Il linguaggio enigmatico di René Magritte

Grande artista incompreso persino dagli stessi surrealisti, diffidenti nei confronti di opere forse troppo criptiche e di cui non riescono ad afferrarne la grandezza, René Magritte è un artista di non facile interpretazione. Rivalutato con il passare del tempo, le sue poetiche rappresentazioni degli aspetti misteriosi e inverosimili della nostra esistenza, quei paradossi che distinguono le sue opere, sono ormai scolpite nella nostra mente, grazie anche all’organizzazione di eventi a lui dedicati.
Annoverato tra i maggiori esponenti del surrealismo, Magritte riesce attraverso la pittura ad esprimere idee e opinioni.
L’artista si accosta alla realtà unicamente per esprimerne la sua inafferrabilità e lo scopo della sua opera è da leggersi in un’ossessiva allusione al mistero di ogni cosa che ci circonda, un enigma senza alcuna soluzione che investe ognuno di noi, impossibilitati anche a conoscere veramente la nostra stessa essenza.

"La Trahison des images", 1928-1929. Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles.

“La Trahison des Images”, 1928-1929. Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles.

Nella diversità tra la riproduzione iconica di una figura e la denominazione della stessa, Magritte vuole evidenziare in modo apparentemente semplice, i limiti e l’indeterminatezza del nostro linguaggio, del tutto distante dalla realtà che si vorrebbe cercar di descrivere.

"Le fantasticherie del passeggiatore solitario", 1926.

“Le fantasticherie del passeggiatore solitario”, 1926.

La sua arte rappresenta lo smarrimento e l’angoscia dell’uomo moderno dinnanzi al mistero della vita esprimendo, in modo apparentemente chiaro e diretto, gli aspetti misteriosi e paradossali della nostra esistenza.

"Giovinezza", 1924.

“Giovinezza”, 1924.

Dopo un esordio giovanile che denota il suo interesse nei confronti delle sperimentazioni cubiste e futuriste, sarà la conoscenza della pittura metafisica di Giorgio De Chirico, ed in particolar modo il quadro “Canto d’amore“, a spingerlo ad operare una svolta nel suo cammino artistico ed incamminarsi verso il movimento del surrealismo il cui obiettivo primario è quello di dare spazio all’irrazionale, al mondo dell’inconscio e all’istinto.

"Canto d'amore"(1914), l'opera di Giorgio De Chirico che segnerà indelebilmente le opere di René Magritte.

“Canto d’amore”(1914), l’opera di Giorgio De Chirico che segnerà indelebilmente le opere di René Magritte.

La sua pittura comincia a basarsi sulla tecnica del trompe l’oeil  e diventa il suo strumento prediletto per una ricerca sul mistero della nostra esistenza e i numerosi enigmi sugli oscuri meccanismi che regolano la nostra mente e le nostre percezioni. Grazie all’esperienza, seppur breve, maturata nello studio del cubismo, Magritte acquisisce la consapevolezza delle incognite del linguaggio e della relazione tra la realtà e la sua riproduzione nell’arte. Ciò che possiamo veramente vedere ed il significato della realtà occuperanno un posto fondamentale nella sua opera arricchitasi anche dalle sperimentazioni futuriste basate sulla simultaneità di vedute e la compenetrazione dei piani che consentono all’occhio di assistere a più fasi di un movimento in virtù di un lavoro di sovrapposizione di immagini differenti.

"La rottura tra le nuvole", 1926.

“La rottura tra le nuvole”, 1926.

Gli interrogativi sul mistero dell’esistenza resteranno sospesi ed anche se Magritte ritiene che la pittura può essere utile in questo studio senza tempo, è pienamente consapevole dell’impossibilità di trovare delle risposte a tale quesito e più pretendiamo di dare una spiegazione a qualcosa di veramente inspiegabile, maggiormente crescerà l’enigma. È proprio questo il significato dell’arte del pittore belga: rendere visibile l’inattuabilità di poter cogliere e svelare il segreto della vita e di afferrare la realtà.

"Paesaggio", 1926.

“Paesaggio”, 1926.

Con uno stile apparentemente semplice e tradizionale, Magritte crea un realismo impersonale dalla mimetica facilmente visibile che scardina dall’interno la relazione tra realtà e rappresentazione. Le opere che scaturiranno da questa visione saranno di profondo impatto in un osservatore spaesato dinnanzi all’assurdità di dislocazioni e accostamenti illogici di oggetti delineati però in modo accurato, così come talvolta accade nelle immagini oniriche create dalla nostra mente e spesso più vere di quelle reali.

"La nascita di un idolo", 1926.

“La nascita di un idolo”, 1926.

Le saboteur tranquille“, come alcuni studiosi lo definiscono, antiborghese e sovversivo sia nell’arte che nella vita, rigetta l’idea di imprimere sulla tela figure o paesaggi che soddisfino i gusti estetici del pubblico. La sua attenzione è infatti volta alla riproduzione accurata di oggetti ben riconoscibili nella loro autenticità insignificante e banale, ma in grado, proprio per tale prerogativa, di poter comunicare. Senza clamore alcuno questo sabotatore ha attuato una rivoluzione artistica silenziosa, ma non per questo ininfluente e inefficace.

"Il capovolgimento del deserto", 1926.

“Il capovolgimento del deserto”, 1926.

Gli oggetti dipinti da Magritte, a tutti noi così familiari, sembrano lanciare un grido sconvolgente che rimanda all’enigma impalpabile della vita da leggersi forse solamente nell’animo di chi guarda in profondità. Il suo stile è molto diverso da quello del noto e geniale surrealista Salvador Dalì, seppur facilmente associabile al filone figurativo del movimento avanguardista in questione. Entrambi influenzati dagli studi rivoluzionari di Sigmund Freud, danno sfogo alla loro creatività in modo differente. E allo stile “paranoico-critico” di Dalì che organizza le immagini dell’inconscio associandole in modo incongruo e partendo dal presupposto che la creazione artistica debba essere paragonata al delirio paranoide con allusioni a pulsioni di natura libidica e sessuale, si sovrappone un metodo che, grazie al trompe d’oeil, è in grado di far sorgere continue perplessità sulla realtà per mezzo della sua stessa raffigurazione. L’influenza dunque delle teorie freudiane è molto più evidente nelle opere prorompenti di Dalì che si contrappongono a quell’atmosfera silenziosa e intima di Magritte in cui eleva la sua riflessione sui paradossi della nostra vita con forme lineari e dimesse.

"L'alba di Cayenne", 1926.

“L’alba di Cayenne”, 1926.

La pittura poetica di Magritte suscita un senso di spaesamento accompagnato da sentimenti di perdita d’identità e punti di riferimento. Emozioni che talvolta ci assalgono improvvisamente e non solo dinnanzi a certi dolori insensati che travolgono la nostra esistenza. I suoi dipinti non danno alcuna risposta; si limitano ad immergerci in un’atmosfera di attesa e ci spingono al tentativo di trovare una risposta che non esiste. Quello stesso silenzio che urla dentro di noi quando cerchiamo di comprendere la realtà della vita senza riceverne alcuna risposta.
La vita stessa è mistero.
La vita non dà mai delle risposte ed il potente lirismo della pittura di Magritte è proprio racchiuso in questo spiazzante mistero.
Ma che sia forse dentro questo interrogativo sospeso la bellezza della vita?
La grandezza di Magritte la leggo proprio così.

"Il significato della notte", 1927.

“Il significato della notte”, 1927.

Immersi in quelle atmosfere ambigue ed inquietanti così come accade quando sogniamo, scorrono davanti ai nostri occhi fedeli riproduzioni di immagini realmente esistenti. Ma quelle stesse riproduzioni i cui accostamenti sono del tutto illogici inducono a porsi anche un’altra domanda sulla percezione che abbiamo del mondo. Composizioni irrazionali e titoli che non aiutano a comprendere il significato dei dipinti sembra vogliano ancor più serbare il senso del mistero. E così le opere di Magritte si configurano come una profonda riflessione sulle problematiche inerenti al vedere, alla nostra percezione del mondo. La sovrapposizione del dipinto all’immagine reale ben palesa la contraddizione tra lo spazio bidimensionale del quadro e quello tridimensionale del mondo che vediamo. Apparentemente il pittore belga sembra seguire lo stesso filone rappresentativo dei surrealisti, ma ad una lettura meno superficiale ne critica quella raffigurazione usando i medesimi strumenti della riproduzione tradizionale.

"Uomo che legge un giornale", 1928.

“Uomo che legge un giornale”, 1928.

Pittore rivoluzionario mette in discussione anche lo stesso linguaggio da noi utilizzato dando dei titoli ermetici che ben poco riescono a spiegarci le sue opere. Un modo di evidenziare la natura ambigua del nostro linguaggio le cui parole non sono in grado di definire l’oggetto reale cui si riferiscono. Figura e scrittura non sono connessi, sono realtà indipendenti che vivono nel loro isolamento. L’interiorità di noi esseri umani non emerge nella sua arte. Non è interessato a farla emergere, o più semplicemente, è cosciente dell’impossibilità di poterla riprodurre.

"Gli amanti", 1928.

“Gli amanti”, 1928.

Ogni suo quadro si presta ad interpretazioni molteplici e sarebbe veramente pretenzioso racchiudere l’immensità della sua arte con i limiti del nostro linguaggio, visibile anche in quei panni bianchi che impediscono ai due “amanti” di uno dei suoi dipinti più famosi di conoscere l’interiorità dell’altro.
Il mistero dell’universo è la tematica centrale della sua produzione. L’influenza determinante della pittura metafisica di De Chirico è ben evidente nei suoi dipinti. Un autore di non facile lettura, indubbiamente. Ma c’è forse qualcuno che è riuscito veramente a comprendere il mistero della vita? Ecco la rappresentazione del nostro smarrimento dinnanzi ad un universo sfuggente ed enigmatico a cui pretendiamo di attribuire dei nomi. Un’umanità sottratta alle sue peculiarità, alla sua vera essenza. Ecco Magritte. Ecco il surrealista che rappresenta l’assurdo nella realtà quotidiana ponendoci dinnanzi ad un universo che crediamo di conoscere e dipingendolo con tonalità gelide e ambigue. Ecco la realtà che nel suo inafferrabile mistero custodisce la sua bellezza.

"Gli amanti", 1928.

“Gli amanti”, 1928.

René François Ghislain Magritte nasce il 21 novembre del 1898 a Lessines, un piccolo comune belga. A causa del lavoro del padre, un agiato mercante, è costretto a cambiar spesso residenza. Quando René ha dodici anni la famiglia si trasferisce a Châtelet e proprio in quella città il ragazzino perderà la madre che si toglierà la vita due anni dopo gettandosi nel fiume Sambre. Si racconta che il corpo della donna sia stato rinvenuto con la testa avvolta nella sua camicia da notte e che quella terribile immagine cui viene sottoposto il futuro pittore influenzerà la creazione di alcuni suoi noti dipinti. Impossibilitati a verificare l’attendibilità di tale fonte, si può solamente ipotizzare che quell’evento traumatico abbia segnato l’animo di René al punto da far diventare ricorrente la rappresentazione di volti coperti nei suoi quadri. Certamente non si può negare che una simile tragedia avrà segnato l’animo di René, così come sarebbe accaduto ad altri.

"Il cuore della questione", 1928.

“Il cuore della questione”, 1928.

Per cercare di allontanar via i brutti ricordi, il padre porta con sé la famiglia a Charleroi, dove René compirà gli studi classici per poi volgere la sua attenzione all’arte. Iscrittosi all’Accademia delle Belle Arti di Bruxelles nel 1916, dove sarà raggiunto dalla sua famiglia due anni dopo, si appassiona alle ricerche futuriste.
Da quello studio nasceranno alcune opere tra cui “Trois femmes” che sarà esposta nel 1919 nella Galerie Giroux.

"Trois femmes", 1919.

“Trois femmes”, 1919.

Nel 1922 convola a nozze con il primo e unico amore della sua vita, Georgette Berger, da Magritte conosciuta appena quindicenne. Il suo primo quadro viene acquistato l’anno dopo e René comincia a lavorare come designer di carta da parati.

"Georgette Magritte", 1934.

“Georgette Magritte”, 1934.

Dopo essersi interessato alle sperimentazioni cubiste e futuriste avviene quella svolta artistica di cui ho già parlato e nel 1925 l’artista aderisce al gruppo surrealista di Bruxelles. L’anno seguente realizza il suo primo dipinto surreale, “Il fantino perduto” (1926).

"Il fantino perduto", 1926.

“Il cavaliere perduto”, 1926.

In quel sipario teatrale che funge da cornice ad un fantino a cavallo in una immobile corsa tra birilli ricoperti da partiture musicali e intrecciati con rami prende il via quello studio personale che lo condurrà a raffigurare l’inconciliabilità della realtà con la sua rappresentazione e il nonsenso delle cose.
Per mantenersi esegue dei lavori pubblicitari, “lavori deficienti“, così come li definirà lo stesso artista, ed entra in contatto con André Breton, il poeta che scrive il primo “Manifesto surrealista“.
Nel 1927 espone sessantuno opere presso la galleria “Le Centaure” di Bruxelles e l’anno dopo si trasferisce insieme all’inseparabile Georgette a Perreux-sur-Marne, vicino Parigi.

"Il doppio segreto", 1927.

“Il doppio segreto”, 1927.

Qui Magritte perfeziona il suo stile sorprendendo con immagini accostate in modo insolito di non facile interpretazione.
Commentare i suoi quadri è un’impresa quasi impossibile, sarebbe come pretendere di dare una spiegazione della vita valida per tutti. Possiamo limitarci a contemplarli così come si fa con la maggioranza dei capolavori o limitarci a descrivere quel nonsenso che li caratterizza e di cui ognuno di noi può dare un’interpretazione a seconda delle emozioni che ne derivano da tale visione.
Nel 1940 la paura dell’occupazione nazista spinge la coppia a trasferirsi nel sud della Francia, a Carcassonne. In questi anni René dà vita ad un nuovo stile pittorico che secondo alcuni critici ricorda quello di Renoir e che si protrarrà fino al 1947.

Si spegnerà dopo un lungo viaggio tra Cannes, Montecatini e Milano, il 15 agosto del 1967 a causa di un tumore al pancreas nella sua casa di Rue Des Mimosas a Bruxelles, città a cui aveva fatto sempre ritorno stabilendovisi per periodi più o meno lunghi.  Per rendere onore a colui che viene definito “l’interprete più acutamente intellettuale del Surrealismo” sarà organizzata nello stesso anno una mostra retrospettiva della sua opera a Rotterdam.

"La condizione umana I", 1933.

“La condizione umana I”, 1933.

Come simbolo della sua arte ho deciso di focalizzare l’attenzione su una delle sue opere più significative, “La condizione umana I” (1933).

René Magritte fotografato da Lothar Wolleh.

René Magritte fotografato da Lothar Wolleh.

Un’opera che forse più di ogni altra riesce a ben sintetizzare la filosofia di questo immenso artista.
Un dipinto probabilmente visto parecchie volte che ha lasciato indifferenti alcuni osservatori ed emozionato molti di noi.
Dall’interno della camera di un comune appartamento si vede davanti ad una finestra aperta su un paesaggio verdeggiante dominato da un cielo azzurro e solcato da alcune nuvole un cavalletto da pittura. Sullo stesso cavalletto è poggiata una tela che ritrae lo stesso paesaggio che vediamo dalla finestra. Il quadro non si sovrappone però alla veduta, ma appare in continuità con il paesaggio esterno. Una fusione spettacolare che riesce ad insinuare il dubbio della stessa esistenza della tela.
Un dipinto ironico, come lo è del resto lo stesso Magritte, e che vuole indurre riflessioni sulla nostra capacità di vedere, sulle nostre percezioni.
Il pittore sovrappone un quadro ad un paesaggio reale palesando, così come fa in altre opere, le problematiche della visione e del linguaggio. E se al primo impatto non ci si accorge della finzione messa in atto dall’autore, la tela si rende successivamente visibile suscitando in noi osservatori delle meditazioni sul rapporto tra opera d’arte e riproduzione. La natura raffigurata nel quadro è creata dalla natura esterna di cui noi vediamo ciò che viene rappresentato in un dipinto: essa non esiste in sé e per se stessa se non per il significato che le diamo attraverso il nostro modo di interpretarla. Il paradosso dell’interpretazione è ben evidente in quest’opera così spiegata dallo stesso autore: «Misi di fronte a una finestra, vista dall’interno d’una stanza, un quadro che rappresentava esattamente la parte di paesaggio nascosta alla vista del quadro. Quindi l’albero rappresentato nel quadro nascondeva alla vista l’albero vero dietro di esso, fuori della stanza. Esso esisteva per lo spettatore, per così dire, simultaneamente nella sua mente, come dentro la stanza nel quadro, e fuori nel paesaggio reale. Ed è così che vediamo il mondo: lo vediamo come al di fuori di noi anche se è solo d’una rappresentazione mentale di esso che facciamo esperienza dentro di noi».
Di seguito altre immagini da me selezionate accompagnate da alcuni pensieri straordinario artista.

"La scoperta del fuoco", 1935.

“La scoperta del fuoco”, 1935.

La mente ama l’ignoto. Ama le immagini il cui significato è sconosciuto, poiché il significato della mente stessa è sconosciuto.

"Meditazione", 1936.

“Meditazione”, 1936.

La psicoanalisi consente di interpretare solo ciò che è suscettibile di interpretazione. L’arte fantastica e l’arte simbolica le offrono numerose occasioni d’intervento: in esse abbonda il delirio più o meno evidente.

"Riproduzione vietata", 1937.

“Riproduzione vietata”, 1937.

Io mi sforzo di non dipingere se non immagini che evochino il mistero del mondo. Perché ciò sia possibile, devo essere ben vigile, ossia devo cessare di identificarmi interamente con idee, sentimenti, sensazioni.

"La vittoria", 1939.

“La vittoria”, 1939.

Una descrizione esatta esclude la bizzarria, il lirismo delicato o violento. Uno stile risentito potrebbe solo toglierle precisione e ricchezza.

"La nostalgia", 1940.

“La nostalgia”, 1940.

Ciò che bisogna dipingere è dato dall’ispirazione, che è l’evento in cui il pensiero è la somiglianza stessa.

"Il ritorno", 1940.

“Il ritorno”, 1940.

La poesia non ha nulla a che fare con la versificazione. Consiste in ciò che si trova nel mondo, al di qua di quanto ci è permesso di osservare.

"Incontri naturali", 1945.

“Incontri naturali”, 1945.

Uno studioso al microscopio vede molto più di noi. Ma c’è un momento, un punto, in cui anch’egli deve fermarsi. Ebbene, è a quel punto che per me comincia la poesia.

"La voce del sangue", 1948.

“La voce del sangue”, 1948.

Io cerco di trasformare in materia l’insensibile.

"Il vaso di Pandora", 1951.

“Il vaso di Pandora”, 1951.

Non dipingo: utilizzo oggetti che hanno l’apparenza di quadri, perché il caso ha fatto sì che questa forma espressiva convenisse meglio ai miei sensi.

"Il maestro", 1954.

“Il maestro”, 1954.

La realtà non è mai come la si vede: la verità è soprattutto immaginazione.

"Le passeggiate di Euclide", 1955.

“Le passeggiate di Euclide”, 1955.

I sogni non vogliono farvi dormire, al contrario, vogliono svegliare.

"Idee chiare", 1958.

“Idee chiare”, 1958.

Non credo che l’uomo decida nulla, né il futuro né il presente dell’umanità. Penso che noi siamo responsabili dell’universo, ma questo non significa che decidiamo qualcosa.

"Golconda", 1953.

“Golconda”, 1953.

Una descrizione esatta esclude la bizzarria, il lirismo delicato o violento. Uno stile risentito potrebbe solo toglierle precisione e ricchezza.

"Il falso specchio", 1928.

“Il falso specchio”, 1928.

La natura del mistero è tale da annichilire la curiosità.

"La cartolina", 1960.

“La cartolina”, 1960.

Non credo di essere un pittore nella piena accezione. Se, quand’ero giovane, la pittura era un grande piacere, in certi momenti non ero insensibile a un sentimento spontaneo che mi sorprendeva, precisamente quello di esistere senza conoscere la ragione del vivere e del morire. È questo sentimento che mi ha indotto a rompere con interessi – del resto assai poco precisi- d’ordine puramente estetico. Per esempio, mi accadeva di smettere all’improvviso di dipingere per essere stupito di essere, di avere un modello vivente davanti a me e di sentire che vedere “la vita” aveva un’importanza ben maggiore che dedicarsi ai piaceri dell’avanguardia. Nel 1925, stanco di quei piaceri, ho pensato che poco importava trovare un nuovo modo di dipingere ma che per me si trattava piuttosto di ciò che bisogna dipingere, di sapere perché il mistero sia messo in questione.

"Alta società", 1962.

“Alta società”, 1962.

La mia pittura non implica alcuna supremazia dell’invisibile sul visibile… La mente ama ciò che è sconosciuto, poiché il significato della mente stessa è sconosciuto. La mente non comprende la propria raison d’etre, e senza comprendere questo (o senza comprendere perché conosce ciò che conosce), nemmeno i problemi che pone hanno raison d’etre.

"Il figlio dell'uomo", 1964.

“Il figlio dell’uomo”, 1964.

Quando la gente cerca di trovare significati simbolici in ciò che dipingo, vuole qualcosa di sicuro cui aggrapparsi, per salvarsi dal vuoto. La gente che cerca significati simbolici è incapace di cogliere la poesia e il mistero intrinseci all’immagine. Certo lo sente, questo mistero, ma vuole liberarsene. Ha paura. Chiedendo “che cosa significa?”esprime il desiderio che tutto sia comprensibile. Ma se non si rifiuta il mistero si ha una reazione differente. Si chiedono altre cose.

"Uomo con la bombetta", 1964.

“Uomo con la bombetta”, 1964.

Poiché le mie ricerche non potevano dare per ogni oggetto se non una sola risposta esatta, le mie investigazioni assomigliavano alla ricerca della soluzione di problemi di cui avevo tre dati: l’oggetto, la cosa a esso associata nell’ombra della mia coscienza, e la luce a cui questa cosa dovesse pervenire.
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I miei dipinti sono immagini visibili che non nascondono nulla… magari evocano mistero, e quando qualcuno vede uno dei miei dipinti si chiede ‘Cosa significa?’ Non significano nulla, perché il mistero stesso non significa nulla. Non è conoscibile.
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"Le affinità elettive", 1933.

“Le affinità elettive”, 1933.

Importante nella mia pittura è ciò che essa mostra.
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Il mondo è così totalmente e meravigliosamente privo di senso che riuscire ad essere felici non è fortuna: è arte allo stato puro.
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"La condizione umana II", 1935.

“La condizione umana II”, 1935.

Chi cerca significati simbolici è incapace di cogliere la poesia dell’immagine.

"Mondo invisibile", 1954.

“Mondo invisibile”, 1954.

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