La pittura di Édouard Manet sorge da una profonda avversione nei confronti dell’accademismo e da una formazione prettamente classicistica cui apporta un significativo cambiamento destinato a lasciare un’impronta indelebile nella storia dell’arte.
Incompreso e deriso dai suoi contemporanei, aspramente contestato dai conservatori, Manet introduce la riduzione del chiaroscuro creando così delle figure non plasmate dal progressivo mutamento di luci e ombre, ma individuabili dalla contrapposizione tra i loro colori e le tinte utilizzate per lo sfondo.
E in quello sfondo privo di profondità spaziale e talvolta scarno risaltano le figure che il pittore vuole mettere in rilievo. Figure normali, oppure più semplicemente, “ordinarie“, come le ameranno definire quei critici disgustati dalle sue opere, saranno le protagoniste principali della sua produzione artistica. Non è interessato a dipingere soggetti tratti dalla storia antica. Il suo interesse principale è quello di cogliere e fissare sulla tela l’atmosfera e gli eventi attuali. Grazie alle sue opere si riesce a vivere quel particolare istante impresso nella sua mente e che magicamente ci trasporta in un’altra epoca e nella Parigi della metà dell’Ottocento, capitale indiscussa dell’arte.
Della stroncatura delle sue opere sembra non importargli nulla; il suo obiettivo è quello di sfidare gli accademici. E vi riesce pienamente. Ma un altro suo proposito è destinato a fallire miseramente: la sua acerrima lotta per la libertà espressiva viene duramente sconfitta e sin dal suo primo dipinto, presentato al Salon e respinto perché non rispondente ai canoni accademici, il pittore instaura un rapporto conflittuale con le istituzioni artistiche, segnato da un’alternanza di accettazioni e rifiuti di suoi dipinti alla cui ammissione tiene molto.
A differenza di molti pittori della sua epoca, Manet non ha mai patito la fame, è un artista profondamente borghese che attribuisce all’arte il compito di rappresentare la società così come si presenta. Ma i benpensanti di qualunque periodo storico non vogliono che la realtà venga rappresentata e il destino di un artista che abbia il coraggio di rappresentare il reale o di proporre uno stile innovativo è ben noto a tutti.
Nato a Parigi il 23 gennaio del 1832, Édouard Manet proviene da una famiglia dell’alta borghesia francese. A causa del suo scarso interesse per gli studi il padre cerca di convincerlo ad intraprendere la carriera militare, ignorando la vocazione artistica di Èdouard. I genitori non vogliono sentir ragioni; non vogliono un figlio artista.
Sarà lo zio materno, colpito dall’interesse per l’arte del nipote, ad accompagnarlo alle frequenti visite al Louvre e a pagargli un maestro di disegno.
Solo dopo ripetute bocciature alle prove previste per accedere all’accademia militare, i genitori di Manet si vedono costretti a rinunciare ai loro sogni e ad assecondare l’indole artistica del figlio. Nel 1850, anche se a malincuore, gli consentono di seguire un corso presso il prestigioso atelier del pittore classicista Thomas Couture, esponente di punta della pittura accademica. Pur non amando lo stile del maestro Couture, con il quale più volte entra in polemica, Manet segue il corso per ben sei anni, acquisendo le basi e le tecniche tradizionali. La sua insofferenza a tale atelier la esprime con le seguenti parole: «Non so che ci faccio qui; quando arrivo all’atelier, mi sembra di entrare in una tomba».
Durante quegli anni di formazione si lega sentimentalmente alla sua insegnante di pianoforte, Suzanne Leenhoff, dalla quale avrà un figlio. La sposerà qualche anno dopo.
Entrato all’Académie, segue le lezioni del famoso ritrattista Léon Bonnat e stringe amicizia con alcuni artisti e intellettuali del periodo. Fino al 1859 preferisce lavorare nel suo atelier ritenendo si possa meglio dipingere senza occhi indiscreti che osservino la graduale creazione delle sue opere, elaborate in completo silenzio, ma dopo aver conosciuto Monet e l’artista e modella Berthe Morisot cambia idea e comincia a lavorare en plein air. In quel preciso istante la sua arte abbandona ogni razionalità e lascia che il pennello esprimi liberamente le sue emozioni. I suoi maestri diventano un ricordo sbiadito e la creazione di opere che ancora oggi affascinano gli amanti dell’arte si esprimono in tutta la loro fresca spontaneità.
Molti saranno i viaggi compiuti in Europa dove ammira le più importanti opere esposte nei musei delle principali città. Lo studio del linguaggio tonale di Giorgione, Tiziano, gli olandesi del Seicento, Goya, Velàzquez e in particolar modo le stampe giapponesi, influenzano la definizione del suo stile che ignorerà la simulazione tridimensionale e la sostituirà con la linea di contorno sul piano bidimensionale, ben evidente nel dipinto “Il pifferaio“, in cui la profondità del ritratto viene resa per mezzo della piccola ombra dietro il piede sinistro del ragazzo.
In quegli anni stringe una profonda amicizia anche con Emile Zola e Charles Baudelaire, e la morte precoce di quest’ultimo, nel 1867, lo priverà di uno dei punti di riferimento più importanti della sua giovinezza. Probabilmente era stato proprio Baudelaire ad ispirare una delle opere più note di Manet, “Il bevitore di assenzio“, realizzata nel 1859.
Artista di principi umani e liberali, Manet si colloca in una posizione solitaria non solo per la sua arte innovativa, ma per la sua ostinazione nel credere che le opere dovessero essere esposte al Salòn ufficiale per poter essere ammirate da tutti.
Mentre i critici denigravano le sue opere, un folto gruppo di giovani pittori, lo adorava per quel suo nuovo stile. Ispiratore degli impressionisti rifiuta questa etichetta, sebbene ne sostenga economicamente l’arte. Nel 1862, infatti, alla morte del padre, eredita una cospicua somma di denaro che impiegherà unicamente per dedicarsi all’arte e sostenere i giovani pittori impressionisti.
L’anno successivo realizza una delle sue opere più controverse, “Colazione sull’erba“.
Il quadro ritrae due uomini e una donna durante una merenda all’aperto in un bosco in riva al fiume Senna. Sullo sfondo appare un’altra donna nell’atto di rinfrescarsi con l’acqua del fiume.
L’opera viene giudicata “sconveniente” da Napoleone III perché la donna in primo piano è completamente nuda. Eppure non si tratta certo del primo nudo visto nell’arte. E allora ci si domanda per quale ragione il quadro venga bocciato dalla critica.
Le ragioni ufficiali di tale rifiuto risiedono nella mancanza di chiaroscuro e nell’assenza della tridimensionalità, presente solamente nella natura morta posta in primo piano. Ma non è solo il disinteresse nei confronti delle regole accademiche a spingere la critica a respingere questa e altre opere di Manet.
Per la prima volta un pittore rappresenta un nudo che non ha niente di allegorico e non rimanda di certo a sacre virtù. I due uomini chiacchierano con una donna nuda e vengono rappresentati in abiti borghesi dell’epoca. Una scena contemporanea quindi e non è ardua impresa presagire la conclusione di quella colazione. Uno dei vizi da cui l’uomo borghese è afflitto viene raffigurato in modo esplicito.
Nello stesso anno realizza l’Olympia, ispirata ad un soggetto di Tiziano, “La Venere di Urbino“.
Da questo momento, infatti, molte delle opere più famose di Manet s’ispirano a soggetti di pittori del passato, quasi a rendere omaggio a quei pittori tonali a cui ha sempre guardato. Nell’Olympia, la dea di Tiziano viene sostituita da una nota prostituta francese del bel mondo che guarda negli occhi lo spettatore come se sia egli stesso ad offrirle il mazzo di fiori tra le mani della domestica di colore.
Il cagnolino addormentato ai piedi della Venere di Tiziano viene sostituito da un gatto con la coda e il pelo irti facendo così prevalere l’allusione erotica sul simbolo della fedeltà familiare. Il soggetto ripreso dall’artista rinascimentale viene reinterpretato in ambientazione contemporanea e decisamente provocatoria; Manet rigetta ogni idealizzazione formale e ritrae una donna dal fisico molto comune che della bellezza classica non possiede nulla: gambe corte, mento aguzzo e seni piccoli contrastano con la donna ideale di Tiziano.
La rottura con l’accademia si manifesta in modo sempre più esplicito, stravolgendo le regole del nudo disteso. I passaggi su bianco e bianco e nero su nero rendono l’opera di difficile comprensione e il corpo della donna emerge con un bianco uniforme che contrasta vistosamente con lo sfondo nero. Nonostante lo scalpore suscitato, il dipinto viene esposto al Salon nel 1865 ed emoziona profondamente i giovani pittori del periodo. Cézanne renderà omaggio alla “scandalosa Olympia” con una moderna versione del quadro.
Un’altra opera degna di menzione, “Il balcone” (1868), considerata dai critici un rozzo lavoro da imbianchino per quelle inferriate dipinte alla perfezione e poste in primo piano rispetto al resto della rappresentazione, riprende un soggetto del pittore spagnolo Goya.
Profondo ammiratore di Courbet, vedrà giungere la prima affermazione ufficiale nel 1861 per il dipinto “Il chitarrista spagnolo” e, solo due anni prima della morte, otterrà il riconoscimento nella Legion d’Onore, grazie al successo dell’esposizione del quadro “Il buon boccale” (1873). Con la sua celeberrima e ultima opera importante, “Il bar delle Folies Bergère” (1881-1882), l’artista libera ancora di più la sua vitalità artistica donandoci una visione realistica in quel riflesso dello specchio in cui si nota l’uomo che sta di fronte alla donna, superando così definitivamente le leggi della prospettiva.
Afflitto da una parziale paresi e numerosi problemi di salute dovuti ad alcune forme reumatiche mai curate e, secondo alcuni studiosi sorte nell’anno in cui viene imbarcato su una nave dai genitori per il suo rifiuto ad assecondarne le volontà, il pittore si spegne a Parigi il 30 aprile del 1883, a soli cinquantuno anni.
Nel corso della sua breve esistenza quasi tutti i suoi quadri, oggi considerati capolavori, vengono esposti in un padiglione collocato a fianco della mostra ufficiale, il Salon des Refusés (Salone dei Rifiutati), in venivano raccolti i dipinti rifiutati dalla giuria dell’esposizione. Soprannominato anche il Salone dei vinti o delle croste, quelle sue opere maltrattate creano un taglio netto con l’arte precedente e l’importanza di Manet si rileva ben oltre il suo contributo alla nascita dell’impressionismo.
Lo aveva ben compreso Emile Zola, che gli dedica uno studio biografico e critico, ricambiato dall’artista con uno straordinario ritratto dello scrittore.
Ed è impossibile non condividere le sue parole di elogio all’Olympia, quel capolavoro scomodo di Manet annientato dalla critica.
«Nel 1865, Edouard Manet è nuovamente ricevuto al Salon; vi espone un Cristo insultato dai soldati e il suo capolavoro, la sua Olympia. Ho detto capolavoro e non ritiro la parola. Pretendo che questa tela sia davvero la carne e il sangue del pittore. Lo contiene interamente e non contiene che lui. Resterà l’opera caratterizzante del suo talento, come il segno più elevato della sua potenza. Ho letto in lei la personalità d’Édouard Manet e, quando ho analizzato il temperamento dell’artista, avevo davanti agli occhi solo questa tela, che racchiude tutte le altre».

“Ritratto di Zola“, 1868.
Un piccolo omaggio ad un grande artista con una raccolta dei suoi più significativi pensieri accompagnati dalle immagini di alcune sue opere che gli hanno donato l’immortalità.
Si vede come si vuol vedere, ed è questa falsità che costituisce l’arte.
***
Non mi sento di augurare a nessun artista di ricevere elogi e plausi all’esordio. La sua personalità ne risulterebbe annichilita. Imbecilli! Non hanno mai smesso di criticarmi come diseguale: nulla per me avrebbe potuto costituire maggior elogio.
***
Tutto ciò che viene privato della sua libertà perde sostanza e si spegne rapidamente.
Dobbiamo ammaliare la verità, darle l’apparenza della follia.
In una figura, cercate la grande luce e la grande ombra, il resto verrà da sé.
La pittura è una cosa privata; si lavora solo per pochi.
Un quadro è una combinazione originale delle linee e dei toni che si mettono in evidenza.
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