Birutè Galdikas, il terzo “angelo” di Leakey

«Quando sono seduta con la schiena poggiata ad un umido tronco d’albero coperto di muschio, con le orecchie pronte a cogliere il rumore di un ramo lontano che tradisce un movimento di un orango sulle cime degli alberi, mi soffermo a pensare ad uno dei modi per cercare Dio. La foresta pluviale tropicale è l’esperienza più complessa che un essere umano possa sperimentare su questo pianeta. Una passeggiata nella foresta pluviale è una passeggiata nella mente di Dio.»

Birutè Galdikas insieme a Leakey

Birutè Galdikas insieme a Louis Leakey.

Nel 1971 il noto paleontologo Louis Leakey, lo stesso scienziato promotore delle ricerche di Dian Fossey e Jane Goodall, decide di inviare Birutè Galdikas, una studentessa canadese di appena venticinque anni, a studiare il comportamento di un primate ad elevato rischio di estinzione: l’orango, chiamato dai malesi “orangutan“, “l’uomo della foresta.
Animale schivo e solitario, l’orango è il primate che possiede il patrimonio genetico più simile al nostro, secondo solo allo scimpanzé. A causa della sua natura introversa, prima degli studi di Birutè Galdikas, poche erano le conoscenze su un altro dei nostri parenti più stretti.
birutè 12Birutè Galdikas, nata il 10 maggio del 1946 a Wiesbaden, in Germania, acquisirà poi la cittadinanza canadese.
Sin da bambina mostra un notevole interesse per le scimmie e il fascino esercitato dalla lettura delle avventure di “Curious George“, scritto da Margret e H.A.Rey, fa sorgere nella ragazzina il sogno di diventare un’esploratrice.
Cresce a Toronto dove si laurea in psicologia e zoologia. Grazie al master in antropologia conseguito a Los Angeles, entra in contatto con Leakey e gli esprime il desiderio di studiare gli oranghi nel loro habitat naturale. Leakey appare inizialmente disinteressato alla proposta di Birutè e si mostra esitante nell’incoraggiarla, ma colpito dall’ostinazione della ragazza, acconsente dopo tre anni a promuovere il finanziamento di tali studi.
La giovane donna si reca insieme al marito nella riserva di Tanjung Puting, situata nel Borneo indonesiano e raggiungibile solamente con la canoa.
I due si stabiliscono in una modesta capanna della riserva priva di telefono, elettricità, strade, televisione e un regolare servizio postale. Sono anche costretti a fronteggiare una fauna poco ospitale costituita da insetti carnivori, sanguisughe e una razza di animali ben più pericolosa dei sopraccitati.
I bracconieri, tristemente famosi anche in Indonesia per le uccisioni delle femmine di orango e sottrarne i cuccioli da vendere al mercato come animali da compagnia per cinquanta dollari, costituiscono infatti il maggior ostacolo agli studi di Birutè.

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La donna decide ben presto di trasformare il campo, che presto denominerà “Leakey“, in onore del suo maestro, in un centro di recupero per gli oranghi vissuti in cattività e favorirne successivamente il reinserimento nella foresta.
L’osservazione degli oranghi non è facile, a causa del loro carattere sfuggente, ma superate le difficoltà iniziali, la donna riesce a studiarne il comportamento e i risultati condotti dalle sue ricerche sono da considerarsi di notevole importanza.
Quattro anni dopo il suo arrivo, Birutè scrive un articolo per la rivista “National Geographic“, che le dedica anche la copertina, portando così all’attenzione del mondo le sue ricerche sugli oranghi.

birutè 15Cresce uno dei propri figli insieme alla piccola orfana di orango Princess, non riesce a fare a meno di notare le somiglianze tra il cucciolo umano e il piccolo primate che vanno oltre l’andatura bipede, l’uso degli attrezzi e il linguaggio. Gli oranghi riescono infatti ad apprendere e comunicare facilmente con il linguaggio dei segni e uno dei molti episodi curiosi che accadono in tale ricerca merita di essere raccontato per comprendere le caratteristiche di questo splendido primate che, a differenza nostra, non riesce a nascondere le proprie emozioni; basta infatti guardarli negli occhi per coglierne lo stato d’animo.
Un assistente di Birutè comunica con una femmina di orango, Rinnie, attraverso il linguaggio dei segni riuscendo ad intendersi meravigliosamente. Ma Rinnie s’innamora del dottor Gary, questo il nome dell’assistente, e cerca di attirarlo a sé per coinvolgerlo in tale impossibile relazione amorosa. L’uomo riesce con fatica a spiegarle che non è possibile mettere in atto un simile rapporto e Rennie, quando comprende l’impossibilità di poter vivere una storia d’amore con l’uomo, viene assalita da una profonda amarezza che la induce a lasciare il campo e a far ritorno alla foresta.
Dopo un po’ di tempo viene sorpresa a guardare con enorme tristezza la foto di Gary.
Un altro singolare episodio che merita di essere menzionato per ampliare la conoscenza di questi primati riguarda l’adozione da parte di Birutè di un piccolo orfano di orango, Sugito, che la donna riesce a sottrarre ai bracconieri. A causa delle carenze affettive del piccolo, privato dell’affetto della madre da quegli esseri spietati, il cucciolo si lega a Birutè in modo ossessivo esigendone continuamente la presenza e pretendendo di starle sempre aggrappato.birutè galdikas oranghi Dorme insieme alla donna ed è gelosissimo del marito di lei. Il famoso “Complesso di Edipo“, quel rifiuto verso il genitore dello stesso sesso, scoperto da Sigmund Freud, e che investe i bambini all’età di tre anni, non è dunque una prerogativa tipicamente umana.
La gelosia di Sugito si manifesta attraverso insistenti dispetti che irritano moltissimo l’uomo.
Durante un periodo in cui Birutè è costretta ad allontanarsi dal campo, il marito commette un gesto che la moglie non gli perdonerà mai. Impossibile darle torto. L’uomo prende Sugito con sé e lo abbandona nella giungla, in un luogo molto lontano dall’accampamento. Il divorzio dal marito non tarda ad arrivare, probabilmente anche per questa ragione, e ancora oggi è vivo in Birutè il dolore della separazione da quello che considera un figlio e che ha condiviso con lei e la sua famiglia ben otto anni di vita. Birutè non perderà mai la speranza di ritrovarlo, ma purtroppo il sogno di riabbracciare Sugito non si è ancora avverato.
Gli studi di Birutè continuano, anche se segnati da innumerevoli dolori ed ostacoli, ma il problema principale che riguarda questi splendidi animali color fulvo è molto grave e di non facile risoluzione.
Come la stessa studiosa dichiara in uno dei suoi innumerevoli appelli lanciati nelle interviste, gli oranghi del Borneo rischiano l’estinzione nell’arco di circa cinquant’anni a causa della sistematica distruzione del loro habitat.  Lo sfruttamento minerario della zona e l’insediamento delle multinazionali della cellulosa e dell’olio di palma, stanno causando incalcolabili danni che compromettono la sopravvivenza di tali primati.
Il panorama è attualmente molto preoccupante e riesce quasi impossibile calcolare il numero di oranghi uccisi a colpi di machete per dare spazio alle piantagioni che stanno prolificando in modo esponenziale. Un numero molto elevato di piccoli orfani si aggira tra le macerie di quella che una volta era la loro casa e che darà vita alla nascita di altre piantagioni. I volontari non sempre riescono a salvare quei piccoli orfani e e molti di loro muoiono di stenti o vengono catturati dai bracconieri.
Negli ultimi vent’anni la popolazione degli oranghi si è dimezzata, denuncia la Galdikas, sottolineando che, nonostante l’impegno del governo indonesiano per combattere tale fenomeno, il massacro conseguente alla sottrazione del loro territorio prosegue senza sosta.
La tristezza di questa meravigliosa donna che oggi ha compiuto settantasette anni, si è risposata con un indonesiano e vive ancora nella riserva insieme ai suoi figli e circa duecento oranghi, traspare continuamente nelle sue interviste. Così come la sua forza che la spinge a non desistere e continuare la sua missione fino al resto dei suoi giorni. Il suo infinito amore per gli oranghi ha permesso a tutti noi di conoscere questi miti e affascinanti primati che Birutè non smette mai di descrivere senza riuscire a celare le sue intense emozioni.

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Come molti animali solitari riescono ad instaurare rapporti a due molto profondi proprio perché sono in grado di vivere serenamente in solitudine sin dal momento in cui diventano adulti e cominciano a scoprire il mondo. In genere si separano dalla madre dopo gli otto anni di età.
Oltre il linguaggio gestuale, in grado di assimilarlo e riprodurlo in poco tempo, hanno anche un altro modo di comunicare che lascia comprendere di aver stabilito un legame. Usano lo sguardo e quel contatto visivo non si limita a pochi istanti; penetrano in profondità nei nostri occhi o in quelli dei loro simili a lungo.
Animali contemplativi, secondo la studiosa si domandano anche il senso della loro vita perché ogni sera, al tramonto, amano sedersi con lo sguardo orientato verso occidente ad ammirare quel meraviglioso spettacolo della natura di cui sembra vogliano catturarne l’essenza.

Tramonto sul Borneo

Tramonto sul Borneo

Quando un giornalista le domanda cosa ha appreso da questi animali, Birutè risponde che gli insegnamenti da loro ricevuti sono molti e uno di questi l’ha aiutata a capir meglio la nostra specie. Agli inizi dei suoi studi, quando la foresta era dominata ancora dagli oranghi, li osservava per intere giornate e in alcuni momenti provava una spiacevole sensazione di solitudine. Dopo lunghe ricerche ebbe modo di notare che tale sentimento è sconosciuto a questi indipendenti primati. Quella differenza tra noi e loro la fece meditare sulla necessità che noi abbiamo di intrecciare rapporti con i nostri simili per essere veramente felici. E la cultura della società odierna fondata sul profitto e la fretta tende ad allontanarci gli uni dagli altri negando alla nostra specie la possibilità di condurre un’esistenza serena accanto alle persone amate.
Un insegnamento che dovremmo sempre tenere bene in mente. L’aridità dell’anima proviene anche dalla mancanza di contatti umani.
L’opera di Birutè Galdikas è racchiusa nel documentario “Born to be Wild“.

La donna ha anche fondato l’Orangutan Foundation che arruola volontari da tutte le parti del mondo e raccoglie donazioni per poter scongiurare il pericolo di estinzione di questi meravigliosi primati.
Qui si possono effettuare le donazioni.
Credo non bisognerebbe esimersi dal condividere l’appello per poter salvare gli oranghi e raccontare la storia del “Terzo angelo di Leakey” che ha contribuito alla conoscenza di un’altra specie molto simile alla nostra e che rischia di scomparire.
Si può anche firmare la petizione lanciata l’anno scorso contro la deforestazione della maestosa foresta indonesiana qui.


La speranza che un giorno non lontano l’uomo la smetta di considerarsi padrone indiscusso della terra e comprenderà che ne è solamente ospite, cesseranno sicuramente questi continui appelli per proteggere i nostri fratelli che intraprendono con noi il misterioso cammino su questo pianeta.
Non smettiamo mai di firmare appelli e contribuire nel nostro piccolo a rendere il mondo un posto migliore. Sensibilizzare la gente e firmare una petizione mi sembra il minimo dovuto a tutti coloro che lottano per donare un ambiente migliore a chi verrà dopo di noi. È strano che ancora oggi l’uomo, che gode di un’evoluzione così strabiliante, conservi ancora degli istinti antidiluviani come la sopraffazione e l’indifferenza verso tutto ciò che ci consente di respirare. Stiamo annientando ciò che ci permette di rimanere in vita e, se ancora non ci siamo riusciti, sembra che abbiamo imboccato la strada giusta per giungere a questo.
La storia dei “Tre angeli di Leakey” dovrebbe essere studiata nelle scuole per realizzare insieme ai ragazzi, molto sensibili riguardo certe tematiche, dei progetti volti a salvaguardare l’ambiente. Se il prezzo del progresso dev’essere una lenta e irrefrenabile distruzione di piante e animali, l’uomo farebbe bene a rivedere i suoi calcoli.

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“I tre angeli di Leakey”. Da sinistra Birutè Galdikas, Jane Goodall e Dian Fossey.

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