mondo che non offre alcun punto di riferimento. È un’indifferenza dolorosa e degradante che investe personaggi sopraffatti dalla mancanza di stimoli nel grigio ambiente in cui si muovono e rinunciano a lottare.
moravia 5Così come si ripeterà nelle opere successive di Moravia, si nota la presenza di un personaggio, in questo caso il giovane Michele, che nota con chiarezza l’immoralità intorno a lui, ma non riesce a trovare la forza di relazionarsi in modo propositivo con il mondo e si smarrisce nella sua indifferenza. La corruzione morale da lui vissuta, in cui la madre e la sorella hanno una relazione con un uomo avido che, approfittando dell’instabile situazione economica della famiglia, cerca di impossessarsi dei beni rimasti, lo affligge, ma nel momento in cui cerca di rimediare con un’azione estrema, si lascia sopraffare dalla sua indifferenza.
Michele sembra comprendere che nulla potrà più riportarlo a quei valori morali perduti. Pienamente cosciente che relazionarsi con una realtà depravata potrà attuarsi solamente rinunciando ai propri ideali. E in un mondo così marcio in cui prevalgono opportunismo, pregiudizi e ipocrisia non riesce a reagire, la palude, o forse sarebbe più corretto parlare di sabbie mobili, lo inghiotte lentamente e decide di lasciarsi trascinare dal conformismo. Per sopravvivere. La ribellione è inutile. La realtà è la realtà.
«Un disgusto opaco l’opprimeva; i suoi pensieri non erano che aridità, deserto; nessuna fede, nessuna speranza alla cui ombra riposare e rinfrescarsi; la falsità e l’abiezione di cui aveva pieno l’animo egli le vedeva negli altri, sempre, impossibile strapparsi dagli occhi quello sguardo scoraggiato, impuro che si frapponeva tra lui e la vita; un po’ di sincerità, si ripeteva riaggrappandosi alla sua vecchia idea fissa, “un po’ di fede… e avrei ucciso Leo… ma ora sarei limpido come una goccia d’acqua.”

Tomas Milian nel ruolo di Michele nel film "Gli indifferenti" (1964) di Francesco Maselli

Tomas Milian nel ruolo di Michele nel film “Gli indifferenti” (1964) di Francesco Maselli

Si sentiva soffocare; guardò Lisa, pareva contenta: “Come vivi?” avrebbe voluto gridarle: “sinceramente? con fede? dimmi come riesci a vivere.” I suoi pensieri erano confusi, contraddittori: “E ancora” pensava con un brusco, disperato ritorno alla realtà, “forse questo dipende soltanto dai miei nervi scossi… forse non è che una questione di denaro o di tempo o di circostanze.” Ma quanto più si sforzava di ridurre, di semplificare il suo problema, tanto più questo gli appariva difficile, spaventoso. “È impossibile andare avanti così.” Avrebbe voluto piangere; la foresta della vita lo circondava da tutte le parti, intricata, cieca; nessun lume splendeva nella lontananza: “impossibile.”»
Con questo romanzo la denuncia alla nuova classe emergente, quella borghesia violenta nella sua indifferenza verso gli altri, è particolarmente feroce e pessimista. Personaggi come Michele che, sebbene abbiamo in sé una purezza di cuore in grado di ribaltare il destino della società, di fronte ad un’egemonia così potente, vengono sopraffatti dalla consapevolezza che la realtà non si può mutare, sono frequenti nella narrativa di Moravia.
E quello stesso stesso senso di sopraffazione invade l’animo di ogni sognatore, schiacciato da quella maggioranza che riesce ad annientare il desiderio di una società più giusta, oggi come ieri e come nel periodo vissuto da Moravia e di altri intellettuali che si vedono travolti dall’indifferenza e dall’ignoranza di una parte considerevole del popolo italiano che consente ad un populista spregiudicato come Benito Mussolini di prendere il potere e di trascinare il paese in disgrazia.
E se a questa caratteristica del nostro popolo, aggiungiamo una politica che favorisce il diffondersi di un’ignoranza di massa, analizzata egregiamente da Pier Paolo Pasolini, non si può fare a meno di avere dinnanzi agli occhi un quadro ben definito della società italiana contemporanea, forse più tragico di quello delineato da due dei più grandi intellettuali del nostro Novecento.

Una scena del film "Gli indifferenti" (1964) di Francesco Maselli. Tra gli interpreti Claudia Cardinale e Tomas Milian (nel ruolo di Michele)

Una scena del film “Gli indifferenti” (1964) di Francesco Maselli.
Tra gli interpreti Claudia Cardinale e Tomas Milian (nel ruolo di Michele)

Lo stile narrativo di Moravia rimanda al Naturalismo francese e all’esistenzialismo: la prosa è oggettiva e fa molto uso dei dialoghi focalizzando con estrema attenzione l’interiorità dei protagonisti.
Ebreo da parte paterna, il periodo del fascismo è per il nostro scrittore un momento difficile e molti saranno in quel tetro ventennio i viaggi compiuti per allontanarsi dal clima oppressivo dell’Italia.

Alberto Moravia con Elsa Morante

Alberto Moravia con Elsa Morante

A causa del rapporto di parentela con un cugino, fuggito nel 1929 dall’isola in cui era stato confinato, il nome dello scrittore viene inserito nelle liste della polizia come “sovversivo“. Il suo romanzo “La mascherata“, pubblicato nel 1941, viene sequestrato a causa delle accuse indirette al regime fascista e da quel momento in poi userà uno pseudonimo e scriverà solamente articoli.
Nello stesso anno convola a nozze con la scrittrice Elsa Morante.
Durante i nove mesi dell’occupazione tedesca, tra il settembre del 1943 e il maggio del 1944, si rifugia a Fondi, in Ciociaria, con la moglie. Dall’esperienza vissuta presso la famiglia ospitante in quel villaggio montano di pastori prenderà vita il romanzo “La ciociara“, pubblicato nel 1957 e che lo renderà noto in tutto il mondo.
Ma prima di tale pubblicazione, non bisogna dimenticare il romanzo breve “Agostino“, scritto nel 1944 durante la sua permanenza a Capri e che gli vale non solo la consacrazione della critica e del pubblico, ma anche il suo primo premio letterario.
Agostino” narra la storia di un ragazzino di tredici anni di famiglia agiata che nutre una profonda adorazione per la madre vedova.
moravia 7Trascorre ore a contemplarne la bellezza e nutre il desiderio di essere sempre accanto a lei.
Nel corso di una vacanza estiva ciò che per Agostino è ammirazione si tramuta in gelosia quando vede la donna insieme ad un bagnino.
La sua innocenza nell’idealizzare la donna crolla miseramente e la relazione con la madre si deteriora facendo sì che il ragazzo si allontani emotivamente da lei.
Il contatto con un gruppo di ragazzi del popolo lo pone dinnanzi alla realtà di una vita dura e ostile e gli fa conoscere un mondo nuovo e completamente differente dall’ambiente ovattato borghese in cui è cresciuto.
La sua iniziazione sessuale comincia attraverso un’esperienza completamente contrastante alla sua posizione sociale. E così come Michele de “Gli indifferenti”, anche Agostino, pur anelando ad un mondo puro e privo di corruzione, è pronto a capitolare subendo in parte il fascino dello squallore della realtà che lo aiuta anche a conoscere più a fondo se stesso.
Il tema della perdita dell’innocenza viene affrontato dall’autore anche nel suo romanzo già citato “La ciociara” da cui è stato tratto l’omonimo film di Vittorio De Sica con la splendida interpretazione di Sofia Loren che vincerà il premio Oscar come migliore attrice protagonista.

Una scena del film "La ciociara" diretto da Vittorio De Sica (1960)

Una scena del film “La ciociara” diretto da Vittorio De Sica (1960)

Cesira, contadina della Ciociaria, rimane vedova e cresce da sola la propria figlia Rosetta. A causa della guerra è costretta a lasciare Roma e fugge insieme alla figlia sulle montagne della Ciociaria. Il contatto con la tragedia della guerra le porta a sperimentare la viltà e la bassezza degli uomini e vivranno in prima persona l’atrocità del conflitto, la decadenza delle relazioni umane e la onnipresente indifferenza.
Considerato uno dei romanzi di maggior contributo alla Resistenza e all’antifascismo, mostra sin dall’inizio l’immaturità politica di Cesira, indifferente nei confronti del fascismo e della guerra. Donna pratica ed interessata solamente all’amore sconfinato per il suo bene più prezioso, la figlia, sarà soprattutto lo stupro di quest’ultima, ad opera di una pattuglia di soldati marocchini, ad aprirle gli occhi sulla crudeltà della guerra. E la perdita dell’innocenza della figlia che prima della tragedia era totalmente ignara della sessualità, assurge a simbolo dello stupro della speranza e dei sogni dell’umanità. Ma la vita va avanti e un altro dolore più grande ne cancellerà un altro. E l’innocenza non tornerà mai più per tutti coloro costretti ad ingoiare un mondo che ha ben poco da donare ai sognatori e a chi si affaccia alla vita pieno di speranze presto schiacciate da un’opprimente realtà.

Della numerosa produzione letteraria di Moravia, bisogna ricordare soprattutto il romanzo “La noia” (1960), considerato il fondamento dell’ideale trilogia cominciata con “Gli indifferenti” e poi conclusa con “La vita interiore“.
Senza tralasciare l’importanza di tutti i suoi scritti, ritengo che i romanzi da me citati riescano a condensare magnificamente il pensiero di questo grandissimo scrittore che con “La noia” riesce ad offrire un ritratto dell’uomo contemporaneo ancora tristemente attuale.
moravia 9Il disagio esistenziale di un artista, Dino, viene delineato in modo efficace nel suo continuo scontro con la realtà ed il sentimento che lo perseguita sin da bambino, la noia, viene così descritto: «Per molti la noia è il contrario del divertimento; e divertimento è distrazione, dimenticanza. Per me, invece, la noia non è il contrario del divertimento; potrei dire, anzi, addirittura, che per certi aspetti essa rassomiglia al divertimento in quanto, appunto, provoca distrazione e dimenticanza, sia pure di un genere molto particolare. La noia, per me, è propriamente una specie di insufficienza o inadeguatezza o scarsità della realtà».
Dino è un pittore che, assalito dalla noia, non riesce più a realizzare un quadro. Attribuisce la causa del suo malessere all’agiatezza in cui vive e lascia la famiglia per trasferirsi in uno studio di un pittore deceduto, ex amante di una diciassettenne con cui l’uomo intrattiene una relazione puramente sessuale incapace di fargli superare quel torpore esistenziale che si è impadronito del suo essere. Solo quando scopre che Cecilia, la ragazza con cui s’incontra, ha un altro uomo, perde la ragione al punto di tentare di ucciderla per potersi impossessare di lei, sfuggente e indecifrabile come la realtà che lo circonda: «Anche quando le avveniva di dare una risposta esatta, mi lasciava egualmente nel dubbio con il suo linguaggio freddo, generico e scolorito che sembrava essere il frutto di una disattenzione invincibile». Simbolica la scena del denaro che inficia la vita di ogni essere umano quando Dino, sopraffatto dalla disperazione, copre tutto il corpo di Cecilia di banconote. È il denaro a contaminare il mondo di Dino ed anche la società di tutti i tempi, il motore di un’umanità sempre più allo sbando e su cui pochi si soffermano a riflettere. Un’opera che ancora una volta delinea la tragedia dell’uomo borghese, un’opera ancora oggi attuale fondata su problematiche che imporrebbero una rivalutazione dei valori delle relazioni umane e che possano andare oltre quel binomio sesso-denaro, prigione della nostra società.

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Due anni dopo la pubblicazione del romanzo “La noia”, Moravia si separa dalla moglie ed intraprende una relazione sentimentale con la scrittrice Dacia Maraini che lo accompagnerà nei numerosi viaggi intorno al mondo.
Dell’esperienza di alcuni soggiorni in Africa scriverà alcuni articoli per Il Corriere della Sera.
Nel 1983 pubblica una raccolta di racconti, “La cosa” dedicati alla sua nuova compagna, Carmen Llera.
La morte lo coglierà il 26 settembre del 1990 nella sua casa di Roma.
A questo grande autore che ha saputo raccontare in modo sofferto l’Italia del XX secolo attraverso romanzi, racconti, saggi e interventi giornalistici, dedico un piccolo omaggio con una raccolta dei suoi pensieri più significativi e brani tratti dai suoi romanzi.

Alberto Moravia sulla spiaggia davanti alla sua casa a Sabaudia, 21/10/1977

Alberto Moravia sulla spiaggia davanti alla sua casa a Sabaudia, 21/10/1977

Tutti gli uomini, senza eccezioni, sono degni di compassione, non fosse altro che perché vivono.
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Quando non si è sinceri bisogna fingere, a forza di fingere si finisce per credere; questo è il principio di ogni fede.
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La poesia è come l’acqua nelle profondità della terra. Il poeta è simile a un rabdomante, trova l’acqua anche nei luoghi più aridi e la fa zampillare.
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Tutti la perdiamo, la nostra innocenza, in un modo o in un altro: è la normalità.
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La mia noia potrebbe essere definita una malattia degli oggetti, consistente in un avvizzimento o perdita di vitalità quasi repentina; come a vedere in pochi secondi, per trasformazioni successive e rapidissime, un fiore passare dal boccio all’appassimento e alla polvere.
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moravia 12La schiavitù non va ignorata mettendovi sopra un’etichetta storica; va invece considerata come una tentazione permanente e insidiosa di tutte le culture, anche delle più alte e progredite, come si è visto, purtroppo, in tempi recenti, col nazismo tedesco e lo stalinismo russo. E come una tentazione, essa va spiegata e chiarita fino in fondo e non soltanto repressa senza curarsi di rintracciarne le cause profonde.
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La vita non cambia, non vuol cambiare.
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Questo è certamente uno dei peggiori effetti della guerra: di rendere insensibili, di indurire il cuore, di ammazzare la pietà.
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Era la normalità che l’attraeva; e tanto più in quanto gli si rivelava non casuale né affidata alle preferenze e alle inclinazioni naturali dell’animo bensì prestabilita, imparziale, indifferente ai gusti individuali, limitata e sorretta da regole indiscutibili e tutte rivolte ad un fine unico.
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Si può talvolta essere fedelissimi e non amare… In certi casi, anzi, la fedeltà è una forma di vendetta, di ricatto, di rivalsa dell’amor proprio.
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L’invidia è come una palla di gomma che più la spingi sotto e più torna a galla.
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Si vede che lo sport rende gli uomini cattivi, facendoli parteggiare per il più forte e odiare il più debole.
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L’amicizia è più difficile e più rara che l’amore. Per questo motivo si deve conservarla così com’è.
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L’amore è in gran parte comunione fisica; ma non mi bastava, perché non ho mai potuto non dico amare ma neppure trovare tollerabile un uomo per le sue sole qualità corporali.
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C’è sempre di mezzo il denaro, in quello che facciamo, in quello che siamo, in quello che vogliamo diventare, nel nostro lavoro, nelle nostre aspirazioni migliori, persino nei nostri rapporti con le persone che amiamo.
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Gli uomini veramente di profondo senso religioso non si scandalizzano mai. Insomma, non credo che Cristo si scandalizzasse mai. […] Anzi non si è mai scandalizzato. Si scandalizzavano i farisei.
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I giovani del Sessantotto, e quelli che sono venuti dopo, pensano che il mondo vada cambiato, cambiato con la violenza, ma non vogliono sapere perché, e come cambiarlo. Non vogliono conoscerlo, e dunque non vogliono conoscere se stessi.
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L’uomo vuole sempre sperare. Anche quando è convinto di essere disperato.
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