«Non si può impedire di invecchiare, ma si può impedire di diventare vecchi.»
Colori molto accesi caratterizzano gran parte della produzione di Henri Matisse, la cui arte viene collocata nel movimento di quei pittori denominati “Fauves“, in seguito ad una loro prima rappresentazione delle opere, nel 1905, al Salon d’Automne di Parigi. Quei dipinti appaiono ai loro contemporanei particolarmente violenti nei colori e nei tratti e la sensazione derivata dall’osservazione di questi quadri rimanda a pittori che sembra abbiano voluto liberare sulla tela i loro istinti primordiali e animaleschi. Ed il termine “Fauve” viene utilizzato per la prima volta da un critico che, mentre visita la mostra, si accorge di una scultura classica accanto a quei dipinti ed esclama con disappunto: «Ecco Donatello fra le belve».
Il linguaggio stilistico di Matisse si traduce in una esasperazione dei contrasti che sembra voglia oltrepassare ogni obiettivo di verosimiglianza. E proprio per tale ragione si differenzia dall’Impressionismo, vincolato all’apparenza visibile, cui i “Fauves”, chiamati anche espressionisti, si oppongono ponendo in primo piano l’interiorità e le emozioni ed aprendo così la strada alle avanguardie. Per approfondire i punti in comune e le divergenze tra i due movimenti, potete cliccare qui.
Figlio di un commerciante e di un’acquarellista dilettante, Matisse nasce il 31 dicembre 1869 a Le Cateau-Cambrésis in Francia. Poche sono le notizie riguardanti la sua infanzia. Dopo il liceo, per volere del padre, intraprende gli studi giuridici e comincia a lavorare presso uno studio legale. Per sfuggire alla noia di un impiego che non lo soddisfa, decide di seguire le lezioni di disegno presso una scuola d’arte. L’arte riesce a fargli dimenticare la frustrazione di un lavoro quotidiano che non ama e tale passione cresce ogni giorno di più fino a culminare nel 1890, quando, costretto a stare immobile per un significativo lasso di tempo, inizia a dipingere realizzando nello stesso anno “Natura morta con libri e candela“.
E proprio in quel periodo di tempo prende la decisione di dedicarsi a tempo pieno a quella che scopre essere la sua passione.
A ventidue anni abbandona gli studi giuridici, si reca a Parigi e, contro il volere del padre, si iscrive all’Accademia Julian per poter accedere alla prestigiosa “Ecole des Beaux Arts“. Grazie al sostegno del suo maestro, Gustave Moreau, presso il cui studio inizia a lavorare nel 1892, sarà esonerato dall’esame di ammissione. Moreau si rende subito conto dell’immenso talento del suo allievo.
È un periodo di enormi studi in cui Matisse comincia la sua profonda ricerca stilistica iniziando a copiare i dipinti di Delacroix e Chardin e le sue prime opere, soprattutto ritratti paesaggistici e nature morte, saranno esposte al Salon de la Societé nationale des Beaux Arts. Opere di formazione che denotano chiaramente l’immaturità artistica del nostro che, nel 1896, subisce il fascino dell’impressionismo, indirizzando la sua ricerca verso nuovi ed ancora inesplorati sentieri per approdare poi a quello stile singolare e facilmente riconoscibile che lo renderà noto in tutto il mondo.
Alla morte di Moureau, nel 1899, lascia la Societè des Beaux Arts e compra delle opere che mostrano la sua continua evoluzione artistica e la sua perenne ricerca di nuove forme stilistiche. Acquista infatti “Le tre bagnanti” di Paul Cézanne, “Testa di fanciullo” di Paul Gauguin e un disegno di Vincent Van Gogh, mostrando il suo accostamento ad una pittura molto differente dall’impressionismo ed anche dal puntinismo ben evidente nell’opera “Lusso, calma e voluttà“.
Dopo questo dipinto, in cui sono evidenti le influenze del puntinismo in quell’abolizione delle mescolanze del colore lasciandone la fusione agli occhi dell’osservatore, la stenditura del colore in Matisse comincia ad estendersi, i toni si potenziano ed il tratto si sfoltisce. Puntinismo e divisionismo, movimenti apparentemente simili ma che vedono in quest’ultimo un’attenzione particolare alle problematiche sociali, rappresentano ormai il passato del nostro pittore.
A Parigi stringe amicizia con Albert Marquet, André Derain e Maurice de Vlaminck e insieme a questi ultimi fonda il movimento dei Fauves (Belve) che espongono le loro prime opere nel 1905 al Salon d’Automne. L’appellativo di “belve”, coniato dal critico Vauxcelles, nasce dall’esigenza di questi artisti di usare il colore come violenta espressione artistica e i tubetti vengono spesso spremuti e stesi direttamente sulla tela in modo libero. La loro arte si distingue anche per la netta marcazione delle linee dei contorni. Nasce così la prima opera “Fauve” di Matisse: “Donna con cappello“.
La critica è molto dura nei loro confronti e i loro dipinti vengono liquidati come “indicibili aberrazioni” ed in particolare il dipinto di Matisse viene definito “una pentola di colori rovesciata in faccia al pubblico“.
L’influenza di Gauguin, Van Gogh e Cézanne è ben evidente in tale ritratto e rappresenta la svolta stilistica del pittore che ritrae la moglie Amélie, sposata nel 1898, dopo la relazione con la modella Caroline Joblau da cui aveva avuto una figlia. Sia nel ritratto “Donna con cappello” che in un altro quadro esposto nella stessa mostra e che divide critica e pubblico, “Ritratto di André Derain“, si nota l’uso rivoluzionario del colore e la netta separazione tra zone illuminate e zone in ombra.
L’assenza del chiaroscuro tradizionale è ben palese in ritratti in cui il contrasto viene attuato solo attraverso un uso mirabile del colore. In quest’ultimo ritratto si nota, così come nel primo, l’utilizzo di colori complementari (il rosso steso per il berretto si staglia su uno sfondo verde) ed una linea blu funge da separazione tra luce e ombra. Anche per quanto riguarda il viso del pittore ritratto, il cui incarnato viene reso con i toni dell’arancio, Matisse realizza uno sfondo blu, complementare al colore usato per il viso di Derain. Il gioco di colori attuato dall’artista si rileva proprio in questo bizzarro uso di colori complementari, dove, per far emergere le figure ritratte, fa un pieno uso di colori caldi su un fondo steso vigorosamente con tonalità fredde.
La scrittrice statunitense Gertrude Stein compra un suo quadro e, grazie a lei, Matisse conosce altri artisti e comincia ad acquisire notorietà e qualche consenso dai critici del tempo.
L’anno seguente un’altra ambiziosa opera “Fauve” viene prodotta dall’artista, “La gioia di vivere“, in cui tradizione classica, influenze di Gauguin e di Manet prendono forma in un dipinto dai colori sgargianti che trasmette uno dei temi ricorrenti nella sua opera, un inno alla vita di un artista coraggioso e trasgressivo, ma molto sereno nella sua vita privata; la sua esistenza, infatti, dopo il matrimonio con Amélie e la nascita di due figli, trascorre per lo più in famiglia, in un clima privo di tensioni.
Molto ansioso in età giovanile, Matisse trascorre la sua esistenza nel cercare una quiete interiore che sembra raggiungere grazie all’arte e alla sua famiglia. La sua citazione preferita e che sembra proprio racchiudere la sua concezione dell’arte gli viene ispirata da Sofocle: «Quando gli uomini uccidono la gioia non mi pare che vivano».
La sua è dunque un’arte volta a trasmettere, attraverso quei colori esplosivi, il desiderio di grazia e di armonia con il mondo.
E in quella famosa scena di bagnanti che tanto sconcerto provoca in molti critici, l’acuta e colta collezionista Gertrude Stein riesce a comprendere la grandezza dell’artista così commentando il dipinto: «In questo quadro Matisse realizza per la prima volta la sua intenzione di deformare le linee del corpo umano, al fine di armonizzare e semplificare il valore artistico dei colori puri, che adoperava soltanto accoppiati al bianco. Egli applica questa deformazione sistematica del disegno nello stesso modo in cui la musica si fa uso di dissonanze, in cucina di aceto o limone».
Un altro dipinto che merita grande attenzione per penetrare l’arte di Matisse è “La danza“, realizzato nel 1909.
Un quadro decisamente gioioso che esprime la serenità e l’equilibrio raggiunti dall’artista in quel fluire di figure in un movimento circolare che sembra non aver fine. Due le versioni di questo famoso dipinto ed il secondo si distingue per l’accentuarsi di quei colori, già piuttosto accesi nel primo.
Le due opere riescono, attraverso l’uso di pochi colori, ad esprimere l’allegria di un girotondo che suggerisce il continuo rinnovamento della vita. Ed il sogno di Matisse di conseguire un’arte volta ad infondere serenità sembra raggiungere l’apice con questo straordinario dipinto il cui cerchio ovale non è destinato a chiudersi perché, come accade nella nostra stessa vita, tutto è mutamento e rinascita. Matisse commenta con le seguenti parole il suo dipinto, così come tutta la sua arte: «Il mio obiettivo è rappresentare un’arte equilibrata e pura, un’arte che non inquini né turbi. Desidero che l’uomo stanco, oberato e sfinito ritrovi davanti ai miei quadri la pace e la tranquillità».
Lo stile di Matisse si distingue per il compiacimento che si nota nelle sue opere nel liberarsi senza freni alla forza creativa del colore; ritiene infatti che l’artista non è in possesso del dominio dei colori e delle forme e per tale ragione la creazione di un’opera d’arte avviene sotto la spinta di un impulso primordiale. È il colore a controllare l’artista e non il contrario. Le figure ritratte da Matisse sono spesso distorte perché l’artista si diletta nel ricercare quello che per lui è il raggiungimento dell’armonia in un dipinto. Una ricerca incessante di armonia che, dopo l’esperienza fauvista, comincia ad occupare un’importanza primaria che si esprime non più solo nella fondamentale ricerca del colore, ma a cui si unisce un altro studio ben approfondito sorto dal desiderio di armonizzare le tonalità scelte nello spazio.
Un’opera che ben racchiude questa sua ricerca di «equilibrio delle forze» è “La tovaglia: armonia in rosso “.
La ricerca artistica di Matisse non si ferma e l’artista raffina sempre di più il suo stile fino a farlo accostare, con il passare del tempo, all’astrattismo, senza mai tralasciare la sua immensa passione per la forza espressiva del colore.
Nel 1941, viene colpito da un tumore all’intestino, che lo costringe a restare a letto molte ore al giorno. Nonostante venga operato più volte e la sua salute sia malferma, Matisse continua a produrre opere, lavora anche alla decorazione della piccola Cappella di Sainte-Marie du Rosaire a Vence e organizza, insieme ad altri artisti, mostre dei suoi dipinti, anche se costretto sulla sedia a rotelle. Sperimenta varie tecniche, usando anche l’arte del découpage, i cui ritagli di carta vengono incollati sulle tele su colori di sfondo in modo apparentemente disordinato ed esegue anche delle illustrazioni per libri.
La sua esistenza, vissuta intensamente tra viaggi compiuti anche in paesi islamici ed esotici, mostre e confronti con artisti di tutto il mondo, si conclude il 3 novembre del 1954 a Nizza.
Nonostante la sua vocazione artistica si sia espressa quando non è più giovanissimo, Matisse ha mostrato al mondo che non è mai troppo tardi per seguire le proprie inclinazioni.
Lasciare un posticino sicuro per inseguire i propri sogni, non è certamente un gesto usuale e chissà quanti geni sono rimasti seppelliti in squallidi uffici per mancanza di coraggio, o più semplicemente, così come spesso accade, per timore di non riuscire a poter sopravvivere senza uno stipendio fisso.
Tuffiamoci adesso nella veemenza dei colori di alcuni quadri del noto pittore che, come tutti i veri artisti, ha sempre cercato di tenersi lontano dalla vita mondana. Alcuni suoi pensieri accompagneranno la visione dei suoi emozionanti dipinti.
Creare è proprio dell’artista; dove non c’è creazione, l’arte non esiste.
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Occorre sapere ancora conservare quella freschezza infantile a contatto con gli oggetti, salvare questa ingenuità.
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Occorre un grande amore, capace di ispirare e sostenere questo sforzo continuo verso la verità, questa generosità assoluta e questo profondo spogliamento che implica la genesi di ogni opera d’arte. Ma l’amore non è forse all’origine di tutta la creazione?
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Nel campo dell’arte, il creatore autentico non è solo un essere particolarmente dotato, è un uomo che ha saputo ordinare in vista del loro fine un insieme di attività, delle quali l’opera d’arte è il risultato finale.
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Penso che nulla sia più difficile per un vero pittore che dipingere una rosa, perché per dipingerla deve dimenticare tutte le rose che ha dipinto prima.
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L’arte imita la natura; per questo carattere di vita che un lavoro creativo conferisce all’opera d’arte.
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Vedere è già di per sé un atto creativo.
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Non dimenticate che una linea non esprime nulla: è solo nel rapporto con un’altra che essa crea il volume. E le due vanno tracciate insieme.
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Il colore ci ha permesso di rendere la nostra emozione senza mescolare e senza reimpiegare i vecchi mezzi costrittivi.
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Voglio raggiungere quello stato di condensazione delle sensazione che costituisce un dipinto.
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Il nostro solo ideale è l’insieme, i dettagli diminuiscono la purezza delle idee, nuocciono all’intensità emotiva; li rifiutiamo.
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Mi piace la danza. È una cosa straordinaria: vita e ritmo.
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Il colore soprattutto, forse ancor più del disegno, è una liberazione.
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Non basta mettere i colori, per quanto belli, gli uni accanto agli altri; bisogna anche che questi reagiscono gli uni con gli altri. Altrimenti è cacofonia. Jazz è ritmo e significato.
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Per me, il soggetto di un quadro è il suo sfondo hanno lo stesso valore o, per dirlo più caramente, nessuno punto prevale sull’altro, conta solamente la composizione, il modello generale. Il quadro è fatto dalla combinazione di superfici variamente colorate.
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Il senso della profondità senza l’aiuto della prospettiva tradizionale è l’apporto della mia generazione. Abbiamo abbandonato il modello, la prospettiva, abbiamo rifiutato tutte le influenze, gli strumenti acquisiti. Ci siamo affidati al colore: il colore ci ha permesso di rendere la nostra emozione senza mescolare e senza reimpiegare i vecchi mezzi costrittivi.
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Non si può impedire di invecchiare, ma si può impedire di diventare vecchi.
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Ci sono fiori dappertutto per coloro che vogliono guardare.
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Non dipingo cose, dipingo le differenze tra le cose.
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Deriva la felicità in te stesso da una buona giornata di lavoro, dall’illuminare la nebbia che ci circonda.
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[…] Alle tematiche centrali della sua produzione, che vedono protagoniste immagini fluttuanti di esseri umani, oggetti, paesaggi e animali, accosterà elementi che evocano il mondo spirituale cristiano ed ebraico. Uno stile che mostra anche la vicinanza a molte avanguardie del periodo, sebbene l’artista non aderisca a tali correnti fino in fondo. Il suo è infatti uno stile unico, frutto di numerose influenze ed è impresa ardua affibbiare un’etichetta alle sue opere. Qualche studioso ha definito la sua arte una sorta di fauvismo onirico. Chagall potenzia i colori in maniera espressionista, così come fa Vincent Van Gogh e, nello stesso tempo deforma le figure richiamando la “Joie de vivre” di Henri Matisse. […]
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