L’introspezione silenziosa di Isabel Allende

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allendeL’opera di Isabel Allende, una delle più note ed importanti voci della narrativa contemporanea in lingua spagnola, è pervasa da rimpianti e malinconie stemperati da indimenticabili pagine di sottile umorismo. La gioia di vivere e il desiderio di riscattare la propria esistenza, accompagnati spesso da fughe in un mondo irreale, attenuano la durezza dell’opprimente realtà in cui si muove quell’eterogeneo universo femminile descritto con estrema abilità da una scrittrice che attinge ad un vasto vocabolario, distinguendosi per uno stile fluido e avvincente. Nei romanzi di Isabel Allende si intersecano mirabilmente vite, racconti e personaggi con frequenti flashback e anticipazioni che ci consentono di immergerci in una sorta di temporalità quasi astratta ed in continuo movimento circolare priva di improvvise interruzioni.
Via via che scorrono le pagine, il lettore viaggia da un paese all’altro, conosce generazioni diverse e incontra numerosi personaggi ben caratterizzati, anche quando si tratta di figure marginali. Descrizioni particolareggiate, ma sempre lineari e scorrevoli, ci impediscono di perdere il filo, nonostante i numerosi personaggi che affollano i suoi romanzi. Umorismo ed empatia, condizione della donna, valore della memoria per evitare di dimenticare, vocazione compulsiva di raccontare sono i temi ricorrenti della narrativa di Isabel Allende.

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La sua opera viene identificata con il “Post-Boom“, una corrente letteraria latinoamericana che prende vita dal modernismo  e si distingue per le tematiche politiche, gli approfondimenti storici e culturali trattati attraverso una prosa semplice. Inoltre, nel suo affascinante stile narrativo che fonde la realtà con la fantasia, le leggende e i sogni, non è difficile scorgere l’influenza del “realismo magico“, una tecnica descrittiva in cui il realismo si fonde con la rappresentazione di episodi soprannaturali osservati con lo sguardo distaccato di chi è abituato a certe visioni e non vi avverte nulla di macabro. Basta pensare al suo romanzo più noto, “La casa degli spiriti“, da cui è stato tratto l’omonimo film di successo, per rendersi conto dell’influenza di tale suggestione letteraria.

Una scena del film "La casa degli spiriti" (1993) con Winona Ryder e Jeremy Irons.

Una scena del film “La casa degli spiriti” (1993) con Winona Ryder e Jeremy Irons.

Nonostante abbia iniziato a scrivere quasi per caso, si è subito imposta nel panorama letterario per quello stile magico che riesce ad ammaliare i suoi lettori. Per la Allende, la scrittura è un’introspezione silenziosa, «il primo impulso che dona vita alla scrittura è sempre una profonda emozione racchiusa dentro di me per molto tempo. Lotta, perdita, confusione, memoria, queste sono le materie prime della mia narrativa».
Peruviana di nascita, cresciuta in Cile, stabilitasi poi in Venezuela ed infine negli Stati Uniti, la nota scrittrice concepisce se stessa come il frutto di differenti culture e tale peculiarità si riflette nei suoi romanzi che vedono affascinanti protagoniste dalle molteplici nazionalità distinguersi per i loro tratti unici e irripetibili.

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Le protagoniste dei suoi romanzi sono accomunate da un’enorme forza interiore che riesce a farle affrontare e sopraffare un destino avverso, donne umili e audaci che riescono ad avere la meglio sulla vita e che contribuiscono a scrivere la storia di quel continente segnato da profonda sofferenza e spesso noto solamente per le dittature e l’alta corruzione. Di questi personaggi si serve la scrittrice per farci meglio conoscere la storia dell’America Latina, esaltandone i miti, le tradizioni e l’unione di razze diverse confluite in quella parte del mondo.

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Scrittrice sensibile e appassionata, Isabel Allende nasce il 2 agosto del 1942 a Lima da genitori cileni.
A pochi anni dalla sua nascita i genitori divorziano e il padre, Tomás, segretario presso l’ambasciata cilena a Lima, abbandona la moglie e i suoi tre figli. La famiglia si trasferisce a Santiago ospitata nella casa dei genitori della madre e, grazie all’unico parente che la sosterrà, lo zio paterno Salvador Allende, futuro presidente del Cile dal 1970 e deceduto durante il drammatico colpo di stato di Pinochet nel 1973, Isabel e i suoi fratelli potranno studiare e vivere in maniera dignitosa. Isabel non conoscerà mai il padre. Così racconterà la nascita della sua vocazione: «Sono una scrittrice perché sono stata benedetta da un buon orecchio per le storie, da un’infanzia infelice, da una famiglia bizzarra».

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Durante la permanenza nella casa del nonno, figura rievocata poi nel romanzo “La casa degli spiriti“, Isabel si dedica alla lettura di romanzi di qualsiasi genere letterario e ascolta i racconti della nonna, affascinata dai misteri dello spiritismo.
Anni decisivi per la sua formazione che si arricchirà di altre significative esperienze quando la madre convolerà a nuove nozze, nel 1956, con un diplomatico. A causa della professione del patrigno, Isabel vivrà in paesi diversi ed acquisirà così una visione più realistica della vita. Sorge la sua passione per la filosofia, scopre Freud, le opere di Shakespeare ed anche un libro che leggerà di nascosto e che avrà un’influenza decisiva nella sua narrativa: “Le mille e una notte“.

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Terminati gli studi, il suo prepotente desiderio di essere indipendente la spinge a lavorare sin da giovanissima svolgendo diverse professioni, tra cui quella di giornalista, settore in cui non riesce a dare il meglio di sé. Sarà il premio Nobel Pablo Neruda a farle notare la mancanza di obiettività e l’uso sfrenato della fantasia, suggerendole di intraprendere un’altra carriera. Nel romanzo “Paula” la Allende riporterà le parole del poeta: «Lei dev’essere la peggior giornalista di questo paese, figliola. È incapace di essere obiettiva, […] sospetto anche che […] quando non ha una notizia la inventi. Perché non si dedica a scrivere romanzi?».

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Nel 1962  si sposa con Miguel Frías con cui avrà due figli: Nicholás e Paula.
L’undici settembre del 1973 viene instaurata la tristemente famosa dittatura militare guidata da Augusto Pinochet che sconvolgerà la storia del Cile e della futura scrittrice. Isabel s’impegna in prima persona ad aiutare i dissidenti nel trovare asilo politico o a fornir loro dei rifugi sicuri. Cerca in tutti i modi possibili di lasciar trapelare al mondo le notizie del suo paese e, sebbene il regime le consenta ancora di collaborare con le televisioni nazionali, la giovane donna si sente usata dal governo. Decide così di lasciare il lavoro e di autoesiliarsi insieme alla famiglia stabilendosi per tredici anni in Venezuela. Anche in quel paese continuerà a collaborare come giornalista, ma l’immensa rabbia covata a lungo dentro di sé esplode nella scrittura che darà vita al suo primo e già citato romanzo “La casa degli spiriti” (1982).

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Il romanzo viene rifiutato dalle case editrici latinoamericane e sarà pubblicato a Barcellona da “Plaza y Janés“. Il successo immediato del libro investe inizialmente l’Europa fino a giungere negli Stati Uniti. Da quel momento la Allende, la giornalista che si rende conto di non poter dare libero sfogo alla propria sofferenza continuando a scrivere articoli, non smetterà più di dedicarsi alla narrativa ed ancora oggi i suoi romanzi scalano le classifiche dei libri più venduti.
Dopo il primo romanzo scriverà “D’amore e d’ombra” (1984), da cui è stato tratto l’omonimo film, “Eva Luna” (1985), “Eva Luna racconta” (1989), “Il piano infinito” (1991), “Paula” (1994), “Afrodita” (1997), “La figlia della fortuna” (1999), “Ritratto in seppia” (2001), “La città delle bestie” (2002), “Il mio paese inventato” (2003), “Il regno del drago d’oro” (2003), “La foresta dei pigmei” (2004), “Zorro. L’inizio della leggenda” (2005), “Inés dell’anima mia” (2006), “La somma dei giorni” (2008), “L’isola sotto il mare” (2009), “Il quaderno di Maya” (2011), “Le avventure di Aquila e Giaguaro” ( 2012); “Amore“, 2013, “Il gioco di Ripper” (2013) e “L’amante giapponese” (2015).

Una scena del film "D'amore e d'ombra" (1994) con Antonio Banderas e Jennifer Connelly.

Una scena del film “D’amore e d’ombra” (1994) con Antonio Banderas e Jennifer Connelly.

Durante un viaggio negli Stati Uniti la Allende conosce William Gordon che sposerà in seconde nozze, nel 1988, dopo il divorzio dal primo marito. Trasferitasi in California, a San Rafael, dove attualmente risiede, parlerà della nuova vita insieme al secondo marito nel già menzionato romanzo “Il piano infinito“.

Paula, figlia di Isabel Allende.

Paula, figlia di Isabel Allende.

Poco tempo dopo, una terribile tragedia investe la sua vita: la figlia Paula si ammala di porfiria, una rara e gravissima malattia genetica. La ragazza, dopo aver trascorso un lungo periodo in stato comatoso, si spegne il 6 dicembre del 1992, a soli ventotto anni.
Così si legge nel sito ufficiale di Isabel Allende, accanto alla foto mostrata a sinistra:
«Mia figlia Paula Frias Allende nel 1991, pochi mesi prima che entrasse in coma. Morì nel 1992. Il suo spirito è sempre con me, come una delicata presenza».
Nel periodo trascorso accanto alla figlia in coma, Isabel annota tutti i ricordi vissuti insieme a lei e che saranno poi raccolti in un libro molto commovente e duro, pubblicato qualche anno dopo con il semplice titolo di “Paula“. Molte saranno le manifestazioni di solidarietà da tutto il mondo volte a recare conforto alla scrittrice che così descrive il rapporto indissolubile tra madre e figlia: «Lei è l’amore più lungo della mia vita, che è iniziato il giorno della gestazione e dura già da mezzo secolo, per giunta è l’unico realmente incondizionato, né i figli, né i più ardenti amanti amano così».

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Si separa dal secondo marito nel 2015 e vive ancora in California.
Grazie alla sua opera il mondo ha conosciuto la sofferenza vissuta dal popolo cileno e riflettuto ulteriormente sulla condizione della donna. Scrittrice e donna straordinaria ha condiviso le sue esperienze di vita con noi lettori, aprendo, senza remora alcuna, il suo cuore e la sua anima.
A lei oggi, in occasione del suo compleanno, dedico una raccolta dei suoi pensieri più significativi ed alcuni brani tratti dai suoi meravigliosi romanzi.

Alla fine, l’unica cosa a cui possiamo attingere a piene mani è la memoria che abbiamo intessuto. Ognuno sceglie la tonalità con cui raccontare la propria storia; a me piacerebbe scegliere la chiarezza durevole di una stampa su platino, ma niente nel mio destino possiede tale luminoso requisito. Vivo tra gradazioni sfumate, velati misteri, incertezze; la tonalità con cui raccontare la mia vita si accorda meglio a quella di un ritratto in seppia.
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La narrazione è un’esperienza completa, come la maternità o l’amore con l’amante perfetto; è una passione che determina la mia esistenza. Sono dipendente dalle storie. Voglio sapere cosa è avvenuto e a chi, conoscere il dove e il perché. Per me la scrittura è sempre stata terapeutica, perché mi permette di esorcizzare alcuni dei miei demoni, trasformando in forza gran parte del dolore e delle sconfitte. Di certo scrivo perché mi piace, perché se non lo facessi la mia anima inaridirebbe, e morirei.

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Volevo scrivere dei miei nonni, ma fui tradita dalla voglia di raccontare. Perché ho iniziato parlando di Nivea? Non lo so. […] Scrivere “La casa degli spiriti” fu come aprire una chiusa e un torrente di parole, storie, racconti. Immagini, colori sapori e ricordi mi travolse e mi lasciò a gambe all’aria, fino a oggi. Non mi sono mai ripresa dal tremendo impatto di quel torrente. Ha cambiato la mia vita.
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Adesso, che ho superato già tanti dolori e posso leggere il mio destino come una mappa piena di errori, quando non sento nessuna compassione di me stessa e posso passare in rassegna la mia esistenza senza sentimentalismi, perché ho trovato una relativa pace, lamento soltanto la perdita dell’innocenza. Mi manca l’idealismo della gioventù, del tempo in cui esisteva ancora per me una chiara linea divisoria tra il bene e il male e credevo che fosse possibile agire sempre in accordo con princìpi inamovibili.
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La scrittura per me è un tentativo disperato di preservare la memoria. I ricordi, nel tempo, strappano dentro di noi l’abito della nostra personalità, e rischiamo di rimanere laceri, scoperti. Così scrivere mi consente di rimanere integra e di non perdere pezzi lungo il cammino.
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L’avevo detto, l’ostinazione è un male molto forte; si aggrappa al cervello e spezza il cuore. Di ostinazioni ce ne sono molte, ma quella dell’amore è la peggiore.
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La vita è piena di ironie, è meglio godersi ora ciò che si ha, senza preoccuparsi di un domani ipotetico.
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Non c’è niente di più pericoloso del demone della fantasia acquattato nell’animo femminile.
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Non invento i miei libri: saccheggio storie dai giornali o ascolto con orecchio attento le vicende degli amici. […] Da questi spunti poi i miei personaggi emergono da soli, con naturalezza.
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Nel mio paese dalle donne ci si aspetta sempre che controllino e nascondano i loro desideri e io invece ho creato, forse per reazione, soprattutto personaggi maschili molto “controllati”, le donne invece sono passionali e sensuali.
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Quando morì mia figlia Paula, mi accorsi che la morte è un terribile inconveniente, ma non un ostacolo insormontabile alla comunicazione. Io comunico ancora con lei, così come comunico con mia nonna, morta 50 anni fa. Scrivendo storie il mio obbiettivo è comunicare con il mondo.
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NightbirdsLa scrittura è per me un tentativo disperato di preservare la memoria. Sono un’eterna vagabonda e sul mio cammino restano i ricordi, come brandelli strappati al mio vestito. Scrivo perché l’oblio non mi vinca e per nutrire le mie radici, che ormai non affondano in nessun luogo geografico, ma solo nella memoria e nei libri che ho scritto. Spesso, mentre cerco l’ispirazione davanti a una pagina bianca, chiudo gli occhi per un istante e ritorno nella cucina della casa in cui sono cresciuta e alle straordinarie donne che mi hanno allevata (…). La scrittura non è fine a se stessa, ma è un mezzo per comunicare. Che cos’è un libro prima che qualcuno lo apra e lo legga? Solo un insieme di fogli incollati da un lato… sono i lettori a infondergli un alito di vita. Nel migliore dei casi la letteratura cerca di dare voce a chi non ce l’ha o a chi è stato messo a tacere, ma quando scrivo mi impongo il compito di non rappresentare nessuno, di non trascendere, di non dare un messaggio o spiegare i misteri dell’universo, semplicemente cerco di raccontare, usando il tono di una conversazione intima. Non ho risposte, solo domande, sempre le stesse domande che, come fantasmi, mi assillano. La scrittura è un lavoro lento, silenzioso e solitario. Ogni libro è un messaggio racchiuso in una bottiglia e lanciato in mare; non so su quali spiagge approderà, né in quali mani cadrà. Scrivo alla cieca ed è sempre una stupenda sorpresa ricevere lettere o abbracci da lettori entusiasti, significa che qualcuno ha letto le mie pagine, che non le ha inghiottite il mare. Perché scrivo? Non lo so. Per me è una necessità fisiologica, come il sonno o la maternità. Raccontare e raccontare…è la sola cosa che desidero fare. La scrittura dà forma alla realtà, crea e ricrea il mondo. Secondo la Bibbia, al principio fu il verbo, la parola. Dio disse: sia fatta luce, le acque si separino dalla terra. Questa metafora descrive il mondo precedente all’arte del linguaggio e della scrittura: prima della parola c’erano caos, inquietudine e ombra. Prima della parola gli eventi dell’umanità cadevano nell’oblio, non potevamo trasmettere l’esperienza o la conoscenza, raccontare le nostre vicende e spiegarci agli altri; prima del verbo non c’era storia. Così è stato anche nella mia vita: prima di trovare la via della letteratura c’erano solamente confusione e oblio. La parola scritta mi ha salvato da un’esistenza banale.allende 17
Questa è la storia di una donna e di un uomo che si amarono in pienezza, evitando così un’esistenza banale. L’ho serbata nella memoria affinché il tempo non la sciupasse ed è solo ora, nelle notti silenziose di questo luogo, che posso infine raccontarla. Lo farò per quell’uomo e quella donna che mi confidarono le loro vite dicendo: prendi, scrivi, affinché non lo cancelli il vento.
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La memoria è fragile e il corso di una vita è molto breve e tutto avviene così in fretta, che non riusciamo a vedere il rapporto tra gli eventi, non possiamo misurare le conseguenze delle azioni, crediamo nella finzione del tempo, nel presente, nel passato, nel futuro.
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– La morte non esiste, figlia. La gente muore solo quando viene dimenticata. – mi spiegò mia madre poco prima di andarsene. – Se saprai ricordarmi, sarò sempre con te. – Mi ricorderò di te – le promisi. […] Poi mi prese una mano e con gli occhi mi disse quanto mi amava, finché il suo sguardo non divenne nebbia e la vita uscì da lei senza amore.
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Per la prima volta qualcuno parlava di quel tema, fino allora la morte era una faccenda taciuta, si scommetteva sull’immortalità, ciascuno con la segreta speranza di vivere per sempre.
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Da quando Paula (mia figlia) è morta 27 anni fa, ho perso la paura della morte. Innanzitutto, perché l’ho vista morire tra le mie braccia e ho capito che la morte è come la nascita, è una transizione, una soglia e ho perso la sua paura personalmente. Ora, se il virus mi cattura, appartengo alla popolazione più vulnerabile, gli anziani, ho 77 anni e so che se lo prendo, morirò. Quindi la possibilità della morte mi è molto chiara in questo momento, la vedo con curiosità e senza paura.
Ciò che la pandemia mi ha insegnato è di lasciar andare le cose, di rendermi conto di quanto poco ho bisogno.
Non ho bisogno di comprare, non ho bisogno di più vestiti, non ho bisogno di andare da nessuna parte o viaggiare. Penso di averne troppo. Mi guardo intorno e mi chiedo perché tutto questo. Perché ho bisogno di più di due piatti?
Quindi scopri chi sono i veri amici e le persone con cui voglio stare.
Cosa pensi che la pandemia ci insegni a tutti?
Ci sta insegnando le priorità e ci sta mostrando una realtà. La realtà della disuguaglianza. Come alcune persone passano la pandemia su uno yacht ai Caraibi e altre persone muoiono di fame.
Ci ha anche insegnato che siamo una famiglia.
Quello che succede a un essere umano a Wuhan, succede al pianeta, succede a tutti noi. Non esiste questa idea tribale che siamo separati dal gruppo e che possiamo difendere il gruppo mentre il resto della gente se ne frega. Non ci sono muri, non ci sono pareti che possono separare le persone.
I creatori, gli artisti, gli scienziati, tutti i giovani, molte donne, stanno prendendo in considerazione una nuova normalità. Non vogliono tornare a ciò che era normale.
Si chiedono quale mondo vogliamo. Questa è la domanda più importante in questo momento.
Quel sogno di un mondo diverso: dobbiamo andare lì.
E rifletto: a un certo punto mi sono resa conto che si viene al mondo per perdere tutto. Più a lungo vivi, più perdi. In primo luogo stai perdendo i tuoi genitori, a volte persone molto care intorno a te, i tuoi animali domestici, i luoghi e anche le tue facoltà.
Non puoi vivere nella paura, perché ti fa immaginare cose che non accadono e soffri il doppio.
Dobbiamo rilassarci un po’, provare a goderci quello che abbiamo e vivere nel presente.

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I cileni sono credenti, anche se la loro pratica religiosa è decisamente più vicina al feticismo e alla superstizione di quanto sia legata all’inquietudine spirituale o alla conoscenza teologica. Nessuno si dichiara ateo, nemmeno il comunista più radicale, perché questo termine è considerato offensivo, si preferisce la parola “agnostico”.
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Siamo anche appassionati di telenovelas, perché le disgrazie dei protagonisti ci forniscono una buona occasione per piangere delle nostre.
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Una bella fotografia racconta una storia, rivela un luogo, un evento, uno stato d’animo, è più potente di pagine e pagine scritte.
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Il dolore, come tutte le sensazioni, è una porta per entrare nell’anima.
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Figliolo, la Santa Madre Chiesa sta a destra, ma Gesú Cristo è stato sempre a sinistra.
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Ci addormentavamo vicini vicini, senza che ci importi dove inizia uno e finiva l’altro, né di chi sono queste mani o questi piedi, in una complicità così perfetta che ci incontravamo nei sogni e il giorno dopo non sapevamo chi aveva sognato chi e quando uno si muove tra le lenzuola l’altro si accomoda negli angoli e nelle curve e quando uno sospira sospira anche l’altro e quando uno si sveglia si sveglia anche l’altro.
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allende 21Sentii che mi stavo immergendo in quell’acqua fresca e seppi che il viaggio attraverso il dolore finiva in un vuoto assoluto. Sciogliendomi ebbi la rivelazione che quel vuoto è pieno di tutto ciò che contiene l’universo. È nulla e tutto nello stesso tempo. Luce sacramentale e oscurità insondabile. Sono il vuoto, sono tutto ciò che esiste, sono in ogni foglia del bosco, in ogni goccia di rugiada, in ogni particella di cenere che l’acqua trascina via, sono Paula e sono anche me stessa, sono nulla e tutto il resto in questa vita e in altre vite, immortale.
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Per mezzo della fotografia e della parola scritta cerco disperatamente di sconfiggere la fuggevolezza della mia vita, di catturare gli attimi prima che svaniscano, di rischiarare la confusione del mio passato.
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L’esperienza di scavare nella propria vita è molto interessante; è per questo, credo, che ci sono tanti seguaci della psicoanalisi. Sono rare le opportunità – eccezion fatta per la psicoterapia o la confessione – di disporre del tempo e della possibilità di osservarci, rivedere il passato, tracciare le mappe del cammino già percorso e scoprire come siamo. Generalmente ci vediamo in modo diverso da come ci vedono gli altri. Impariamo presto a usare maschere che cambiamo con tale frequenza da renderci incapaci di riconoscere il nostro volto allo specchio.
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Tutti abbiamo lo spirito di un animale che ci accompagna. È come la nostra anima. Non tutti incontrano il proprio animale, solo i grandi guerrieri e gli sciamani […].
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Credo sia una reazione sana, il riaffermarsi della vita, del piacere e dell’amore dopo aver percorso per molto tempo i territori della morte.
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Pensava allora e pensa ancora che la democrazia non debba nutrirsi di amnesia e impunità. La democrazia ha bisogno e diritto di buona memoria e giustizia.
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Odio il fondamentalismo in ogni sua forma. Non accetto la rigidità sorda del Vaticano, e mi fanno orrore l’Opus Dei, i Legionari di Cristo e chiunque creda di avere Dio in tasca. Questo non mi impedisce di ammirare il coraggio di alcuni membri della Chiesa. Madre Teresa o il Dalai Lama personificano la religiosità come servizio. Non capisco come milioni di donne possano sentirsi parte delle tante Chiese unite nel considerare le donne cittadini di serie B.
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Francisco l’attrasse a sé e le cercò le labbra. Fu un bacio casto, tiepido, lieve tuttavia ebbe l’effetto di una scossa tellurica nei loro sensi. Entrambi percepirono la pelle dell’altro prima mai così precisa e vicina, la pressione delle loro mani, l’intimità di un contatto anelato fin dagli inizi del tempo. Li invase un calore palpitante nelle ossa nelle vene nell’anima, qualcosa che non conoscevano o che avevano del tutto scordato, perché la memoria della carne è fragile. Tutto scomparve intorno ed ebbero coscienza solo delle labbra unite che prendevano e ricevevano.
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L’erotismo e la fantasia entrarono nella mia vita con la forza di un tifone, infrangendo tutti i limiti possibili e sconvolgendo l’ordine noto delle cose.
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