Chi non ha mai letto “Cime Tempestose“, l’unico romanzo scritto da Emily Brontë, le cui numerose trasposizioni cinematografiche richiamano ancora oggi un pubblico eterogeneo di tutte le età, alzi timidamente la mano e provveda subito a rimediare.
Scritto da una ragazza schiva e molto introversa che preferisce nascondersi dietro uno pseudonimo, diventa magicamente uno dei capolavori indiscussi della letteratura mondiale.
Infiniti appunti e rielaborazioni stesi con l’inchiostro su migliaia di fogli di carta dalla solitaria Emily, molto differente dalle due sorelle, anch’esse scrittrici, danno vita ad uno dei classici più letti e amati per quella potente forza immaginativa unita ad una singolare abilità di analizzare ogni singolo personaggio di quella desolata brughiera dello Yorkshire, donando al mondo uno dei romanzi emotivamente più impetuosi e spietati sull’inafferrabilità dell’animo umano.
L’allucinata e vendicativa figura maschile e la fragile ma caparbia figura femminile che attraversano furiosamente la cupa e livida landa di Haworth, dove la scrittrice ambienta “Cime Tempestose“, capovolgono le convenzioni del romanzo vittoriano e scuotono la critica inglese che non lesina l’uso di aggettivi feroci per definire uno dei libri che ha segnato la storia della letteratura.
La pubblicazione del romanzo, avvenuta nel 1847, viene accompagnata infatti da critiche spietate nella perbenista Inghilterra di quel periodo che taccia l’opera di perversione, brutalità, volgare depravazione e immoralità.
Non è facile accettare quel lato oscuro che si agita dentro ogni essere umano e che la nostra scrittrice ha penetrato con notevoli capacità analitiche pur conducendo una vita per lo più ritirata e spezzata a soli trentanni.
La sorella Charlotte riesce a fornirci un piccolo aiuto nella comprensione dell’animo misterioso di Emily: «Nella squallida solitudine trovava le più rare delizie; e certamente, non ultima, anzi, la più amata, la libertà. La libertà era l’aria che Emily respirava […] Ad attrarre la sua attenzione era in particolare la china scoscesa di Penistone Craggs, soprattutto quando, con le cime più alte, era illuminata dal sole al tramonto, mentre il resto del paesaggio giaceva nell’ombra. Le spiegai che erano blocchi di nuda pietra, e che il terriccio nelle fenditure non bastava nemmeno a nutrire un alberello striminzito […] Mia sorella non ebbe per natura un’indole socievole, le circostanze favorirono e alimentarono un’inclinazione alla solitudine: tranne che per andare in chiesa o per fare una passeggiata sulle colline, ella raramente varcava la soglia di casa…».
In una delle poesie di Emily si legge: «Era già duro che la natura umana | sapessi vuota, serva e menzognera; | ma più duro fidare nel mio spirito | e trovarvi la stessa corruzione».
Già queste parole riescono a racchiudere la profonda inquietudine di un animo solitario che, attraverso la scrittura, cerca di comprendere l’affascinante e nello stesso tempo enigmatica indole della natura umana. Per chi non l’avesse ancora fatto il consiglio si ripete. Bisogna necessariamente leggere questo romanzo gotico, magari accanto ad un camino, in una di quelle sere in cui si scatena un devastante temporale che manifesti in tutta la sua energia e violenza la forza incontrollabile della natura, rimandandoci così alla stessa potenza ingovernabile delle passioni umane.
Virginia Woolf scrive: « […] non c’è “io” in Cime tempestose. Non ci sono istitutrici. Non ci sono padroni. C’è l’amore, ma non è l’amore tra uomini e donne. Emily si ispirava a una concezione più generale. L’impulso che la spingeva a creare non erano le sue proprie sofferenze e offese. Rivolgeva lo sguardo a un mondo spaccato in due da un gigantesco disordine e sentiva in sé la facoltà di riunirlo in un libro. […] Il suo è il più raro dei doni. Sapeva liberare la vita dalla sua dipendenza dai fatti; con pochi tocchi indicare lo spirito di una faccia che non aveva più bisogno di un corpo; parlando della brughiera sapeva far parlare il vento e ruggire il tuono».
Nata il 30 luglio del 1818 a Thornton, dal secondo anno di età conduce la maggioranza della sua breve esistenza a Haworth, un piccolo paesino della contea inglese del West Yorkshire. Quintogenita di un reverendo irlandese e di una donna del Galles piuttosto sottomessa al marito, Emily conosce a malapena la propria madre, ormai malata a causa di debilitazioni dovute alle precedenti maternità e ad una vita di stenti condotta in quello sperduto paesino di cinquemila anime situato tra le brughiere e le alture settentrionali dei Monti Pennini.
Dopo la morte della madre, avvenuta quando la piccola Emily ha appena tre anni, il padre decide di mandare le quattro figlie maggiori in un collegio di accoglienza per bambini indigenti a Cowen Bridge, nel Westmorland.
Sfiancate da un clima rigido, dalla severità del collegio e dalla scarsità del cibo loro somministrato, due sorelle di Emily muoiono a causa della tubercolosi nel 1825. Charlotte ed Emily faranno poi ritorno a casa l’anno seguente, ma la loro salute risentirà irrimediabilmente di quegli anni trascorsi a Cowen Bridge. Non è di aiuto alla cagionevole salute di Emily il fanatismo religioso del padre che considera l’abbigliamento e il cibo beni superflui e si relaziona con i figli in modo poco consono alla loro età parlando solo di religione e filosofia. Nemmeno la zia di Emily, che dopo la morte della sorella si era trasferita nella casa Brontë, riesce ad instaurare un rapporto significativo con i nipoti.
È Tabhita, la governante che per circa trent’anni servirà la famiglia, a nutrire la fervida fantasia di Emily con i suoi racconti di antiche leggende contadine che trascineranno la ragazzina in quel mondo misterioso e affascinante popolato da spiriti ed epiche avventure. E da giovanissima comincia ad appassionarsi alla brughiera intorno ad Haworth e alla scrittura.
Brevi e faticosi gli spostamenti di Emily, nonostante le continue sollecitazioni della sorella Charlotte.
La nostra scrittrice non ama vivere in società, quel poco che conosce la induce a distaccarsene in fretta e preferisce tornare definitivamente nella sua dimora per dar nutrimento al suo desiderio di solitudine e perdersi nella sua amata brughiera.
E proprio tra le brume di quel paesaggio aspro nasce l’unica opera di Emily, destinata a godere di quell’immortalità appartenente solo ai grandi della letteratura.
Nel 1847, con lo pseudonimo di Ellis Bell, e un piccolo contributo per le spese editoriali, viene pubblicato quel “feroce e perverso” romanzo “Cime Tempestose” che troverà solo trent’anni dopo il riconoscimento del pubblico e della critica.
L’anno seguente si spegne, minato dall’abuso di alcool e oppio, l’adorato fratello di Emily, Branwell. E con lui la breve vita di questa grande scrittrice che, dopo aver contratto la tisi durante la prima giovinezza, decide, a causa di quel devastante dolore, di rifiutare le cure che l’avevano tenuta in vita fino a quel momento. Emily muore il 19 dicembre del 1848, qualche mese dopo il decesso del fratello.
La vicenda della passione tormentata tra il trovatello Heathcliff e Catherine, la figlia dell’uomo che adotta il ragazzino, viene narrata dalla nutrice e domestica della famiglia della ragazza. I due protagonisti, inquieti e ambigui, eternamente uniti al di là dell’esistenza terrena, sembrano aver dato corpo alle fantasie più recondite della timida Emily simbolizzando nelle sembianze di un uomo e di una donna quei due volti presenti nell’animo umano.
Non riesce difficile ad un lettore introspettivo trovare qualcosa di sé in quei due protagonisti tremendamente umani e immaturi che coinvolgono nella tragedia anche quella miriade di personaggi, spesso innocenti, il cui fardello di un amore distrutto da sconsiderati comportamenti peserà per sempre sulle loro spalle.
La narrazione di Emily, affidata alla nutrice, affascina il lettore sin dalle prime pagine, inspiegabilmente avvolto dalla bellezza aspra della brughiera in cui si celano misteri inquietanti di spiriti amati dal misticismo nordeuropeo, e lo rende nello stesso tempo consapevole di non essere in grado di cogliere l’intrinseca e sinistra essenza di quei labili confini tra la vita e la morte velati da una nebbia onnipresente che ammanta la tragica vicenda.
Ad Emily, una delle scrittrici da me più amate, in grado di scavare dentro gli abissi del cuore umano e fortemente attuale per lo stile e le tematiche, dedico una raccolta di brani tratti dal suo celebre romanzo.
Le mie grandi infelicità su questa terra sono state le infelicità di Heathcliff … il mio pensiero dominante è lui. Se tutto dovesse perire e lui rimanere, continuerei a esistere; ma se tutto rimanesse e lui fosse annientato, l’universo per me non esisterebbe più … Il mio amore per Linton è come il fogliame dei boschi. Il tempo lo cambierà, me ne rendo conto, come l’inverno spoglia gli alberi … Io sono Heathcliff. Egli è continuamente nel mio spirito; non come un piacere, come io non sono sempre un piacere per me stessa, ma come il mio proprio essere …
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Solo gli inquieti sanno com’è difficile sopravvivere alla tempesta e non poter vivere senza.
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La gente orgogliosa si crea dei dispiaceri per sé sola: ma se hai davvero vergogna della tua ombrosità, bisogna che tu vada a domandarle perdono, hai capito?
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Ho sognato nella mia vita, sogni che son rimasti sempre con me, e che hanno cambiato le mie idee; son passati attraverso il tempo e attraverso di me, come il vino attraverso l’acqua, ed hanno alterato il colore della mia mente.
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Il tiranno stritola i suoi schiavi e questi non gli si rivoltano contro, ma stritolano quanti sono sotto di loro. Tu puoi torturarmi a morte soltanto per divertirti; ma devi lasciare che io mi diverta a mia volta allo stesso modo. E per quanto puoi, evita di insultarmi. Dopo aver raso al suolo il mio palazzo, non costruirmi un tuguri compiacendoti di aver avuto la carità di darmelo come casa.
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Ora dimmi come hai potuto essere così crudele con me, crudele e falsa. Perché mi disprezzasti? Perché ingannasti il tuo stesso cuore, Cathy? Non mi viene una sola parola di conforto. Tu meriti questo. Ti sei uccisa da sola. Sì, puoi baciarmi, e piangere; e strapparmi baci e lacrime; essi saranno la tua rovina… la tua dannazione. Tu mi amavi; che diritto avevi di lasciarmi? Che diritto? Rispondimi. Lasciarmi per quel misero capriccio che ti prese per Linton? Giacché né la miseria, né la degradazione, o la morte, né qualunque pena che Dio o Satana potessero infliggere, avrebbero potuto separarci, tu lo facesti di tua volontà. Non ho infranto il tuo cuore, tu l’hai infranto; e nell’infrangerlo, hai spezzato il mio. Tanto peggio per me che sono forte. Se voglio vivere? Che vita sarà quando tu… oh, Dio! Piacerebbe a te vivere con la tua anima nella tomba?
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Ha mentito fino alla fine! Dov’è ora? Non è là, non in paradiso, non fra i morti, dov’è? Oh dicesti che non ti importava delle mie sofferenze! E io elevo una sola preghiera, la ripeterò fino a che la lingua non si sia seccata – Catherine Earnshaw, possa tu non trovare pace finché io avrò vita; dicesti che io ti avevo uccisa; perseguitami allora! Gli assassinati PERSEGUITANO i loro assassini, credo. So che dei fantasmi hanno vagato sulla terra. Sii sempre con me, assumi qualsiasi forma, fammi impazzire! Solo non lasciarmi in questo abisso dove non riesco a trovarti! Oh Dio! Non ci sono parole per dirlo! NON POSSO vivere senza la mia vita! NON POSSO vivere senza la mia anima!
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Non posso abbassare lo sguardo su questo pavimento che i suoi lineamenti sono delineati nella pietra. In ogni nuvola, in ogni albero, nell’aria della notte e nell’aspetto di ogni oggetto durante il giorno, io sono circondato dalla sua immagine! I più comuni visi di donna o uomo, i miei stessi lineamenti, si fanno gioco di me con il loro ricordarla. Il mondo intero è per me una terribile collezione di cimeli che mi ricordano che lei è esistita e che io l’ho persa!
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Io vorrei che mi dicessi, in tutta sincerità, se Catherine soffrirebbe molto per la sua perdita: è ciò, che mi trattiene. E qui, vedi, sta la differenza tra i nostri sentimenti: se lui fosse stato al mio posto e io al suo, sebbene io lo odii di un odio che mi ha avvelenato tutta la vita, non avrei mai alzato una mano sopra di lui. Padronissima di non credermi, se vuoi. Io non lo avrei mai allontanato dalla sua compagna, finché a lei fosse piaciuto. Al momento stesso in cui Cathy non gli avesse più voluto bene, gli avrei strappato il cuore e bevuto il sangue: ma fin là, e se non mi credi non mi conosci, ma fin là sarei morto ad oncia ad oncia prima di torcergli un capello!
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Gli ho dato il cuore e lui lo ha preso soltanto per stritolarlo a morte e scagliarmelo sulla faccia.. Gli esseri umani sentono con il cuore, Ellen, e poiché lui il mio lo ha distrutto, non posso più provare alcun sentimento nei suoi riguardi; né vorrei provarlo, nemmeno se lo vedessi gemente a patire da questo momento fino al giorno in cui morirà, e anche se versasse lacrime di sangue per Catherine!
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Ho condotto una ben dura esistenza, dal giorno che ho cessato di udir la tua voce. Ma tu devi perdonarmi: perché ho lottato solo per te.
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Sono appena ritornato da una visita al mio padrone di casa, il solo vicino col quale avrò a che fare. Questa è indubbiamente una bella contrada. Credo che in tutta l’Inghilterra non avrei potuto scegliermi un altro posto più lontano dal frastuono della società. È il paradiso del perfetto misantropo; e il signor Heathcliff ed io siamo fatti apposta per una simile desolazione. Un uomo veramente singolare! Non immaginava certo quale viva simpatia sentissi per lui quando vidi i suoi occhi neri ritrarsi così sospettosamente sotto le ciglia al mio avanzare a cavallo, e le sue mani rifugiarsi ancor più addentro nel panciotto, con gelosa risolutezza, all’annuncio del mio nome.
«Il signor Heathcliff» dissi.
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E credi che la tua gentilezza mi ha indotto ad amarti più profondamente di quanto farei se meritassi il tuo amore: e sebbene non potrei e non posso fare a meno di mostrarti la mia natura, me ne rammarico e me ne pento; e me ne pentirò e rammaricherò fino alla morte.
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Io lo amo più di me stessa, Ellen; e lo so da questo: tutte le sere io prego di potergli sopravvivere, perché preferirei essere infelice io, piuttosto che saperlo infelice. È la prova che l’amo più di me stessa.
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E così egli non saprà mai quanto io lo ami; e ciò non perché sia bello, Nelly, ma perché lui è più me di me stessa. Di qualunque cosa siano fatte le anime, certo la sua e la mia sono simili: e quella di Linton è invece tanto differente dalla nostra quanto lo è la luna da un lampo, o il ghiaccio dal fuoco.
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Mi sono appena iscritta e vorrei complimentarmi per l’originalità di questo blog che spazia dalla letteratura ad argomenti di riflessione sulla vita. Il linguaggio usato è semplice e riesce anche a chi non ha alcuna dimestichezza con le tematiche trattate a riflettere su autori ancora oggi da rileggere.
Riguardo questa scrittrice misteriosa, da ignoranti definita romantica (tutto può dirsi di Cime Tempestose, tranne che si tratti di un romanzo romantico,mio modesto punto di vista) vorrei dire che il suo stile descrittivo è ineguagliabile.Non è un romanzo d’amore, come molti affermano senza nemmeno averlo letto,anche perchè la Bronte non credeva affatto in questo sentimento.Virginia Woolf aveva proprio dimostrato di averlo analizzato con attenzione e sento di condividere la citazione riportata nel post.Per il resto cosa posso aggiungere che non sia stato già detto?Penso che quella taciturna scrittrice abbia scritto per se stessa e che il successo avuto dopo la sua morte non l’avrebbe apprezzato.Ritengo anche che la follia di Heathcliff contenesse qualcosa di lei. Quel tormento interiore di una ragazza che non voleva assolutamente adattarsi ad una società ipocrita e banale a cui risponde con l’isolamento.Lo stesso fa Heathcliff,ma interagendo con la società crudelmente. Credo vi sia molto della Bronte nell’affascinante Heathcliff.
Ciao.
Una perla della letteratura. La sconfitta dolorosa di una passione insana e deviante. Heathcliff e Catherine sono dei vinti nella loro ricerca ossessiva di un riscatto che mai avverrà.Pochi sono stati gli scrittori in grado di descrivere alla perfezione la complessità dell’animo umano. La Bronte è riuscita a farlo in modo eccellente.Non a caso il suo unico romanzo è entrato con furore tra i classici della letteratura.
[…] della natura, dalla meditazione e dallo studio dei suoi autori preferiti: Shakespeare, Keats ed Emily Brontë. Le ragioni che la inducono a ritirarsi in solitudine non si conoscono. Alcuni studiosi ritengono […]
[…] cui piaceva di più stare con le cose che con le persone. *** Ci rimane adesso di parlare di Emily, l’ardente, la geniale, l’indimenticabile, l’immortale […]
[…] Tolstoj, Cechov, Dostoevskij, Proust, O’Casey, Rilke, Garcìa Lorca, Keats, Rimbaud, Burns, Brönte, Austen, Henry James, Blake, Coleridge. Non farò alcun nome di autori ancora in vita. Penso che […]