«Io l’ho letto, e ho pianto come un bambino, ho fatto uno sforzo impossibile per smettere.»
Robert Louis Stevenson, con queste parole, introduce una delle più grandi opere di Charles Dickens, “Un Canto di Natale”, di cui a tutti noi sono ben note le trasposizioni cinematografiche effettuate.
Pubblicato il 19 dicembre del 1843, è un romanzo breve che narra la storia di Ebenezer Scrooge, spietato ed egoista uomo d’affari disinteressato a qualsiasi attività priva di fini utilitaristici. La sua quotidianità scorre arida e indifferente al mondo che lo circonda.
«Caldo e freddo non facevano effetto sulla persona di Scrooge. L’estate non gli dava calore, il rigido inverno non lo assiderava. Non c’era vento più aspro di lui, non c’era neve che cadesse più fitta, non c’era pioggia più inesorabile. Il cattivo tempo non sapeva da che parte pigliarlo. L’acquazzone, la neve, la grandine, il nevischio, per un sol verso si potevano vantare di essere da più di lui: più di una volta si spargevano con larghezza: Scrooge no, mai.»
Persino la vigilia di Natale lo indispone perché sottrae tempo al lavoro, declina in modo sgarbato la richiesta di donare qualcosa ai poveri e trattiene fino a tardi il suo impiegato, Bob Cratchit, sfruttato e pagato in modo misero. È scortese con il nipote che lo invita per il pranzo di Natale e s’indispone quando il ragazzo insiste nel fargli comprendere l’importanza di tale giorno.
«O che altro è il Natale se non un giorno di scadenze quando non s’hanno danari; un giorno in cui ci si trova più vecchi di un anno e nemmeno di un’ora più ricchi; un giorno di chiusura di bilancio che ci dà, dopo dodici mesi, la bella soddisfazione di non trovare una sola partita all’attivo? Se potessi fare a modo mio, ogni idiota che se ne va attorno con cotesto “allegro Natale” in bocca, avrebbe a esser bollito nella propria pentola e sotterrato con uno stecco di agrifoglio nel cuore. Sì, proprio!»
Giunto il momento della chiusura, dopo una cena frugale nella solita osteria da lui frequentata, si reca a casa sua e s’imbatte nello spirito del suo defunto socio, Giacobbe Marley.
Il suo socio lo invita a rivedere la propria vita e porvi rimedio prima che sia troppo tardi e sia costretto, com’è accaduto a lui, a vagare per l’eternità con addosso il fardello delle catene che si era procurato per aver trascorso la vita terrena senza curarsi degli altri e con il solo scopo di accumulare denaro. Scosso da tale inaspettata visione, Scrooge si prepara tremante alla visita annunciata da Marley di altri tre spettri che rappresentano il Passato, il Presente e il Futuro.
Lo Spirito del Passato gli si presenta sotto le strane vesti di «un che tra il bambino ed il vecchio. Per un’arcana lontananza pareva ridotto alle proporzioni infantili. Aveva canuti i capelli, fluenti sul collo e giù per le spalle; ma non una ruga sul viso anzi il rigoglio più fresco. Lunghe le braccia e muscolose; e così pure le mani, come se dotate di una forza non comune. Di forme delicatissime le gambe e i piedi, nudi a pari delle braccia. Portava una tunica candidissima stretta alla vita da una cintura lucente. In mano teneva un ramoscello di verde agrifoglio; e, per uno strano contrasto a cotesto emblema invernale, avea la tunica tutta adorna di fiori d’estate.»
Lo Spirito del Passato lo rimanda indietro ai tristi e solitari momenti della sua infanzia, mandato in collegio dal padre. Ma anche ai gesti di solidarietà ricevuti.
Rivede poi l’affettuosa sorella Fanny, madre del nipote che qualche ora prima lo aveva invitato al pranzo di Natale.
Gli appaiono anche il suo primo datore di lavoro, Fezziwig, che aveva sempre mostrato un grande affetto per Scrooge e il suo grande amore, Bella, che, con dolcezza, gli fa notare quanto fosse cambiato dal primo periodo in cui si erano conosciuti e di come l’amore per il denaro gli avesse indurito il cuore. «Scrooge rivide sé stesso. Era adulto, nel fiore della vita. Non aveva ancora i lineamenti aspri di un’età più matura; ma già portava la prima impronta delle cure e dell’avarizia. C’era nell’occhio una mobilità irrequieta, avida, ardente, che rivelava la passione radicata e dove sarebbe caduta l’ombra dell’albero nascente. Ei non era solo. Sedeva accanto a una bella fanciulla vestita a bruno. Alla luce dello Spirito, brillavano di lagrime gli occhi di lei.
– Poco importa – diceva ella con dolcezza – poco importa a voi. Un’altra ha preso il mio posto; e se vi vorrà tutto il bene che vi avrei voluto io e vi farà felice, non ho motivo di lamentarmi.
– Chi altra ha preso il vostro posto? – domandò egli.
– Un’altra che è di oro».
Scrooge, sempre più affranto, inizia a comprendere di come avesse bruciato la sua vita, rinunciato ai suoi affetti per la brama di denaro.
Il secondo spettro, lo Spirito del Presente, gli mostra l’allegria della gente che si prepara al Natale, il tepore delle famiglie che, anche se povere, vivono con intensità quel momento, la felicità della sua ex fidanzata, adesso sposata e affaccendata anche lei nella calda attesa di quel pranzo con la sua famiglia. L’impiegato che lavora con lui, pur essendo molto povero, a causa del basso salario che Scrooge gli versa, sembra non curarsi affatto della miseria in cui è costretto a vivere perché ha un dono sconosciuto al suo datore di lavoro: una famiglia unita.
«– Al signor Scrooge! – disse Bob; – propongo un brindisi al signor Scrooge, protettore di questa festa!
– Bel protettore davvero! esclamò la signora Cratchit facendosi rossa. – Lo vorrei qui, lo vorrei. Gli darei una certa festa a modo mio, che non gli andrebbe mica a genio.
– Mia cara, – disse Bob, – ci sono i ragazzi; è Natale!
– Un bel giorno di Natale – ribatté la moglie – se s’avesse a bere alla salute di un uomo così odioso, taccagno, duro, egoista come quello Scrooge. Tu lo sai, Bob! nessuno lo sa meglio di te, poveretto!
– Cara mia, – ripeté Bob con dolcezza, – è Natale.
– Beverò alla sua salute per amor tuo e perché è Natale, – disse la signora Cratchit, – per lui no. Cento di questi giorni, un allegro Natale e felice capo d’anno! Starà proprio allegro e felice, figurati! –
I ragazzi bevvero anch’essi alla salute di Scrooge. Era il primo dei loro atti che non fosse cordiale. Tiny Tim bevve in ultimo, ma non gliene importava niente. Scrooge era l’Orco della famiglia. Il solo nome di lui avea gettato sulla lieta brigata un’ombra, che non si dileguò per cinque buoni minuti. Dopo che fu svanita, tornò l’allegria dieci volte più schietta, pel solo sollievo di essersi sbrigati di Scrooge il Malo.»
Il nipote che lo aveva invitato a pranzo si gode quel momento insieme a parenti e amici e si prende gioco dello zio e della sua avarizia. Tutti si prendono gioco della miserevole vita di Scrooge e della sua smania di denaro. Nessuno mostra di amarlo e un’ombra di stizza e commiserazione invade i commensali quando viene nominato il suo nome.
Prima di lasciare posto al terzo spettro, lo Spirito del Presente, gli mostra dei bambini cenciosi e infreddoliti la cui vista commuove Scrooge, ma alla domanda posta allo spettro e che riguarda l’interesse dell’uomo verso i ragazzini, gli giunge la stessa risposta cinica che l’uomo aveva dato qualche ora prima ai signori che gli avevano chiesto aiuto per i poveri.
Infine gli appare lo Spirito del Futuro, talmente tenebroso nell’aspetto da indurre Scrooge ad inginocchiarsi, tremante di paura.
Lo spettro gli mostra quel che succede dopo la morte di una persona ricca che non ha mai condiviso nulla con gli altri. Il nome di Scrooge viene dimenticato e si parla di lui con noncuranza, perché non resta traccia nel cuore dei suoi simili di un individuo noto solamente per la sua cupidigia e l’indifferenza verso il prossimo.
«Lo Spirito si arrestò presso un gruppo di uomini d’affari. Osservando la mano che gli additava, Scrooge si avanzò per udire i loro discorsi.
– No – diceva un omaccione grasso con tanto di pappagorgia – non ne so gran cosa. Questo so che è morto.
– Quand’è ch’è morto? – domandò un altro.
– Iersera, credo.
– O di che? – chiese un terzo, pescando largamente in un’ampia tabacchiera. – Mi pareva a me che non dovesse morir mai.
– Dio lo sa, – sbadigliò il primo.
– Che ne ha fatto dei suoi danari? – domandò un signore dal viso rubicondo con una escrescenza pendula in punta del naso, la quale tremolava come i bargigli d’un tacchino.
– Non ne ho inteso dir niente, – rispose l’uomo dalla pappagorgia in un secondo sbadiglio. – L’avrà lasciati alla sua Ditta. A me, no di certo. Questo è quanto so. –
Una risata generale accolse questa facezia.»
Nessuno andrà al suo funerale, quel che resta dei suoi averi viene diviso tra i servi e i suoi possedimenti venduti.
E ormai Scrooge, consapevole di aver sprecato la sua vita, prova un forte pentimento per gli errori commessi in passato e cerca di dare un senso più profondo a quel che gli resta da vivere. Non è mai troppo tardi per ravvedersi e il giorno di Natale diventerà un giorno importante anche per un uomo come lui, interessato solamente a quel viscido denaro che gli ha precluso ogni possibilità di essere veramente felice.
Non esita a ridisegnare la propria vita, ad elargire doni, sorrisi e auguri anche a persone sconosciute e ad abbracciare il mondo intero.
Il giorno di Natale è arrivato e Scrooge prova un’emozione immensa per la prima volta in vita sua: « Eccole qui; eccomi qui: le ombre delle cose avvenire possono essere scongiurate. E così saranno. Lo so, eh altro se lo so! ». «Andò in chiesa, passeggiò per le vie, guardò alla gente che andava su e giù, carezzò i bambini sul capo, interrogò i mendicanti, spiò nelle cucine, alzò gli occhi alle finestre, e trovò che ogni cosa gli potea far piacere. Non avea sognato mai che una passeggiata o altra cosa qualunque gli potesse dare tanta felicità. Verso sera, si avviò alla casa del nipote».
«Risero alcuni di quel mutamento, ma egli li lasciava ridere e non vi badava; perché sapeva bene che molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente. Poiché ciechi aveano da essere, meglio valeva che stringessero gli occhi in una smorfia di ilarità, anzi che essere attaccati da qualche male meno attraente. Anch’egli, in fondo al cuore, rideva: e gli bastava questo, e non chiedeva altro».
Charles Dickens scrisse “Un Canto di Natale” con l’intento di trasmettere, attraverso una storia toccante, la consapevolezza della fugacità della vita ed in particolar modo di quel tipo di esistenza condotta in fretta, senza soffermarsi alla bellezza di assaporare quelle piccole cose e quei momenti di serenità indispensabili alla nostra vita.
Indirizzato ad adulti e bambini, non si sofferma solamente a diffondere quel messaggio di amore e di rispetto per gli altri. E, sebbene sia ambientato durante la vigilia di Natale, Charles Dickens se ne guarda bene dal limitare a tale festività i momenti di solidarietà e tolleranza solo in quei giorni. L’ipocrisia non gli appartiene e in un mondo che ancora oggi, a causa delle enormi e insormontabili contraddizioni sociali, la lettura dei suoi romanzi appare ancora di estrema attualità. La domanda che sorge spontanea è quella di comprendere quanto di Scrooge vi è dentro ognuno di noi che, magari, dopo aver letto ancora una volta tale storia, ci sentiamo spesso assolti e pensiamo di essere in pace con la nostra coscienza perché non possediamo il denaro del protagonista di tale romanzo.
No, è una conclusione molto comoda.
Non sono di certo solo i ricchi ad avere il dovere di donare a chi sta peggio. A volte basta veramente poco per costruire un mondo migliore, se solo lo volessimo tutti. E chi ha colto nel racconto di Dickens il solito buonismo effimero del periodo natalizio non ha compreso lo spirito dello scritto e la promessa di Sgrooge che di certo non si limita a quella data, ma si estende a quel che gli rimane da vivere. Scrooge avverte la fragilità della vita e, attraverso la sua storia, il grande scrittore inglese non solo invita a mitigare il nostro egoismo, ma anche a farci capire che si è sempre in tempo per cambiare vita e ricominciare a guardare negli occhi le persone accanto a noi, empatizzare con le loro sofferenze e lasciare un’impronta indelebile nel mondo. Nessuno di noi è a conoscenza del giorno in cui lascerà questa terra e rimandare certi momenti fondamentali al nostro benessere spirituale è un atteggiamento alquante comune in tutti noi che spesso non riusciamo a comprendere quanto sia breve e misteriosa la vita.
Da un’attenta lettura di “Un Canto di Natale” si coglie la tagliente satira verso l’ipocrisia della società vittoriana, da cui di certo la nostra non è tuttora esente. E lo scrittore, oltre a fare un largo uso di metafore, mostra la sua infinita compassione nei confronti delle vittime della vita, i relitti della società, in particolar modo bambini, che di un mondo creato dagli adulti ne pagano le conseguenze.
La grandezza di questo breve romanzo, con tratti gotici, è racchiusa nella speranza di essere sempre in tempo per cambiare e lo stesso Dickens, invia a tutti noi un caldo messaggio di speranza:
«Pensate alle gioie presenti – ognuno ne ha molte – non alle disgrazie passate – tutti ne hanno qualcuna.
Riempite di nuovo il bicchiere con volto radioso e cuore pago.
Mi ci gioco la testa che il vostro sarà un Natale allegro e un anno nuovo felice».
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[…] Tra i suoi romanzi più noti e che denotano il suo forte impegno sociale, bisogna ricordare “David Copperfield“, “Oliver Twist“, “Tempi Difficili” e “Canto di Natale“. […]