«Bevo quaranta caffè al giorno per essere ben sveglio e pensare, pensare, pensare a come poter combattere i tiranni e gli imbecilli. Sarà senz’altro un veleno, ma un veleno lentissimo: io lo bevo già da settant’anni e, finora, non ne ho mai provato i tristi effetti sulla mia salute…»
Figura di spicco dell’Illuminismo francese, François-Marie Arouet è noto in tutto il mondo con il nome di Voltaire e per le sue perseveranti lotte contro lo stagnante conservatorismo aristocratico e clericale. Le sue provocazioni, espresse con una verve pungente e caustica, trovano la massima intensità in un nuovo genere letterario, inaugurato dallo stesso Voltaire e denominato “conte philosophique“, particolarmente consono all’esuberante dinamismo della sua genialità che sfocerà nell’opera considerata il suo capolavoro assoluto, “Candido“.
Le opere di Voltaire sono caratterizzate da una sagace ironia volta a ridicolizzare la tradizione metafisica classica e le dottrine religiose, volgendo la sua attenzione in modo particolare alla religione predominante in quel periodo: il cattolicesimo. La parte più forte e politicamente sconvolgente della sua immensa opera si esprime nell’epistolario, che sfugge ovviamente alla censura e consente al filosofo di poter esercitare la sua influenza liberatrice. La funzione di Voltaire è quella di un liberatore degli uomini dai timori causati da secoli di cieca ubbidienza alla Chiesa e alla monarchia.
Voltaire si può considerare la personificazione dell’intellettuale moderno che scrive solamente perché spinto dalla necessità di confrontare passato e presente e sottoporli ad un’indagine guidata dal cosiddetto “lume della ragione“. La sua consapevolezza dell’importanza nel divulgare le nuove idee che agitano gli intellettuali europei, fa sì che sorga dentro di lui l’idea di una filosofia intesa soprattutto come dovere nei confronti di un’umanità sofferente in cerca di risposte. Il suo pensiero si distacca da filosofi ottimisti come Leibniz che parlano di “migliore dei mondi possibili”. I testi di storia della filosofia non dedicano molto spazio a questo grande filosofo, seppur nel romanzo di Victor Hugo “I Miserabili“, Gavroche, mentre lotta sulle barricate di Parigi, canta sull’aria di “Au claire de la lune“: «C’est la faute à Voltaire/C’est la faute à Rousseau». Se, infatti, Rousseau espone nelle sue opere la teoria dei diritti naturali dell’uomo, Voltaire insegna agli uomini a pensare con la propria testa rigettando ogni dogma o rivelazione.
Erroneamente è stato attribuito a questo filosofo, poco tollerante riguardo certe posizioni estremiste e oscurantiste che limitano la libertà umana, il famoso pensiero «Non sono d’accordo con quello che dici, ma sono disposto a dare la mia vita perché tu possa dirlo», quasi diventato virale in una società urlante in cui il “Pensiero Unico” ha ormai preso il sopravvento e che comunque ha sempre mostrato e continua a mostrare ben poca disponibilità nell’accogliere un pensiero diverso da quello imperante. In realtà il pensiero sopracitato è stato scritto dalla britannica Evelyn Beatrice Hall nel suo libro “The Friends of Voltaire” (1906).
Ed il grido di battaglia del filosofo, «Schiacciate l’infame!», sebbene rivolto soprattutto alla Chiesa cattolica ed al pregiudizio che offusca la mente umana causando delle barbare uccisioni in nome della religione, ha ben poco da spartire con la falsa idea di tolleranza misteriosamente attribuitagli. La sua concezione di tolleranza, ben espressa nell’opera “Trattato sulla tolleranza” (1763), dev’essere contestualizzata al periodo storico in cui vive dove, solo per un minimo sospetto riguardante la non osservanza della fede cattolica, si può ancora essere condannati in nome di una religione sottomessa al fanatismo clericale ed usata come strumento di potere. La sua preghiera rivolta a Dio illustra mirabilmente il suo pensiero riguardo la libertà dell’uomo, la sua finitudine ed il diritto ad essere perdonato in qualità di essere imperfetto e condannato a morire. Una concezione innovativa e rivoluzionaria, la cui influenza investirà la maggioranza dei più grandi pensatori, da Leopardi a Nietzsche e che dovrebbe essere letta da tutti coloro che continuano a dividere il mondo in “buoni” e “cattivi” e parlano a vanvera di “scontri di civiltà”, allegramente inconsapevoli di essere solamente funzionali al potere e alla lobby delle armi. Come si può notare nella seguente preghiera, Voltaire tratta da pari a pari non solo i sovrani, ma anche Dio. Non nega questa entità sovrannaturale e non tollera gli atei; innamorato della Ragione, ritiene che negare l’esistenza di Dio rappresenti il colmo dell’irrazionalità. Nega solamente il diritto a propinare un Dio costituito e irregimentato e accusa quindi non solo la Chiesa, ma anche tutte le altre religioni, in modo particolare gli Ebrei dell’Antico Testamento, ritenuti i responsabili principali dell’intolleranza religiosa.
Preghiera a Dio
«Non è più dunque agli uomini che mi rivolgo; ma a te, Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi, di tutti i tempi:
se è lecito che delle deboli creature, perse nell’immensità e impercettibili al resto dell’universo, osino domandare qualche cosa a te, che tutto hai donato,
a te, i cui decreti sono e immutabili e eterni, degnati di guardare con misericordia gli errori che derivano dalla nostra natura.
Fa’ sì che questi errori non generino la nostra sventura.
Tu non ci hai donato un cuore per odiarci l’un l’altro, né delle mani per sgozzarci a vicenda;
fa’ che noi ci aiutiamo vicendevolmente a sopportare il fardello di una vita penosa e passeggera.
Fa’ sì che le piccole differenze tra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi,
tra tutte le nostre lingue inadeguate, tra tutte le nostre usanze ridicole,
tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le nostre opinioni insensate,
tra tutte le nostre convinzioni così diseguali ai nostri occhi e così uguali davanti a te,
insomma che tutte queste piccole sfumature che distinguono gli atomi chiamati “uomini” non siano altrettanti segnali di odio e di persecuzione.
Fa’ in modo che coloro che accendono ceri in pieno giorno per celebrarti sopportino coloro che si accontentano della luce del tuo sole;
che coloro che coprono i loro abiti di una tela bianca per dire che bisogna amarti, non detestino coloro che dicono la stessa cosa sotto un mantello di lana nera;
che sia uguale adorarti in un gergo nato da una lingua morta o in uno più nuovo.
Fa’ che coloro il cui abito è tinto in rosso o in violetto, che dominano su una piccola parte di un piccolo mucchio di fango di questo mondo,
e che posseggono qualche frammento arrotondato di un certo metallo, gioiscano senza inorgoglirsi di ciò che essi chiamano “grandezza” e “ricchezza”,
e che gli altri li guardino senza invidia: perché tu sai che in queste cose vane non c’è nulla da invidiare, niente di cui inorgoglirsi.
Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli!
Abbiano in orrore la tirannia esercitata sulle anime,
come odiano il brigantaggio che strappa con la forza il frutto del lavoro e dell’attività pacifica!
Se sono inevitabili i flagelli della guerra, non odiamoci, non laceriamoci gli uni con gli altri nei periodi di pace,
ed impieghiamo il breve istante della nostra esistenza per benedire insieme in mille lingue diverse,
dal Siam alla California, la tua bontà che ci ha donato questo istante».
Nato a Parigi probabilmente il 21 novembre del 1694 in una famiglia agiata, è stato lo stesso Voltaire a far sorgere dei dubbi sulla sua effettiva data di nascita, poiché avendo avuto dei problemi di salute, non sa con esattezza quando sia stato registrato all’anagrafe. Alla morte della madre, avvenuta quando François ha appena sette anni, viene cresciuto solamente dal padre con il quale i rapporti saranno sempre contrassegnati da conflitti. Viene educato nel prestigioso collegio gesuita Louis-le-Grand ed indirizzato successivamente agli studi giuridici dal padre, ricco notaio che desidera venga proseguita la tradizione familiare. Voltaire abbandona ben presto l’università contravvenendo al volere del genitore che mal sopporta la vocazione letteraria del figlio a parer suo velleitaria.
Sin da giovanissimo Voltaire subisce il fascino dell’ambiente intellettuale parigino, caratterizzato da uno stile di vita libertino che il nostro futuro filosofo e scrittore non sembra proprio disdegnare, e viene accolto nell’elegante vita di corte dove intrattiene numerose relazioni con alcune donne aristocratiche.
Alla morte del padre eredita una cospicua somma che riesce ad investire in modo oculato e la sua vita sembra scorrere normalmente senza colpi di scena eclatanti.
Ma i suoi primi scritti e componimenti satirici, particolarmente irriverenti nei confronti dell’autorità costituita, gli creano non pochi problemi, pur ottenendo un grande successo nei salotti nobiliari e, nel 1717, viene arrestato ed imprigionato per breve tempo nella Bastiglia.
Dopo la scarcerazione alcuni suoi scritti provocano la reazione del cavaliere di Rohan, che, dopo averlo dileggiato, lo fa bastonare dai suoi domestici, rifiutando poi un duello con il giovane poeta per riparare al torto subito. Voltaire viola la legge in vigore che non consente ad un semplice borghese di sfidare un nobile a duello.
Per tale ragione Filippo d’Orléans, già da tempo infastidito dagli scritti satirici del giovane, emana un ordine di arresto nei confronti di Voltaire che viene subito scarcerato a condizione di lasciare la Francia. Costretto all’esilio, si trasferisce in Inghilterra.
L’esilio in Inghilterra (1726-28) contribuisce in modo decisivo alla sua formazione culturale. Voltaire stringe amicizia con gli intellettuali del periodo e studia in particolar modo le istituzioni britanniche, ai suoi occhi un esempio di apertura e progresso che lo rendono ancor più consapevole dell’arretratezza della Francia rispetto a quel paese liberale e da lui definito la “nazione dei filosofi” in cui i diritti dell’uomo e la tolleranza religiosa vigono incontrastati e dove «si pensa liberamente e valorosamente, senza essere trattenuti da servili paure». E proprio in Inghilterra decide di usare quello pseudonimo con cui è famoso in tutto il mondo e sulla cui origine gli studiosi ancora non riescono a concordare.
Frutto del soggiorno in Inghilterra saranno le “Lettere Filosofiche” conosciute anche come “Lettere Inglesi“, pubblicate nel 1733 prima in Inghilterra e l’anno seguente in Francia. L’opera, definita dallo storico Lanson “la prima bomba scagliata contro l’Ancien Régime” non risparmia critiche accese nei confronti dell’assolutismo e dei contrasti sociali ed afferma la necessità dell’uomo di affidarsi alla ragione per poter ottenere una società diversa. Nonostante sia ormai diventato uno scrittore teatrale e satirico di enorme successo e abbia ottenuto nel 1729 la revoca dell’esilio, la pubblicazione di quel saggio provoca un enorme scandalo.
Il Parlamento condanna il libro al rogo con la seguente motivazione: «scandaloso, contrario alla Religione, ai buoni costumi e al rispetto dovuto ai Poteri».
Viene anche emesso un mandato di arresto per l’autore che si vede ancora una volta costretto ad allontanarsi da Parigi. Si rifugia dalla sua amante Madame du Châtelet, che lo accoglierà nel castello di Cirey, in Lorena. La relazione tra i due è abbastanza tempestosa e, dopo innumerevoli liti e riappacificazioni, la donna si legherà definitivamente al poeta Saint-Lambert.
In quel castello Voltaire risiederà per circa dieci anni con numerose interruzioni per viaggi condotti in diversi paesi.
Il famoso saggio che lo costringe ancora una volta a fuggire viene considerato il manifesto dell’Illuminismo. Molto nota la lettera in cui esalta la tolleranza religiosa britannica di cui ne riporto uno stralcio: «Entrate nella Borsa di Londra, luogo più rispettabile di tante corti; vi trovate riuniti, per l’utilità degli uomini, rappresentanti di tutte le nazioni. Là, l’ebreo, il maomettano e il cristiano trattano l’uno con l’altro come se fossero della stessa religione, e chiamano infedeli soltanto coloro che fanno bancarotta; là, il presbiteriano si fida dell’anabattista, e l’anglicano accetta la cambiale del quacchero. Uscendo da queste libere e pacifiche riunioni, gli uni si recano in sinagoga, gli altri vanno a bere; questo va a farsi battezzare in una grande tinozza nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; quello fa tagliare il prepuzio di suo figlio e fa mormorare sul bambino parole ebraiche che non comprende; altri vanno nella loro chiesa col cappello in testa ad attendere l’ispirazione divina, e tutti sono contenti.Se in Inghilterra ci fosse una sola religione, ci sarebbe da temere il dispotismo; se ce ne fossero due, si scannerebbero a vicenda; ma ce n’è una trentina, e vivono felici e in pace».
In quegli anni di esilio la sua produzione letteraria aumenta considerevolmente e nel 1736 inizia una corrispondenza con il principe Federico, futuro re di Prussia nel 1740. Scrive numerose opere filosofiche tra cui bisogna menzionare “Elementi della filosofia di Newton” (1738) e la “Metafisica di Newton” (1740).
Nel 1744 gli viene concesso di tornare a Parigi dove viene nominato storiografo di corte da Luigi XV grazie all’amicizia con Madame de Pompadour, la favorita del re. Nonostante sia apprezzato dai nobili, il sovrano lo allontana da tale incarico.
Uomo apparentemente molto razionale, Voltaire ama appassionatamente, sfiorando talvolta il ridicolo, Madame du Châtelet, una donna colta e intelligente sposata con Monsieur du Châtelet, che accetta serenamente quel ménage à trois di cui gode, insieme alla moglie e al filosofo, di una vita idilliaca tra libri e piaceri della campagna nel loro nido a Cirey. Dopo un po’ di tempo, in quel singolare ménage irrompe un altro amore; Émilie du Châtelet s’innamora di un poeta molto più giovane di lei, Saint-Lambert. L’ingresso di un altro uomo non sconvolge il corso degli eventi: Voltaire accetta tranquillamente l’intrusione di quel bel giovane nella sua vita coniugale. Nel 1746 Voltaire fa ritorno a Cirey, dopo essere stato sollevato dall’incarico di storiografo da Luigi XV. Tre anni dopo Émilie mette al mondo una bambina, probabilmente figlia di Saint Lambert, che si spegne prematuramente, e tre giorni dopo Voltaire assiste alla morte della donna da lui sempre amata.
In preda alla disperazione, così l’uomo commenterà la separazione definitiva da Émilie: «Non ho perduto un’amante ma la metà di me stesso. Un’anima per la quale la mia sembrava fatta».
Profondamente segnato dal dolore e deluso dalla mancanza di riconoscimenti da parte della corte francese, si reca a Berlino ed incontra il re Federico II con cui ha da tempo intrattenuto una fitta corrispondenza.
Porta a termine la sua opera storica “Il secolo di Luigi XIV” (1751), ma si scontra anche con quel re “filosofo” che nelle lettere si mostra molto differente da quello che è realmente. A causa di attacchi frequenti al modo di governare la Prussia da parte del nostro filosofo, s’interrompe anche il rapporto amichevole con Federico II e Voltaire farà ritorno in Francia nel 1753.
Continuerà a viaggiare alla ricerca di un luogo che possa soddisfare il suo desiderio di poter scrivere liberamente, ma andrà incontro ad un’altra delusione dopo essersi stabilito a Ginevra. Intensifica la sua collaborazione all’Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, primo esempio di enciclopedia universale del sapere e che illustra nell’introduzione i principi fondanti dell’Illuminismo, scrive anche un’altra opera, “Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni” (1740), ma nel 1757 a causa dell’articolo “Ginevra“, introdotto nell’Enciclopedia, viene criticato e accusato di averne ispirato la stesura.
Acquista una tenuta a Ferney, una cittadina al confine tra la Svizzera e la Francia, e vi si stabilisce definitivamente.
Nel 1759 pubblica il suo racconto filosofico più celebre, “Candido, o dell’ottimismo” a Parigi, Londra e Amsterdam. Nel “Candido” si può scorgere lo stile inconfondibile di Voltaire che, con un ritmo veloce e pungente, smantella, pagina dopo pagina, l’ottimismo razionalista di Leibniz, senza però sfociare in un cupo pessimismo riguardante il cieco destino della condizione umana.
Un libriccino di cui consiglio la lettura a tutti, anche a chi non si sente particolarmente predisposto agli studi filosofici. Di lettura agevole, racconta le paradossali avventure di Candido, un giovane puro di cuore, innamorato di Cunegonda, figlia di un barone. Educati entrambi dal precettore Pangloss, discepolo del filosofo Leibniz, quest’ultimo cerca di inculcare nei due giovani gli insegnamenti del suo maestro trasmettendo loro la teoria, in voga in quel periodo, che viviamo nel migliore dei mondi possibili e che qualsiasi avvenimento investa la nostra vita tende necessariamente al bene.
Tale principio è inizialmente talmente consolidato nella mente del protagonista che, anche di fronte ad avvenimenti insensati, ne difende la veridicità per molto tempo. Tuttavia, costretto a fare i conti con una numerosa serie di avvenimenti in cui il caso svela le sue infinite eventualità, Candido muta radicalmente quella sterile concezione metafisica pervenendo alla conclusione che l’inafferrabilità delle vicende umane è scevra da regole cosmiche definite.
Nei dialoghi arguti del “Candido” Voltaire ci conduce alla conclusione che negare l’esistenza del male, nonostante sia una consapevolezza che reca in sé una grande amarezza, è solamente uno sterile tentativo di prendersi in giro. Bisogna riconoscere che il mondo in cui viviamo non è affatto il migliore dei mondi possibili (possibilità, tra l’altro, sperimentata da chi?). Ma di una cosa possiamo forse essere certi: questo mondo in cui siamo stati scaraventati è l’unico mondo che abbiamo. Ed anche se è orribile il male che c’è sulla terra, Candido afferma che «dobbiamo coltivare il nostro giardino», e, se la felicità è un’utopia e «la storia è un seguito di inutili atrocità», coltivare il proprio talento ed impegnarsi concretamente a lavorare ciascuno il proprio orto si oppone radicalmente a certe illusioni di felicità racchiuse nel pensiero del discepolo di Leibniz: «In questo migliore dei mondi possibili, tutti i fatti son connessi fra loro. Tanto è vero che se voi non foste stato scacciato a gran calci nel sedere da un bel castello, per amor di madamigella Cunegonda, se non foste capitato sotto l’Inquisizione, se non aveste corso l’America a piedi, se non aveste infilzato il Barone, se non aveste perso tutte le pecore del bel paese di Eldorado, voi ora non sareste qui a mangiar cedri canditi e pistacchi».
Anche quest’opera naturalmente suscita scandalo e non pochi la considerano “scellerata”, ma ormai l’Illuminismo, che vede in Voltaire uno dei protagonisti più incisivi, si diffonde in Europa ogni giorno di più, sebbene il tentativo di annientare quell’ignoranza e superstizione di stampo religioso che ancora oggi domina il mondo non ha sortito alcun effetto, dato che si continua a parlare di guerre sante, d’infedeli, di superiorità di una civiltà rispetto ad un’altra e predomina un’intolleranza religiosa spesso fomentata dai mass media e dai vari social network che spesso istigano alla non accoglienza di chi fugge da un paese in guerra. Demolire certe credenze fondate su dogmi e principi di autorità è diventata ancora oggi un’impresa ardua in un mondo in cui certi diritti vengono sottratti silenziosamente e le masse riescono ad essere manipolate agevolmente. L’insicurezza che cercano ogni giorno di trasmetterci riesce a far presa nelle persone più ignoranti o mentalmente instabili e nel nostro paese, con un analfabetismo funzionale che tocca punte elevatissime, accompagnato da un impoverimento di scuole e università, si sta assistendo ad un’involuzione spaventosa.
Ma torniamo al nostro filosofo.
Gli ultimi anni della sua vita li trascorre in quella tenuta dove s’incontra con intellettuali famosi e nel suo piccolo opera una rivoluzione dell’agricoltura apportando miglioramenti alla vita di chi vi lavora.
Il re di Francia e la Chiesa, a causa della sua notorietà inarrestabile, è costretta per un po’ a tacere di fronte ad una produzione letteraria prolifica che polemizza incessantemente contro le torture, la religione e l’intolleranza.
La sua concezione religiosa si può rimandare al “deismo“, una filosofia razionalista che rigetta ogni dogma o rivelazione, e che vede nell’Illuminismo l’unica via perché possa attuarsi una fratellanza tra gli uomini.
Il suo pensiero sulla validità di una religione naturale si può leggere nel già citato “Trattato sulla tolleranza” (1763).
Nel 1764 anche il suo “Dizionario filosofico” viene condannato dal Parlamento, ma Voltaire continua incurante la sua instancabile polemica. Accoglie nella sua tenuta alcuni operai svizzeri privi del diritto di cittadinanza e li assume per la lavorazione di orologi e di calze di seta.
Nel 1776 riesce a concludere la sua opera fortemente critica nei confronti della Bibbia, “La Bible enfin expliquèe“.
L’anno seguente il governo annulla l’ordinanza che impedisce a Voltaire di rientrare a Parigi e nel 1778 viene accolto trionfalmente nella sua città natale. Nonostante sia già malato di cancro alla prostata non smette di ideare un altro dizionario filosofico, ma la morte ha il sopravvento su questo immenso filosofo e lo coglie il 30 maggio dello stesso anno. L’autorità religiosa non ne consente la sepoltura in terra “consacrata”. L’undici luglio del 1791 le sue ceneri saranno tumulate con rito solenne al Panthèon per decreto della Costituente.
Anticlericale perché considera il cristianesimo ormai compromesso dal materialismo della Chiesa, Voltaire si può considerare agnostico; non nega mai l’esistenza di Dio, a differenza degli altri filosofi illuministi. Non abbraccia idee populiste e persegue l’idea di una monarchia illuminata che garantisca la felicità e la libertà di pensiero del popolo. Aborrisce la pena di morte e mostra un interesse, alquanto insolito in quel periodo, verso ogni essere vivente. Animalista e antivivisezionista affronta la crudeltà degli uomini verso gli animali in molte sue opere.
Nel suo “Dizionario filosofico” domanda ad un vivisettore: «tu scopri in lui gli stessi organi di sentimento che sono in te. Rispondimi, meccanicista, la natura ha dunque combinato in lui tutte le molle del sentimento affinché egli non senta?»
Attuale, fin troppo attuale il pensiero di questo grande filosofo che non può certo limitarsi a poche righe e che dovrebbe essere ulteriormente approfondito in una scuola che è costretta ad andare di fretta per poter concludere un programma stabilito dall’alto e che domanda di soffermarsi soprattutto agli autori del nostro paese.
Di seguito una raccolta di alcuni pensieri che mostrano l’immensità di Voltaire.
Un ecclesiastico è uno che si sente chiamato a vivere senza lavorare a spese dei disgraziati che lavorano per vivere.
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Lasciateci leggere e danzare – due divertimenti che non potranno mai fare del male al mondo.
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Un uomo è libero nel momento in cui desidera esserlo.
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Un vecchio amore è come un granello di sabbia, in un occhio, che ci tormenta sempre.
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Ama coloro che cercano la verità ma guardati da coloro che la trovano.
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Ogni uomo e’ colpevole di tutto il bene che non ha fatto.
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È solo per un eccesso di vanità ridicola che gli uomini si attribuiscono un’anima di specie diversa da quella degli animali.
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Io conosco la gente, cambia in un giorno. Elargisce con la stessa generosità il suo odio e il suo amore.
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Gli uomini sono eguali; non la nascita, ma la virtù fa la differenza.
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Oh, migliore dei mondi possibili, dove sei adesso?
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La teologia è per la religione ciò che il veleno è per il cibo.
***
La storia è lo studio dei crimini umani.
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Il piacere di governare deve senza dubbio essere squisito, se dobbiamo giudicare dal grande numero di persone che sono ansiose di praticarlo.
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Che cos’è la politica se non l’arte di mentire a proposito?
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Chi sei? Da dove vieni? Che fai? Che diverrai? Sono domande che si devono porre a tutte le creature dell’universo, a cui però nessuna risponde.
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Coloro che riescono a farti credere delle assurdità, possono farti commettere delle atrocità.
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È meglio correre il rischio di salvare un colpevole piuttosto che condannare un innocente.
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È una delle superstizioni dello spirito umano aver immaginato che la verginità potesse essere una virtù.
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Di tutte le religioni, quella Cristiana è senza dubbio quella che dovrebbe ispirare più tolleranza, sebbene fino ad ora i cristiani siano stati i più intolleranti tra gli uomini.
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I calunniatori sono come il fuoco che annerisce il legno verde non potendolo bruciare.
***
Il fanatismo sta alla superstizione come il delirio alla febbre.
***
Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.
***
L’amore non è cieco. Cieco è l’amor proprio.
***
L’orgoglio dei piccoli consiste nel parlare sempre di sé, quello dei grandi nel non parlarne mai.
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La bellezza è gradita agli occhi, ma la dolcezza affascina l’animo.
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La più coraggiosa decisione che prendi ogni giorno è di essere di buon umore.
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La superstizione mette il mondo intero in fiamme, la filosofia le spegne.
***
Non sappiamo nulla di noi stessi e ci muoviamo, viviamo, sentiamo e pensiamo senza sapere come.
***
Qual è l’età in cui conosciamo il giusto e l’ingiusto? L’età in cui sappiamo che due più due fa quattro.
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Se abbiamo bisogno di leggende, che queste leggende abbiano almeno l’emblema della verità! Mi piacciono le favole dei filosofi, rido di quelle dei bambini, odio quelle degli impostori.
***
Dichiariamolo apertamente noi che non siamo preti e che non li temiamo: la culla della Chiesa nascente è circondata solo da imposture. È una sequela ininterrotta di libri assurdi sotto nomi supposti.
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Solo gli idioti sono sempre sicuri di quello che dicono.
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Tutti i vizi di tutte le età e di tutti i paesi del globo riuniti assieme, non eguaglieranno mai i peccati che provoca una sola campagna di guerra.
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Uccidere è proibito, quindi tutti gli assassini vengono puniti, a meno che non si uccida su larga scala e al suono delle trombe.
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Viviamo in società. Per noi dunque niente è davvero buono se non è buono per la società.
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Io sono quello che definisco uno spirito errante per le passioni d’altri; ovvero un imbecille.
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Un proverbio saggio non prova niente.
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La gente cerca la felicità come un ubriaco cerca casa sua: non riesce a trovarla ma sa che esiste.
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I malvagi non possono avere che dei complici; i dissoluti, dei compagni di bagordi; le persone interessate, dei soci; i politici si circondano di partigiani faziosi; la massa degli sfaccendati ha delle conoscenze; i principi hanno attorno a loro dei cortigiani: solo gli uomini virtuosi hanno amici.
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