Paul Verlaine, il Principe dei poeti maledetti

«La morale migliore in questo mondo dove i più pazzi sono i più savi di tutti, è ancora di dimenticare l’ora».

Frédéric Bazille – “Portrait de Paul Verlaine comme une Troubadour”, 1868.

Dilaniato tra sensualità e misticismo, al di là di qualsiasi parametrazione morale per poi essere perseguitato dal rimorso, il celebre e controverso poeta francese Paul Verlaine, caposcuola del simbolismo intimista, conduce un’esistenza travagliata e talvolta violenta, spezzata prematuramente dall’abuso di alcool. Originale cantore dell’amore sognante intriso di ingenuità infantile, si sforza di esser diverso anche nella sua diversità ed è talvolta disposto a sacrificare il suo naturale orientamento sessuale per evitare di scontrarsi con una società tutt’altro che pronta ad accettare qualunque cosa possa capovolgerne le certezze.

Paul Verlaine in un ritratto di Gustave Courbet.

La sua poesia crepuscolare, a volte nostalgica, altre volte vivace e caratterizzata da un linguaggio parlato e ritmi inaspettati e innovativi, ha recato un decisivo contribuito al verso libero. Una poesia evocativa ricca di suggestioni musicali che traduce le sensazioni in puro suono e indaga la realtà attraverso l’intuito, dissolvendola così in una lirica dal respiro smanioso e palpitante. La poesia diviene il cammino privilegiato per la conoscenza, perché riesce a cogliere e svelare i legami che si insinuano tra l’apparenza delle cose e i loro significati più remoti. La libertà del linguaggio e del verso non ha alcun proposito ribelle; manifesta solamente l’intenzione del poeta di spingersi oltre l’analisi delle mere impressioni per poterle così tradurre pienamente ed esprimerle.
Esiste una musica nel nostro mondo interiore e Verlaine è riuscita a scoprirla, traducendola poi in versi. La musica diventa la lingua privilegiata attraverso cui il mondo interiore del poeta può esprimere ciò che ha afferrato nella propria profondità, impossibile da rivelare attraverso il linguaggio letterario tradizionale.
Sorge così una poesia candida e tenera che fonda la metrica poetica nel numero dispari di sillabe e si contrappone alla tradizione classica della divisione in due parti di eguale lunghezza, donando così al mondo una nuova musicalità, sconosciuta come la strada che il poeta intraprende per oltrepassare le sensazioni. Nulla di più efficace dei versi dispari che, con il loro ritmo irregolare e ondeggiante, ci allontanano dagli artifici retorici e dalle convenzioni letterarie. Viene anche capovolta la concezione della musica che nel Romanticismo aveva assunto il ruolo di strumento di unione con un infinito esterno. Con Verlaine la musica diviene invece il mezzo ideale per giungere ad un infinito interiore.

Nella celebre poesia “Arte poetica“, scritta da Verlaine mentre è rinchiuso in un carcere belga, si può riscontrare una sintesi del suo modo di intendere le regole poetiche.

La musica prima di ogni altra cosa,
E perciò preferisci il verso impari
Più vago e più solubile nell’aria,
Senza nulla in esso che pesi o posi…

È anche necessario che tu non scelga
le tue parole senza qualche errore:
nulla è più caro della canzone grigia
in cui l’Incerto al Preciso si unisce.

Sono dei begli occhi dietro i veli,
è la forte luce tremolante del mezzogiorno,
è, in mezzo al cielo tiepido d’autunno,
l’azzurro brulichio di chiare stelle!

Perché noi vogliamo la Sfumatura ancora,
non il Colore ma soltanto sfumatura!
Oh! la sfumatura solamente accoppia
il sogno al sogno e il flauto al corno.

Fuggi lontano dall’Arguzia assassina,
dallo Spirito crudele e dal Riso impuro,
che fanno piangere gli occhi dell’Azzurro,
e tutto quest’aglio di bassa cucina.

Prendi l’eloquenza e torcile il collo!
E farai bene, in vena d’energia,
a moderare un poco la Rima.
Fin dove andrà, se non la sorvegli?

Oh, chi dirà i torti della Rima?
Quale fanciullo sordo o negro folle
ci ha forgiato questo gioiello da un soldo
che suona vuoto e falso sotto la lima?

Musica e sempre musica ancora!
Sia il tuo verso la cosa che dilegua
che si sente che fugge da un’anima che va
verso altri cieli ad altri amori.

Che il tuo verso sia la buona avventura
Sparsa al vento increspato del mattino
Che porta odori di menta e di timo…
E tutto il resto è letteratura.

Paul Verlaine e Arthur Rimbaud

Un’opera poetica deve essere dunque un po’ vaga e sfumata, secondo Verlaine. La parola deve suggerire e contenere una particolare potenza allusiva. Non deve limitarsi a descrivere, ma deve dar vita a suggestioni, proprio perché l’universo delle sensazioni è impalpabile. Affinché susciti interesse la poesia dev’essere allusiva e infondere una sensazione di incertezza, di dubbio. Solo così può nascere una vera e propria comunicazione tra il lettore e il poeta. La precisione e la chiarezza annientano quel desiderio di andare oltre le righe, insito in chiunque si appresti a leggere una poesia e voglia scorgere qualcosa di sé e oltre il visibile. La sua è dunque una scelta sapiente derivante dal rifiuto di una poesia fredda e impersonale, frutto del culto prestabilito della forma, evidenziando così la sua imperiosa necessità di assegnare la massima importanza alle emozioni. Musicale e malinconica, la poesia di Verlaine mostra l’animo di un uomo dall’esistenza turbolenta e segnata per sempre dalla tormentata relazione con il giovanissimo Arthur Rimbaud.

Paul Verlaine e Arthur Rimbaud, particolare del dipinto “L’angolo del tavolo” di Henri Fantin-Latour (1872).

La particolare attenzione alla musica e alle immagini, il ritmo di una poesia sfuggente e alleggerita il più possibile (“più vaporosa dell’aria“), destinata ad esser sussurrata, coinvolgente soprattutto a livello sensoriale, contribuirà a rivoluzionare l’arte poetica. Verlaine non spiega, né ritiene di sapere. Verlaine si limita a suggerire. E in questo flusso continuo di emozioni volto a far percepire l’essenza musicale della poesia risiede la sua grandezza.
Nato il 30 marzo del 1844 a Metz da una famiglia agiata, Paul Verlaine vive un’infanzia spensierata. Pochi anni dopo la sua nascita i genitori del piccolo Paul si trasferiscono a Parigi, dove il futuro poeta frequenta la scuola fino al liceo con risultati per lo più mediocri. Il suo interesse è rivolto principalmente alla letteratura ed è un avido lettore di autori classici e contemporanei.

Dopo il diploma s’iscrive alla facoltà di giurisprudenza, ma abbandona presto l’ambiente accademico, iniziando a lavorare presso il municipio di Parigi. L’insoddisfazione verso quell’impiego cresce ogni giorno di più, lasciando prendere il sopravvento alla sua passione per la poesia, sorta dopo la lettura di Baudelaire. Frequenta i salotti letterari. i parnassiani, le case chiuse e prende l’abitudine di bere smoderatamente, affogando la sua inquietudine di vivere nell’assenzio. Parnassiano convinto, le sue composizioni, sin dall’inizio, affrontano tuttavia tematiche molto profonde, costruite attorno al tormento interiore del poeta e le sue amare riflessioni sulla vita e la sua fuggevolezza, mostrando così un’originalità sconosciuta al movimento estetico frequentato.

Nel 1866 dà alle stampe i “Poemi saturnini“, in cui sono già ben evidenti i temi fondamentali della sua poesia, che risente inizialmente dell’influenza di Baudelaire. Tre anni dopo si fidanza con colei che sarà la sua futura moglie, Mathilde Mauté, a cui dedica alcune poesie che saranno pubblicate nella raccolta “La buona canzone” l’anno seguente.

Mathilde Mauté, moglie di Paul Verlaine.

Nel 1870 si sposa con Mathilde e il primo periodo di vita matrimoniale sembra trascorrere serenamente. Dall’unione nascerà il primo e unico figlio della coppia.
La partecipazione del poeta alla Comune di Parigi gli causerà la perdita del posto di lavoro. Nello stesso tempo cominciano le liti, col passare dei giorni sempre più frequenti, con la ricca e viziata moglie, che non esita ad abbandonare spesso la famiglia per rifugiarsi presso la casa dei genitori.
In questo momento particolarmente difficile della vita del poeta, irrompe il diciassettenne Rimbaud, che scrive a Verlaine domandandogli di aiutarlo a fuggire dalla soffocante atmosfera provinciale in cui è costretto a vivere.
Paul lo invita a raggiungerlo a Parigi e tra i due nasce una burrascosa relazione sentimentale destinata a concludersi miserevolmente.
Verlaine s’innamora dell’inquieto giovane poeta, si allontana dall’ambiente letterario, abbandona la moglie e il figlio, seppur dilaniato dai rimorsi, e vive una travolgente esperienza di “sgretolamento di tutti i sensi” con Rimbaud.
I due partono insieme per il Belgio e per Londra, ma dopo continue liti e brevi separazioni, la loro relazione volgerà a termine nel 1873 a causa di un episodio che susciterà un enorme scandalo: durante l’ennesimo scontro con il suo giovane amante, Verlaine, in preda all’alcool, lo ferisce lievemente con alcune rivoltellate e sarà condannato a due anni di reclusione, nonostante Rimbaud dichiari di non avere alcuna intenzione di sporgere denuncia per l’increscioso evento.


Pentimento e dolore accompagneranno per sempre la vita di Verlaine, continuamente in conflitto con sé stesso e la sua vita oscillante tra sregolatezze e promesse mai mantenute.
Vive la prigione come stimolo alla sua redenzione, si accosta al cattolicesimo e scrive poesie che risentono di quel periodo di fervore religioso. Quando viene scarcerato, cerca invano di ricostruire la propria famiglia e di reinserirsi nella società. Dopo un periodo trascorso in Inghilterra, il poeta insegna a Rethel, s’impegna a condurre una vita scevra da vizi autodistruttivi e pubblica la raccolta “Saggezza” (1881), frutto della crisi spirituale vissuta in carcere e presto dimenticata.

Dalla storia d’amore che unì profondamente Verlaine e Rimbaud è stato tratto il film “Poeti dall’inferno” (1995), interpretato da David Thewlis e Leonardo di Caprio.

Nel 1883, muore di tifo Lucien Létinois, un ragazzo di cui Verlaine si era innamorato durante gli anni di insegnamento. Il poeta sprofonda nuovamente nel dolore. Un dolore lancinante che lo condurrà a cercar conforto nell’alcool. Con la raccolta di saggi su alcuni poeti del periodo, Verlaine renderà noto il suo pensiero sulla figura del poeta, incompreso e sovente deriso da una società per lo più mediocre e materialista. L’opera in questione, “I poeti maledetti” (1884), riuscirà a riportare il suo nome alla ribalta. Ma la serenità, quello stato d’animo effimero e conosciuto solo per pochi attimi dal poeta, non è che un appannato ricordo dell’infanzia. La sentenza di divorzio annienta ogni speranza di riconciliazione con Mathilde, che accusa il marito di “immoralità mostruosa“, e Verlaine torna ad abbrutirsi con l’alcool.

Completamente ubriaco, in uno dei suoi momenti di collera, cerca di strangolare la madre e trascorre un altro breve periodo in prigione. La sua vita si conclude in completa indigenza e i proventi delle sue ultime produzioni letterarie, tra cui bisogna ricordare “Amore” (1888), Canzoni per lei” ( 1891), “Liturgie intime” (1892); “Nei limbi“, (1894), “Epigrammi” (1894) e alcune opere in prosa di ispirazione autobiografica, vengono dilapidati dalle prostitute che frequenta. Eletto “Prince des poètes” nel 1894, gli viene elargita una piccola pensione. Nonostante la salute malferma, Verlaine continuerà a scrivere sino alla morte, alternando fugaci momenti di serenità a intensi e distruttivi tormenti.


Fisicamente indebolito dall’alcool, contrae la polmonite e si spegnerà a Parigi l’otto gennaio del 1896 a soli cinquantuno anni.
A questo grande poeta del bene e del male, che ha donato al mondo liriche di estrema profondità e musicalità intesa come strumento per realizzare l’invito al sogno, dedico una raccolta di quelle che considero le sue più significative poesie, in grado di suggerire il modo di accostarsi alle cose per coglierne l’essenza più intima. Poesie uniche e indimenticabili che ci trasportano al di là del muro, apparentemente invalicabile, dell’apparenza sensibile.

“L’angolo del tavolo” di Henri Fantin-Latour (1872).
Verlaine e Rimbaud sono seduti nell’angolo a sinistra.

Piange nel mio cuore

Piange nel mio cuore
Come piove sulla città.
Cos’è questo languore
Che penetra il mio cuore?

O dolce brusio della pioggia
A terra e sopra i tetti!
Per un cuore che si annoia
Oh il canto della pioggia!

Piange senza ragione
In questo cuore che si accora.
Cosa! Nessun tradimento?
Questo dolore è senza ragione.

È certo la peggiore pena
Di non sapere perché
Senza amore e senza odio
Il mio cuore ha tanta pena.

Le conchiglie

Ciascuna conchiglia incrostata
nella grotta dove ci amammo
ha una particolarità.

Una ha la porpora delle anime nostre,
presa al sangue dei cuori
quando io brucio e tu t’infiammi;
un’altra mostra i tuoi languori
e i tuoi pallori quando, stanca,
detesti i miei sguardi beffardi;

un’altra imita la grazia
del tuo orecchio ed un’altra ancora
la nuca rosa, corta e grassa.

Ma una sola, fra tutte, mi ha sconvolto.

Viviamo in tempi infami

Viviamo in tempi infami
dove il matrimonio delle anime
deve suggellare l’unione dei cuori;
in quest’ora di orribili tempeste
non è troppo aver coraggio in due
per vivere sotto tali vincitori.

Di fronte a quanto si osa
dovremo innalzarci,
sopra ogni cosa, coppia rapita
nell’estasi austera del giusto,
e proclamare con un gesto augusto
il nostro amore fiero, come una sfida.

Ma che bisogno c’è di dirtelo.
Tu la bontà, tu il sorriso,
non sei tu anche il consiglio,
il buon consiglio leale e fiero,
bambina ridente dal pensiero grave
a cui tutto il mio cuore dice: Grazie!

Vola, canzone, rapida

Vola, canzone, rapida
davanti a Lei e dille
che, nel mio cuor fedele,
gioioso ha fatto luce
un raggio, dissipando,
santo lume, le tenebre
dell’amore: paura,
diffidenza e incertezza.
Ed ecco il grande giorno!
Rimasta a lungo muta
e pavida – la senti?
– l’allegria ha cantato
come una viva allodola
nel cielo rischiarato.
Vola, canzone ingenua,
e sia la benvenuta
senza rimpianti
vani colei che infine torna.

Verlaine ritratto da Eugène Carrière.

Spleen

Le rose erano tutte rosse
e l’edera tutta nera.

Cara, ti muovi appena
e rinascono le mie angosce.

Il cielo era troppo azzurro
troppo tenero, e il mare

troppo verde, e l’aria
troppo dolce. Io sempre temo

– e me lo debbo aspettare!
Qualche vostra fuga atroce.

Dell’agrifoglio sono stanco
dalle foglie laccate,

del lustro bosso e dei campi
sterminati, e poi

di ogni cosa, ahimé!
Fuorché di voi.

Il clown

Saltimbanco, addio! Buona sera, Pagliaccio! Indietro, Babbeo:
Fate posto, buffoni antiquati, dalla burla impeccabile,
Fate largo! Solenne, altero e discreto,
ecco venire il migliore di tutti, l’agile clown.

Più snello d’Arlecchino e più impavido di Achille
è lui di certo, nella sua bianca armatura di raso:
etereo e chiaro come uno specchio senza argento.
I suoi occhi non vivono nella sua maschera d’argilla.

Brillano azzurri fra il belletto e gli unguenti
mentre, eleganti il busto e il capo si bilanciano
sull’arco paradossale delle gambe.

Poi sorride. Intorno il volgo stupido e sporco
la canaglia puzzolente e santa dei Giambi
applaude al sinistro istrione che l’odia.

Statua dedicata a Paul Verlaine. Giardini del Lussemburgo, Parigi.

Poiché l’alba si accende

Poiché l’alba si accende, ed ecco l’aurora,
poiché, dopo avermi a lungo fuggito, la speranza consente
a ritornare a me che la chiamo e l’imploro,
poiché questa felicità consente ad esser mia,

facciamola finita coi pensieri funesti,
basta con i cattivi sogni, ah! Soprattutto
basta con l’ironia e le labbra strette
e parole in cui uno spirito senz’anima trionfava.

E basta con quei pugni serrati e la collera
per i malvagi e gli sciocchi che s’incontrano;
basta con l’abominevole rancore! Basta
con l’oblìo ricercato in esecrate bevande!

Perché io voglio, ora che un Essere di luce
nella mia notte fonda ha portato il chiarore
di un amore immortale che è anche il primo
per la grazia, il sorriso e la bontà,

io voglio, da voi guidato, begli occhi dalle dolci fiamme,
da voi condotto, o mano nella quale tremerà la mia,
camminare diritto, sia per sentieri di muschio
sia che ciottoli e pietre ingombrino il cammino;

sì, voglio incedere dritto e calmo nella Vita
verso la meta a cui mi spingerà il destino,
senza violenza, né rimorsi, né invidia:
sarà questo il felice dovere in gaie lotte.

E poiché, per cullare le lentezze della via,
canterò arie ingenue, io mi dico
che lei certo mi ascolterà senza fastidio;
e non chiedo, davvero, altro Paradiso.

Noi saremo

Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi
che certo guarderanno male la nostra gioia,

talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?
Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

che la speranza addita, senza badare affatto
che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell’amore isolati come in un bosco nero,
i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

saranno due usignoli che cantan nella sera.
Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene
accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame,
e inoltre ricoperti di una dura corazza,
sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino
per noi ha stabilito, cammineremo insieme
la mano nella mano, con l’anima infantile
di quelli che si amano in modo puro, vero?

Fotografia di Dornac che ritrae Verlaine mentre beve assenzio al Café François 1er di Parigi.

Marina

L’oceano sonoro
Palpita sotto l’occhio
Della luna in lutto
E palpita ancora,
Mentre un lampo
Vivido e sinistro
Fende il cielo di bistro
D’un lungo zigzag luminoso,
E che ogni onda
In salti convulsi
Lungo tutta la scogliera
Va, si ritira, brilla e risuona.
E nel firmamento,
Dove erra l’uragano,
Ruggisce il tuono
Formidabilmente.

Orribile notte d’insonnia

– senza la presenza benedetta
del tuo caro corpo accanto a me,
senza la tua bocca tanto baciata
anche se troppo scaltra
e sempre in malafede,

senza la tua bocca tutta menzogne,
ma così franca quando ci penso
e che sa consolarmi
sotto l’aspetto e la specie
di una fragola – e, buona commedia! –
di un plausibilissimo parlare,

e soprattutto il pentacolo
dei tuoi sensi e il miracolo
multiplo e uno, fiore e frutto,
dei tuoi duri occhi di strega,
duri e dolci a modo tuo…
Buon Dio! che terribile notte!

Il poeta e la musa

Camera, conservi ancora i loro spettri ridicoli,
piena di luce sporca e di rumori di ragni?
Camera, conservi ancora le loro forme disegnate
da quelle macchie sui muri, da quelle virgole?

Si pensi pure ciò che si vuole, non è così:
brava gente, voi non capite niente.
Vi dico che non si trattava di ciò che si pensò.

Solo tu, camera che fuggi in desolanti coni,
solo tu sai! ma certamente quante notti di nozze
avranno sverginato, da allora, le loro notti!

Il pianoforte

Il pianoforte baciato da una fragile mano
vagamente riluce nella sera rosa e grigia,
mentre con un lievissimo frèmito d’ala
un’aria molto antica, flebile, incantevole,
si aggira discreta, quasi spaurita,
nel boudoir che conserva il Suo profumo.

Cos’è questa nenia improvvisa
che lenta dondola il mio povero essere?
Che vorresti da me, dolce Canto scherzoso?
Cos’hai voluto, ritornello fine ed incerto
che morirai ben presto alla finestra
semiaperta sul piccolo giardino?

L’Angoisse

Natura, nulla di te mi commuove, nè gli almi
campi, nè l’eco vermiglia delle pastorali
siciliane, non le pompe aurorali
nè la sollenità dolente dei tramonti.

Rido dell’Arte, rido dell’uomo, dei versi,
dei campi, dei templi greci, delle torri a spirale
che protendono al cielo vuoto le cattedrali
e con gli stessi occhi vedo i buoni e i perversi.

Non credo in Dio, rinnego ed abiuro
ogni pensiero e, quanto quella vecchia ironia
l’Amore, vorrei proprio che non me ne parlassero più.

Stanco di vivere e avendo paura di morire,
la mia anima, scafo dei barosi in balìa,
per orridi naufragi si prepara a partire.

Canzone d’autunno

I lunghi singulti
dei violini
d’autunno
mi lacerano il cuore
d’un languore
monotono.

Pieno d’affanno
e stanco, quando
l’ora batte
io mi rammento
remoti giorni
e piango.

E mi abbandono
al triste vento
che mi trasporta
di qua e di là
simile ad una
foglia morta.

Paul Verlaine, dipinto di Edmond Aman-Jean.


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