Il 12 marzo del 1922 nasce a Lowell, nel Massachusetts, lo scrittore americano di origini franco-canadesi Jack Kerouac.
Il suo nome rimanda immediatamente ai ragazzi irrequieti della “Beat Generation“, così tanto disprezzati dai perbenisti che li considerano una generazione perduta pronta a bruciare deliberatamente la propria gioventù.
Movimento culturale americano sorto nel periodo degli anni ’50 e legato agli anarchici di origine dadaista-espressionista, vede tra i suoi massimi esponenti, oltre a Kerouac, William Burroughs e Allen Ginsberg. La Beat Generation si ribella al conformismo puritano, è avida di vita vera e in tale forsennata ricerca accumula esperienze rischiose e sempre nuove rigettando con disprezzo ogni sistema morale e sociale precostituito.
Gli appartenenti a tale movimento lasceranno ai posteri i più interessanti classici della narrativa moderna.
Vivono in un mondo in cui sembra che ogni battaglia sia stata già vinta e i vari idoli letterari del passato vengono ormai letti e commentati insieme a professori emeriti che si limitano a sterili analisi testuali senza riuscire a dare delle risposte al tumulto che si agita nei loro animi.
Sembra non vi sia più nulla da dire o da fare. Eppure, in quell’iniziale silenzio e nel ripiegarsi in se stessi di quei giovani intellettuali, emerge improvvisamente l’esigenza di raccontare il proprio drammatico malessere in una società carica di violenza psicologica che tende ad annientare l’individuo. E dal loro silenzio inquieto, carico di rancore nei confronti di una società sempre più anonima e impersonale e che lascia solo intravedere un futuro di lotta per il potere, uno stipendio e una routine soffocante di una vita crudele nella sua aberrante monotonia, si sprigiona una potente energia creativa.
I vagabondaggi, le esaltazioni mistiche, il guidare a folle velocità e l’ubriacarsi rappresentano una ricerca di quell’innocenza perduta che si ribella alle opprimenti sovrastrutture che annientano nel conformismo l’istinto creativo dell’uomo.
«Beat, è il beat da tenere, è il beat del cuore, è l’essere beat e malmessi al mondo e come l’essere a terra ai vecchi tempi e come nelle antiche civiltà gli schiavi ai remi che spingevano le galere a un beat e i servi che facevano vasi a un beat».
In questo pensiero di Jack Kerouac sembra essere condensato il manifesto della beat generation: beatitudine derivante dalla salvezza mistica dello spiritualismo Zen, ma anche dall’estasi prodotta dalle droghe, dall’alcool, dal sesso, dal parlare per esternare liberamente tutto ciò che è dentro di noi. E nello stesso tempo beat si può interpretare come un ineluttabile annientamento che la società reca all’individuo e a cui si può reagire solamente conducendo una vita libera che ne divori ogni istante.
Dunque il termine Beat assume due significati che si dimenano tra il battuto e beatificato in cui solo attraverso un’ostinata resistenza alle convenzioni borghesi e attuando un’esistenza attiva si può cogliere la luce della verità.
La mediocrità di una vita in cui “tutti stanno bene ma non troppo” in una civiltà democratica di massa la cui saggezza è da ricondursi al desiderio di piccole cose banali facilmente reperibili, scaraventa nella disperazione più cupa i giovani della beat generation che si tramuta in isolamento dal mondo per ribellarsi alle tradizioni ed alle falserighe sclerotizzate. E la loro resistenza passiva alle influenze della società costituita spesso si traduce in abuso di sostanze alcoliche per poter sperimentare quell’esaltazione momentanea che s’illudono possa aiutarli a comprendere le ragioni della loro esistenza e a liberarsi per un po’ dal tormento di un mondo arcano e spaventoso.
L’avventura morale dei giovani della beat generation è racchiusa nelle opere di Jack Kerouac che, attraverso un linguaggio estremo ma incisivo, racconta le sue meditazioni in quel percorso di sperimentazione del sé e del mondo circostante alla ricerca di una realtà mistica in cui riuscire a credere.
Nonostante la sua vita sregolata e vagabonda, l’impronta della rigida educazione cattolica ricevuta si manifesta nel suo bisogno continuo di spiritualità.
Nato in una famiglia povera di emigranti canadesi, assiste alla morte prematura del fratello maggiore Gerard, di appena nove anni. Del fratello scomparso parlerà in un lungo racconto, “Visioni di Gerard“, scritto nel 1956. Un’altra esperienza traumatica segna la sua vita e lo porterà a relazionarsi in modo controverso con la religiosità. Educato in scuole rigidamente cattoliche, Kerouac, pur condannando l’ambiente bigotto e oppressivo della sua formazione, non riesce a liberarsi del tutto dagli insegnamenti cristiani che gli vengono impartiti. Nella sua vita, così come nella sua opera, si nota una profonda spiritualità inizialmente ispirata al cristianesimo, per poi sfociare nella sua conversione al buddhismo. Dopo essersi diplomato alla Lowell High School, Jack inizia a frequentare, a New York, nel 1939, la Horace Mann Preparatory School per poi accedere l’anno successivo alla Columbia College, grazie ad una borsa di studio per meriti sportivi.
La lettura dei versi del compagno di università Sebastian Sampas, lo spinge alla decisione di dedicarsi alla scrittura, contro il volere dei genitori e, dopo essersi imbarcato come cuoco nella marina militare statunitense durante la Seconda Guerra Mondiale, in cui lavora per poco tempo perché congedato per le nevrosi attribuitegli, riprende gli studi fino a quando non decide di dedicarsi alle sue passioni, viaggi compresi.
Nel 1944 incontra Lucien Carr, William Burroughs e Allen Ginsberg e convola a nozze con Edith Parker.
Qualche anno dopo, insieme al critico John Clennon Holmes, conia il termine “Beat Generation”.
Durante il suo primo viaggio attraverso gli Stati Uniti, compiuto insieme a Neal Cassady, negli anni compresi tra il 1947 e il 1950, comincia a scrivere il romanzo che lo renderà poi noto in tutto il mondo “Sulla strada“.
Ma il suo esordio letterario avviene con la pubblicazione nel 1950 del suo romanzo “The Town and the City” che rivela quello che sarà il suo stile peculiare di scrittura.
Kerouac scrive di getto rappresentando con fotografica precisione ogni particolare della vita di ogni giorno. Il suo stile prolisso pone le basi ad un genere narrativo nuovo, semplice e spontaneo che si distacca dal linguaggio scritto tradizionale senza tener conto delle regole sintattiche e limitando all’essenziale le virgole, sostituite spesso con punti, trattini e parentesi che rimandano alle improvvisate interruzioni del jazz.
«Un sassofonista cosa fa? Fa un bel respiro e poi soffia nel suo strumento fino a costruire una frase unica con il suo fiato. Così io separo le mie frasi come fossero respiri diversi della mente. »
Si sposa per la seconda volta nel 1950 con Joan Haverty che gli darà una figlia, Janet Michelle. Anche il secondo matrimonio dello scrittore si concluderà tristemente a causa della morte prematura della moglie per conseguenze legate all’abuso di alcool.
L’anno seguente completa in meno di un mese “Sulla strada” che racconta con quello stile inconfondibile, che caratterizzerà tutte le sue opere successive, il suo incontro con Neal Cassady e la vita dello scrittore sulla strada, come evidenziato nel titolo del libro.
Pubblicato solo nel 1957, a causa delle numerose resistenze degli editori, diventa il vangelo della Beat Generation.
Mentre Kerouac continua a viaggiare e a scrivere, inizia a studiare il buddhismo e nel 1966 si sposa per la terza volta.
Un’emorragia interna causata dalla cirrosi epatica da cui era affetto per l’abuso di alcool lo stronca a St. Petersburg, in Florida, il 21 ottobre del 1969 a soli quarantasette anni.
La sua produzione letteraria, tra cui bisogna anche ricordare “I Sotterranei“, “I vagabondi del Dharma“, “Mexico City Blues“, “Dottor Sax“, “Maggie Cassidy“, “Tristessa“, “Viaggiatore solitario” e “Big Sur“, influenzò nel bene e nel male la sua generazione.
Una generazione ben ritratta da questo straordinario scrittore che rivela gli aspetti più segreti della vita degli adolescenti.
Giovani non più attratti dalla violenza, ma dal silenzio. Un silenzio che conduce ad un segreto rinnovamento della personalità umana e che fruga in una realtà incomprensibile in cerca di una fede e di un bandolo in quella matassa ingarbugliata che è il mondo moderno.
A questo indimenticabile autore di viaggi intrapresi per afferrare l’innocenza perduta dell’uomo moderno, dedico una raccolta di quelli che ritengo siano i suoi pensieri più densi di significato.
Nella sua camera, nella febbricitante bianca luce artificiale, nella camera cosparsa di carta e libri, scrive alla sua scrivania, scrive a Peter e a Penn, e la pioggia picchietta sul vetro della finestra, la pioggia imperla il vetro della sua finestra e rotola via dolcemente come lacrime…
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Viviamo per desiderare, e cosi farò anch’io, e balzerò giù da questa montagna sapendo tutto alla perfezione o non sapendo tutto alla perfezione pieno di splendida ignoranza in cerca di una scintilla altrove.
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Mi dimetto dal tentativo di essere felice.
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Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati. Dove andiamo? Non lo so, ma dobbiamo andare.
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Se non scrivo quello che vedo effettivamente accadere su questo globo infelice racchiuso nei contorni del mio teschio penserò che il povero Dio mi abbia mandato sulla terra per niente.
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Sembra che io abbia una costituzione che non regge l’alcol e ancor di meno l’idiozia e l’incoerenza.
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Avrei preferito che fosse stato felice invece di lasciarci poesie infelici. (riferendosi a Baudelaire)
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A me piacciono troppe cose e mi ritrovo sempre confuso e impegolato a correre da una stella cadente all’altra finché non precipito.
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Gesù che entra nel secchio della spazzatura, compare incarnato luminoso sui comignoli delle case popolari e attraversa a grandi passi la luce.
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Una macchina veloce, l’orizzonte lontano e una donna da amare alla fine della strada.
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Per me l’unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano, come favolosi fuochi artificiali color giallo che esplodono come ragni attraverso le stelle e nel mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno Oooohhh!
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Voglio essere considerato un poeta jazz che suona un lungo blues in una jam session d’una domenica pomeriggio.
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C’è sempre qualcosa di più, un po’ più in là… non finisce mai.
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Devo essere felice o morire, perché la mia condizione terrena è piena di una tristezza insostenibile e io do la colpa a Dio anziché a me stesso.
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Gli esseri umani seminano il proprio terreno con guai e inciampano nei macigni della loro stessa falsa erronea immaginazione, e la vita è dura.
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Quella strada del passato si srotolava confusamente di fianco a noi come se la tazza della vita si fosse rovesciata e ogni cosa fosse impazzita.
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Le università non sono altro che scuole di galateo per la non-identità middle class che normalmente trova la sua migliore espressione fuori dell’università nelle schiere di ville da ricchi con prato e TV in ogni salotto dove tutti guardano la stessa cosa nello stesso momento.
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Che me ne importava della torre, dei demoni, e dello sperma e delle ossa e della polvere, mi sentivo libero e perciò ero libero.
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Poi tutto a un tratto ebbi il più terribile impeto di pietà per gli esseri umani, quali che fossero, le loro facce, le bocche dolenti, caratteri, tentativi di essere gai, piccole impertinenze, il sentirsi perduti, le loro cupe e vuote spiritosaggini così presto dimenticate: Oh, a che scopo? Sapevo che il suono del silenzio era dovunque e perciò tutto dovunque era silenzio. E se dovessimo svegliarci all’improvviso e vedere che quel che credevamo questo e quello, non è per niente né questo né quello?
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Prova a meditare sul sentiero, devi solo camminare fissando la strada sotto i piedi senza guardarti intorno e così cadi in trance mentre la terra scorre sotto di te.
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Meglio dormire libero in un letto scomodo che dormire prigioniero in un letto comodo.
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Con addosso solo le mutandine da bagno, scalzo, con i capelli scarmigliati, nel buio rosso fuoco, sorseggiando vino, sputando, saltando, correndo… così si vive.
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…è un mondo pieno di nomadi col sacco sulle spalle, Vagabondi del Dharma che si rifiutano di aderire alle generali richieste ch’essi consumino prodotti e perciò siano costretti a lavorare per ottenere il privilegio di consumare tutte quelle schifezze che tanto nemmeno volevano veramente come frigoriferi, apparecchi televisivi, macchine, almeno macchine nuove ultimo modello, certe brillantine per capelli e deodoranti e generale robaccia che una settimana dopo si finisce col vedere nell’immondezza, tutti prigionieri di un sistema di lavora, produci, consuma, lavora, produci, consuma, ho negli occhi la visione di un’immensa rivoluzione di zaini migliaia o addirittura milioni di giovani americani che vanno in giro con uno zaino, che salgono sulle montagne per pregare, fanno ridere i bambini e rendono allegri i vecchi, fanno felici le ragazze e ancor più felici le vecchie, tutti Pazzi Zen che vanno in giro scrivendo poesie che per puro caso spuntano nella loro testa senza una ragione al mondo e inoltre essendo gentili nonché con certi strani imprevedibili gesti continuano a elargire visioni di libertà eterna a ognuno e a tutte le creature viventi…
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Il silenzio è così intenso che riesci a sentire il rombo del tuo sangue nelle orecchie ma molto più forte di questo suono è il rombo misterioso che ho sempre identificato col rombare del diamante della saggezza, il misterioso rombo del silenzio stesso, un grande Sssst che ricorda qualcosa che ci sembra di aver dimenticato nella tensione dei nostri giorni fin dalla nascita.
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Volevo procurarmi uno zaino completo, con il necessario per dormire, ripararmi, mangiare, cucinare, insomma cucina e camera da letto da portare in spalla, e andarmene chissà dove e trovare una solitudine perfetta e contemplare il vuoto perfetto della mia mente ed essere del tutto neutrale rispetto a qualunque idea e tutte.
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Un sassofonista cosa fa? Fa un bel respiro e poi soffia nel suo strumento fino a costruire una frase unica con il suo fiato. Così io separo le mie frasi come fossero respiri diversi della mente.
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Scrivendo i sogni, prendere nota del modo in cui crea la mente sognante.
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Lo trovavo bello come il sole perché le sue guance rosee, i denti bianchi e gli occhi sognanti da donna, da angelo forse, mi colpivano il cuore; i bambini si amano come gli amanti, non badiamo ai loro piccoli drammi nel corso della nostra vita di adulti.
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Vicino ai ragazzini con i capelli a spazzola che non avrebbero avuto la minima idea dell’oscurità esistente sulla terra se non avessero visto quell’uomo triste attraversare la notte per farsi la sua settimana di quaranta ore di lavoro.
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Tutta l’America e i suoi tristi sospiri mi sostenevano nella notte.
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Però ci pensi che un uomo può consumarsi la vita lavorando e basta.
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E sugli occhi un velo misterioso, denso di lacrime, che spuntavano dalla terra segreta della sua anima e sempre oscure, sconosciute, create da sé come non c’è ragione per l’esistenza di un fiume.
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Sono seduto qui nell’immobile eternità.
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Riuscivo a vedere […] le mie idee, sensazioni. Ero diventato un poeta. Ero estaticamente folle nella mia innocenza. Conoscevo gioie non per nome ma perché mi attraversavano il petto che raggrumava il sangue caldo e scomparivano senza avere conosciuto nome, ignote […]. Basta con gli eccessi di Rimbaud! Piansi ricordando il bel volto della vita quella notte.
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Ho a stento spazio nel mio cuore piovoso per vedere e udire quello che devo – sono perduto.
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Camminai per le tristi strade del tempo umano.
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Sono un idealista
che ha superato
il mio idealismo
non ho niente da fare
per il resto della vita
tranne che far niente
e il resto della vita per farlo.
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Dai, Jacky, sorridi, non sorride mai questo ragazzo qui, per la miseria […]. Perché non sorridi fai preoccupare la tua famiglia che ti ha dato la vita e non sa come fare per ripagarti per quello che nella migliore delle ipotesi è un mondo abbastanza triste lo ammetto.
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Guardavo nel cielo morbido e la luna stava sorgendo pallida e cullata nel blu della terra.
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Questa è la notte e quel che ti combina. Non avevo niente da offrire a nessuno eccetto la mia stessa confusione.
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E nessuno, nessuno sa quel che succederà di nessun altro se non il desolato stillicidio del diventar vecchi.
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Adesso considera un po’ questi qua davanti. Hanno preoccupazioni, contano i chilometri, pensano a dove devono dormire stanotte, quanti soldi per la benzina, il tempo, come ci arriveranno… e in tutti i casi ci arriveranno lo stesso, capisci. Però hanno bisogno di preoccuparsi e d’ingannare il tempo con necessità fasulle o d’altro genere, le loro anime puramente ansiose e piagnucolose non saranno in pace finché non riusciranno ad agganciarsi a qualche preoccupazione affermata e provata e una volta che l’avranno trovata assumeranno un’espressione facciale che le si adatti e l’accompagni, il che, come vedi, è solo infelicità, e per tutto il tempo questa aleggia intorno a loro ed essi lo sanno e anche questo li preoccupa senza fine.
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…Qual è la tua strada amico?… la strada del santo, la strada del pazzo, la strada dell’arcobaleno, la strada dell’imbecille, qualsiasi strada. È una strada in tutte le direzioni per tutti gli uomini in tutti i modi.
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Le nostre valigie logore stavano di nuovo ammucchiate sul marciapiede; avevano altro e più lungo cammino da percorrere. Ma non importa, la strada è vita.
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E naturalmente adesso nessuno può venire a dirci che Dio non esiste. L’abbiamo visto in tutte le sue forme.
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Quando cominciate a separare la gente dai loro fiumi che ottenete? “Burocrazia!”
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Un dolore mi trafisse il cuore, come succedeva ogni volta che vedevo una ragazza che mi piaceva andarsene in direzione opposta alla mia in questo mondo troppo grande.
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Restammo sdraiati sulla schiena a guardare il soffitto e a chiederci cosa avesse avuto in mente Dio quando aveva fatto la vita cosi triste.
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Quando la fama e i soldi? Quando l’amore? Quando? Cosa c’è che non va, ogni volta, in questo miserabile presente? Bla, bla, bla. È l’anima ecco cos’è.
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Non ti viene mai in mente che la vita è una cosa seria e che c’è chi cerca di ricavarne qualcosa di decente invece di fare il coglione a tempo pieno.
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Oltre le strade sfavillanti c’era il buio, e oltre il buio il West. Dovevo andare.
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L’uomo non sta in nessun posto. Perché qua non è un posto, e io sono qua per testimoniarlo.
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Ero un giovane scrittore e volevo andare lontano. Sapevo che a un certo punto di quel viaggio ci sarebbero state ragazze, visioni, tutto; sapevo che a un certo punto di quel viaggio avrei ricevuto la perla.
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Dopo una dozzina di passi ci girammo, perché l’amore è un duello, e ci guardammo per l’ultima volta.
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Se fai anche solo una meditazione vera sai per sempre che non esiste nulla di meglio. Il resto è ignoranza, preoccupazione e inquietudine mentale.
***
Io sono Cattolico e non posso commettere suicidio, ma intendo bere me stesso a morte.
***
Così siamo nella vita vera e se non ti piace non lo voglio sapere perché vivo la vita a modo mio.
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Cos’è quella sensazione che si prova quando ci si allontana in macchina dalle persone e le si vede recedere nella pianura fino a diventare macchioline e disperdersi? – è il mondo troppo grande che ci sovrasta, è l’addio. Ma intanto ci si proietta in avanti verso una nuova folle avventura sotto il cielo.
***
(riferendosi a New York)
Era troppo per crederla vera; così complicata, immensa, insondabile.
E così bella, vista da lontano:
canyon d’ombra e di luce, scoppi di sole sulle facciate in cristallo,
e il crepuscolo rosa che incorona i grattacieli come ombre senza sfondo
drappeggiate su potenti abissi.
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