«Ogni poesia che non sia esagerata, è vera, e tutto ciò che dà un’impressione durevole e profonda, non è esagerato. Quanto al resto, la gente non deve interessarsene; verso la mera curiosità non s’è tenuti alla risposta. Per me, utilizzare l’esperienza è sempre stato essenziale: inventare di fantasia non è mai stato il mio mestiere. Ho sempre considerato il mondo, più geniale del mio genio.»
Non è facile descrivere la grandezza di Goethe; le parole potrebbero sminuire l’immenso valore della produzione letteraria e filosofica che ha donato al mondo con opere volte a scoprire in profondità quel mondo spirituale che si stava offuscando con il sopravvento dell’Illuminismo e del materialismo, e le cui conseguenze sono tutt’oggi visibili negli aspetti principali del mondo contemporaneo.
Bisogna leggere Goethe e respirare l’intenso profumo della natura che oltrepassa quelle pagine poetiche la cui incantevole fragranza è potentemente intrisa delle emozioni dei personaggi creati. E coglierne altresì la sua genialità tra le cui componenti si individua la rarissima abilità di distinguere coscientemente le tappe della propria evoluzione spirituale calibrando sapientemente le esperienze della vita esteriore in sorprendente armonia con i tempi, in continuo e pacato rinnovamento interiore. Nell’arco della sua vita confluiscono in lui le esperienze più significative della nuova società borghese europea e la sua figura grandeggia come sintesi dell’età moderna.
Delle due correnti antitetiche del periodo in cui vive ne coglie gli aspetti più affascinanti. La nobile semplicità e la quiete grandezza” del Neoclassicismo e il tempestoso impeto preromantico dello Sturm und Drang trovano in Goethe la massima espressione, al punto che quel movimento culturale definito Romanticismo, in Germania dà vita ad una corrente molto più estesa e complessa, sovente denominata “Età di Goethe“.
Icona per eccellenza della cultura tedesca, la sua opera si distingue per la maniera differente di rappresentare e decifrare la natura, la storia e la società. Nelle sue tragedie, nei suoi romanzi e nelle sue poesie, si avverte non solo un’appassionata ricerca dei suoni linguistici, ma anche una penetrante meditazione sui sentimenti umani. Il suo interesse spazia su tutta l’umanità, della quale ricerca l’evoluzione e i destini: studia le civiltà orientali ed estende i suoi interessi alla storia, letta come pulsazione dell’eterno divenire della natura, fondendo la filosofia naturalistica con la spiritualità dell’universo.
Ho deciso di introdurre questo scrittore con un pensiero che ne sottolinea il desiderio di preservare la propria vita privata a quelle malsane curiosità di riferimenti biografici della sua vasta opera, accentuandone ulteriormente la grandezza in quel pensiero finale che apre l’articolo: «Ho sempre considerato il mondo, più geniale del mio genio.»
Nato il 28 agosto del 1749 a Francoforte del Meno, da una famiglia agiata e culturalmente vivace, il piccolo Johann Wolfgang assorbe sin da bambino una visione cosmopolita del mondo grazie ai frequenti contatti dei genitori con personaggi famosi di lingua non tedesca. Trasferitosi a Lipsia nel 1765 per iniziare gli studi di giurisprudenza, già conosce diverse lingue e mostra una profonda curiosità per gli ambienti intellettuali del periodo. Ma la prevalenza di una routine letteraria rivolta principalmente al Rococò si rivela deludente per Goethe, così come la vita mondana della città verso cui non prova alcuna attrazione. Tornato nel 1768, a Francoforte conosce un’amica della madre, Susanne von Klettenberg, devota frequentatrice delle comunità pietistiche, con cui il giovane si confronta traendo da tale religiosità l’aspetto che maggiormente suscita il proprio interesse: la conoscenza del mondo della natura e la sua intima relazione con l’animo umano. Il suo arricchimento culturale prosegue a Strasburgo, dove completa gli studi universitari e viene in contatto, negli anni tra il 1770 e il 1771 con Johann Gottfried von Herder, noto filosofo e critico tedesco, che gli indica in Shakespeare, in Ossian e nella poesia popolare ben altri modelli da approfondire. È proprio Herder, l’animatore della nuova corrente letteraria dello Sturm und Drang, a dare una struttura consapevole all’universo poetico ancora informe e fluido del nostro.
Il soggiorno a Strasburgo si può ritenere uno dei più incisivi nella formazione culturale di Goethe che instaura amicizie significative con molti intellettuali della città.
Intreccia una relazione amorosa tormentata e dolorosa con Friederike Brion, e da tale sofferenza emergono le sue prime e appassionate liriche.
Dopo la laurea, fa ritorno a Francoforte dove comincia la sua professione di avvocato, ma il suo interesse principale ha ormai preso il sopravvento sugli studi giuridici intrapresi; pubblica recensioni, compie alcuni viaggi e si fidanza con Lili Schönemann.
Il legame con la giovane Lili reca una profonda inquietudine nello scrittore, probabilmente non ancora pronto ad un passo decisivo della sua vita.
Nel 1774 si dedica alla stesura del romanzo epistolare sull’amore impossibile che lo renderà famoso in tutto il mondo, “I dolori del giovane Werther“, e l’anno successivo lascia per sempre la sua città natale, tronca il suo fidanzamento con Lili Schönemann e accetta l’incarico di precettore dal duca August di Sachsen-Weimar.
A Weimar ottiene degli incarichi politici e culturali prestigiosi e la sua presenza accanto al duca attira i maggiori intellettuali dell’epoca, tra cui lo stesso Herder e Schiller.
La cittadina di appena seimila abitanti si anima improvvisamente grazie alle iniziative culturali dello scrittore, che vede però accrescere la propria inquietudine. Divenuto esperto economista, Goethe sente che la vita condotta fino a quel momento soffoca il poeta che è in lui. L’amore elevato per la dama di corte Charlotte von Stein esercita una notevole influenza nella sua concezione poetica, il cui tormento di quel periodo si può riscontrare nella bellissima poesia “Canto notturno del viandante“di seguito riportata:
Tu che appartieni ai celesti
che plachi ogni gioia e dolore,
che colmi chi è tanto più misero
di tanto maggiore sollievo.
Sono stanco di trascinarmi!
Che valgono piacere e tormento?
O dolce pace,
vieni, vieni dentro il mio petto!
Convinto di essere investito da una missione etica, per salvare la poesia che si agita in lui Goethe realizza un sogno della sua giovinezza e nel 1786 intraprende in incognito un viaggio in Italia, patria delle tradizioni classiche e della poesia.
Trascorre due anni nel “paese dove fioriscono i limoni” e si dedica con entusiasmo allo studio dell’arte classica e rinascimentale che lo stimola a raggiungere uno stile armonico ed equilibrato per descrivere il turbamento emotivo delle passioni umane. Una permanenza che sembra dunque riassestare il suo equilibrio giungendo al dominio quieto e rassegnato di una realtà che riesce a fargli apprezzare i suoi vecchi ideali apparentemente sopiti. Si ridestano le sue energie creative, smorzate dalla vita di corte.
Sebbene nei libri di letteratura spesso l’evoluzione artistica di Goethe venga suddivisa in alcuni periodi principali che vedono la sua giovinezza legata allo Sturm und Drang, e la maturità legata al classicismo weimariano nato dalla collaborazione con Schiller, bisogna, come già sottolineato nell’introduzione, specificare che l’innovazione della sua opera proviene proprio da quella fusione tra correnti differenti da cui riesce a trarre ciò che considera migliore.
Il suo ritorno a Weimar viene accolto con estrema freddezza per l’improvvisa scoperta della relazione che Goethe aveva intrapreso con la giovane operaia Christiane Vulpius. Si sposa con la donna nel 1806, dopo aver avuto un figlio che morirà nel 1830.
Nonostante l’accoglienza gelida riservatagli, lo scrittore rimane a Weimar.
Si dimette dagli incarichi politici, focalizzando la propria attenzione ad iniziative culturali che suscitano l’interesse di altri intellettuali del periodo. Dirige il teatro ducale e approfondisce gli studi scientifici, già iniziati da anni con grande passione.
Degli importanti avvenimenti storici del periodo in cui vive ne è un attento osservatore, ma senza mai mostrare un vero coinvolgimento. Guarda con diffidenza la Rivoluzione francese, che considera un angosciante tumulto di una massa caotica e violenta, senza intravedervi l’espressione di una reale richiesta di uguaglianza e con la medesima indifferenza osserva i tentativi di unificazione tedesca.
Dopo la morte della moglie, avvenuta nel 1816, Goethe instaura due significative relazioni amorose, dapprima con Marianne von Willemer, una donna sposata con cui intrattiene una corrispondenza epistolare e, successivamente, con Ulrike von Lewetzow, il cui matrimonio con un altro uomo lo ferisce profondamente.
Tuttavia la sua forza creativa non viene mai interrotta da questi eventi e prosegue sino agli ultimi giorni della sua vita.
Si spegnerà a Weimar il 22 marzo del 1832.
Nella vasta produzione letteraria di Goethe sono da annoverare innanzitutto le liriche, nei cui notturni trasognati, nei colori della cangiante libellula e nel fascino ambiguo delle acque emerge la scoperta della natura, motivo ricorrente della sua opera.
La riscoperta del panteismo di Spinoza conduce inizialmente lo scrittore a considerare la natura un compimento dell’essere, una fusione dell’uomo con il cosmo e dalla lettura dei suoi meravigliosi versi si evince uno stile che si sviluppa attraverso una metrica libera in cui domina la figura del poeta-viandante, simbolo di una perenne ricerca. Solo con il passare degli anni quell’impeto iniziale si appanna e gli studi scientifici di Goethe, le cui opere sono da considerarsi in stretta relazione con la sua produzione letteraria, approdano ad una visione più razionale.
Dei romanzi meritano un’attenzione particolare il già citato “I dolori del giovane Werther” e “Le affinità elettive“.
Il primo romanzo, che rappresenta anche l’esordio letterario di Goethe, racconta la storia di un innamorato non corrisposto ed è scritto in prima persona, in stile epistolare.
Molte sono state le interpretazioni di questo romanzo che raccoglie le confessioni di un giovane infelice ad un amico forte ed equilibrato nel quale il protagonista si specchia e da cui trae conforto. La sua passione senza speranza cresce inesorabilmente ogni giorno di più fino a tramutarsi nell’ insopportabile agonia di un’anima nobile che sceglie la rinuncia.
La realtà psicologica, che racchiude le due anime diverse di Goethe e di ognuno di noi, ovvero la razionale e la sentimentale, si risolve in un monologo idillico che può considerarsi il più significativo preludio al Romanticismo.
Primo esempio di romanzo moderno, la maggior parte dei critici ne ha messo solamente in risalto il tema dell’amore romantico, unico riparo dall’aspra durezza della realtà, spesso tralasciando il ruolo determinante della natura che assurge a luogo rasserenante o terribilmente cupo e ostile in sintonia con i sentimenti del protagonista.
L’amore è fonte di gioia e dolore. Indubbiamente un tema romantico, ma che non cela il contenuto nettamente rivoluzionario del libro con la sua denuncia verso la società aristocratico-feudale tedesca, frazionata in piccoli principati assolutistici e nel tragico epilogo finale, che sfocia nel suicidio di Werther, non si avverte un crollo della tensione rivoluzionaria dello scrittore e della sua missione affidata all’arte nel denunciare i mali della società. Basta soffermarsi alla disumana indifferenza finale in cui si legge «portarono il morto alcuni artigiani, nessun prete lo accompagnò».
Romanzo adorato dagli Stürmer e deplorato dal clero, dai materialisti e dai perbenisti, viene censurato in alcuni paesi tedeschi a causa dell’aumento di suicidi tra i giovani di quel periodo che considerano il giovane artista Werther, in perenne conflitto con gli schemi convenzionali della società, un modello da seguire. La sua risonanza in Europa è immediata ed influenzerà la sorte di numerosi innamorati infelici.
“I dolori del giovane Werther” si distingue per una prosa musicale soffusa di toni intimi e suggestivi e tradisce gli ultimi dolorosi bagliori di una passione giovanile di Goethe. La struggente storia del romanzo prende vita dal suicidio di uno dei migliori amici dello scrittore, Jerusalem, filosofo e segretario di legazione.
L’etica della rinuncia è uno dei temi fondamentali del complesso romanzo “Le affinità elettive” in cui lo scrittore analizza ancora una volta con attenzione la situazione sociale del tempo che vede in profonda crisi l’istituzione del matrimonio. Sconvolgente pur nella sua apparente pacatezza, deve il titolo, come spiega lo stesso Goethe, al principio che esistano delle analogie tra i fenomeni della natura e i comportamenti sociali.
Pubblicato nel 1809, presenta un panorama psicologico più ampio, rispetto a “I dolori del giovane Werther” e l’amore arriva ad oggettivarsi in eterno dissidio tra sentimento e legge morale.
Goethe prende spunto dalla teoria scientifica dell’associazione meccanica di elementi chimici complementari, sostenendo che anche nella sfera umana un’irrefrenabile forza magnetica attrae gli esseri umani incidendo notevolmente sui loro sentimenti, sebbene spesso in contrasto con le convenzioni morali. È il risveglio della coscienza a determinare la lotta tra piacere e dovere affinché sulla cieca potenza dell’eros prevalga la ragione, anche se crea infelicità e provoca delle vittime.
Il romanzo vede quattro protagonisti non inclini per natura al tormento interiore: una coppia fissa e due personaggi liberi.
Edoardo e Carlotta vivono il loro matrimonio in modo apparentemente sereno, ma tale stabilità viene scossa dall’irrompere di due figure, Ottilia e il Capitano.
Tra Edoardo e la giovane Ottilia, così come accade contemporaneamente a Carlotta e al Capitano, divampa una irrefrenabile passione delineata in modo profondo e simbolico; la prima coppia sembrerebbe raffigurare l’adolescenza, scevra da compromessi e incapace di accettare la realtà e di mitigare gli eccessi. La seconda coppia, invece, pur cosciente delle emozioni sorte dal fatidico incontro, riesce a gestirlo senza lasciar prendere il sopravvento e sperando che una forzata separazione possa riportare l’equilibrio della situazione iniziale.
L’autore lascia ben intuire la sua simpatia verso i protagonisti irrazionali, sebbene paghino un prezzo elevato a causa della loro mancanza di riflessione. Il romanzo pone degli interrogativi sulla duplicità dell’essere umano, il cui equilibrio tra istinto e ragione, sogno e realtà, ideale e reale, è molto complesso e va oltre quelle mere considerazioni moraliste imposte dalla società. E lo stesso Goethe non sembra proprio avesse fatto tesoro dei diktat della morale dell’epoca fino agli ultimi giorni della sua vita condotta da eterno adolescente alla ricerca di un equilibrio che forse esiste solo alla fine della nostra esistenza. Un equilibrio in cui gli apparenti vincitori sono anche vinti perché decidono di rinunciare alla loro inutile libertà; mentre coloro che appaiono agli occhi del mondo perdenti sono anche vincitori perché la morte rende immortale il loro indissolubile legame.
Il romanzo suscita un’eco di critiche morali contrastanti da cui Goethe riesce a destreggiarsi mirabilmente asserendo che la storia narrata non rappresenta altro che la sublimazione del matrimonio al quale sono sacrificati gli amori naturali ma estranei a tale sacro vincolo.
Mezzi toni e sfumature leggere accompagnano un romanzo a tratti maestoso e a tratti intimamente raccolto in uno stile puro e sofferto che narra un dramma collettivo in grado di risvegliare nei protagonisti la dolorosa consapevolezza della colpa. E nel caso della svagata e innocente Ottilia tale rimorso sfocia in una lenta consunzione interiore che la condurrà alla morte. Proprio Ottilia, che secondo alcuni studiosi ricorda una ragazza fragile e appassionata amata in gioventù dallo scrittore, testimonia quella verità ineluttabile del sopravvento della ragione che cerca di ricomporre secondo le leggi morali il gioco dell’amore. Ma per la ragazza e la sua acuta sensibilità ciò avviene troppo tardi.
Ultimo suo romanzo, “Le affinità elettive” viene considerato il capolavoro assoluto di Goethe insieme a il “Faust” che ben sintetizza il pensiero di questo immenso autore in cui filosofia, poesia, scienza, contrasto etico tra bene e male, colpa e catarsi convengono in quadri lirico-drammatici di grande effetto.
Di seguito alcune citazioni di questo grande autore, di cui non bisogna nemmeno dimenticare le sue grandi e indimenticabili opere teatrali ed una saggistica di notevole interesse filosofico. Per vedere l’elenco completo di tutte le sue opere basta cliccare qui.
Chi crede nell’immortalità si goda la sua felicità in silenzio, non ha nessun motivo di darsi delle arie.
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È meglio ingannarsi sul conto dei propri amici che ingannare i propri amici.
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La vita appartiene ai viventi, e chi vive deve essere preparato ai cambiamenti.
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La pazzia, a volte, non è altro che la ragione presentata sotto diversa forma.
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La vendetta più crudele è il disprezzo di ogni vendetta possibile.
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Per sfuggire al mondo, non c’è mezzo più sicuro dell’arte; e niente è meglio dell’arte, per tenersi in contatto col mondo.
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«O uomini,» esclamai «si discorre d’una cosa e subito sentenziate: “È da pazzi, è da savi, è bene, è male!” Ma cosa significa? Avete prima esplorato i segreti moventi di un’azione? Siete capaci di descrivere esattamente le cause per cui la tal cosa è avvenuta, doveva avvenire? Se foste capaci di farlo, non sareste così sbrigativi nei vostri giudizi.»
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«O persone ragionevoli!», esclamai sorridendo. «Passione! Ebbrezza! Delirio! Voi siete così impassibili, così estranei a tutto questo, voi uomini per bene! Rimproverate il bevitore, condannate l’insensato, passate dinanzi a loro come il sacrificatore e ringraziate Dio, come il fariseo, perché non vi ha fatto simili a loro! Più di una volta io sono stato ebbro, le mie passioni non sono lontane dal delirio, e di queste due cose io non mi pento perché ho imparato a capire che tutti gli uomini straordinari che hanno compiuto qualcosa di grande, qualcosa che prima pareva impossibile, sono stati in ogni tempo ritenuti ebbri o pazzi… Ma anche nella vita d’ogni giorno è intollerabile sentir gridare ogni qualvolta stia per compiersi un’azione libera, nobile e inattesa: “Quest’uomo è ubriaco, è pazzo!”. Vergognatevi, uomini sobri! Vergognatevi, uomini saggi!»
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Un uomo non impara a comprendere nulla a meno che non la ami.
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La cosa più bella nei bambini è il ricordo della notte in cui li abbiamo fatti.
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Niente è più difficile da vedere con i propri occhi di quello che si ha sotto il naso.
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Tu mi domandi com’è la gente di qui? E io ti devo rispondere: come dappertutto! Il genere umano è cosa davvero monotona. La maggior parte degli uomini consuma quasi tutto il suo tempo per vivere, e quel poco che gli resta di libertà, li spaventa tanto, che cercano con ogni mezzo di liberarsene.
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Ci sarebbero meno dolori tra gli uomini se essi non s’industriassero con tanto zelo a rievocare i ricordi del male trascorso invece di sopportare un tollerabile presente.
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Ora niente mi dà tanta noia come quando gli uomini si tormentano fra loro, specie poi quando sono giovani nel fiore della vita, che dovrebbero essere apertissimi a tutte le gioie, e invece si sciupano quei brevi giorni per sciocchezze e poi troppo tardi s’avvedono dell’irreparabile sperpero.
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Tutto al mondo finisce in nulla, e chi si tormenta per le ricchezze, o per gli onori, o per qualunque altro scopo non è che un pazzo, se lo fa per causa d’altri e senza sua passione o necessità.
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Potrei condurre la più bella vita, la vita più beata, se non fossi un pazzo.
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Che i bambini non sappiano quello che vogliono, su questo sono perfettamente d’accordo precettori e maestri dottissimi; ma che anche gli adulti brancolino alla cieca su questo pianeta, come i bambini, e come loro non sappiano da dove vengano né dove vadano e infine che neppure loro agiscano per motivi veri e reali, ma si lascino invece guidare solo da zuccherini, dolci e frustate: questo nessuno è disposto a crederlo e a me invece sembra una verità addirittura evidente.
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[…] a questo mondo si combina ben poco con gli aut aut; i sentimenti e i modi di agire hanno tante sfumature cosí varie e diverse quante ne passano fra un naso aquilino e un naso camuso.
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Non c’è al mondo una gioia più vera e più grande che vedere una nobile anima aprirsi ad un’altra.
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Ma che razza di gente sono mai costoro, che nella vita non si preoccupano d’altro che del cerimoniale, che per anni sognano e calcolano solamente come intrufolarsi a tavola un posto più su!
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La mediocrità non ha consolazione più grande del pensiero che il genio non è immortale.
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Un uomo che si vanta di non cambiare mai opinione è uno che si impegna a camminare sempre in linea retta, un cretino che crede all’infallibilità. In realtà, non esistono principi, ci sono soltanto avvenimenti; non esistono leggi, ci sono soltanto circostanze: l’uomo superiore sposa gli avvenimenti e le circostanze per guidarli.
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È meglio che si facciano delle ingiustizie che non che esse siano tolte in modo ingiusto.
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I legislatori o rivoluzionari che promettono insieme uguaglianza e libertà sono o esaltati o ciarlatani.
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Norwegia
Człowiek jest do tego stopnia egoistyczny, że stojąc nad grobem przyjaciela, potrafi płakać nad sobą z powodu jego utraty. Agnieszka Lisak
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