«Ci sono due modi di diffondere luce: essere la candela oppure essere lo specchio che la riflette».
Figura letteraria di spicco della narrativa statunitense, Edith Wharton è stata la prima donna insignita del Premio Pulitzer con il romanzo “L’età dell’innocenza” dal quale il regista Martin Scorsese ha tratto l’omonimo film. Le sue opere mostrano una profonda conoscenza dell’animo umano e affrontano sentimenti e tematiche tutt’ora attuali. Con raro acume psicologico e un linguaggio tagliente, questa straordinaria scrittrice ritrae personaggi femminili complessi, vittime di una società maschilista e opprimente, descrivendo con particolare efficacia i limiti e i conflitti del primo Novecento. I suoi romanzi ancora oggi richiamano un notevole numero di lettori per l’eleganza e il senso dell’umorismo con cui delinea la condizione delle donne del suo periodo, sottoposte ad un’educazione sbagliata e costrette a dipendere economicamente dagli uomini. Una dipendenza che spesso si tramuta in ossessione e induce molte di loro a “vendersi” a uomini ricchi pur di condurre una vita agiata e benvista dalla società. Attraverso i suoi personaggi, per lo più “morti in vita“a causa di un sistema che tarpa le ali e soffoca chi non osa ribellarsi a convenzioni sociali che annientano il libero pensiero, Edith Warthon denuncia la società e l’aristocrazia nordamericana.
Il matrimonio, considerato l’unico obiettivo finale di una donna, viene spietatamente posto sotto accusa nella sua produzione letteraria, dominata da figure femminili sofferenti e talvolta ciniche.
Sin dalle sue prime opere mostra la sua avversione nei confronti di una società materialista e patriarcale che limita considerevolmente la condizione della donna e ne vincola la sua reputazione al matrimonio e alla sua abilità di esibirsi nei balli e nelle feste. Anticipatrice dunque di alcune delle istanze femministe, ma non solo. La denuncia dei problemi sociali che investono le società industriali e lo sfruttamento delle classi operaie viene affrontato in molti suoi romanzi.
Nata a New York il 24 gennaio del 1862 da una ricca famiglia aristocratica, i Newbold Jones, Edith Warthon viene educata in modo tradizionale da tutori e governanti. Sin dall’adolescenza mostra una profonda avversione nei confronti delle convenzioni sociali del tempo e dà sfogo alla propria dirompente insofferenza immergendosi in lunghe e appassionate letture nell’immensa biblioteca privata del padre. Quel suo modo di estraniarsi dalla società opprimente e superficiale che la circonda causa continui scontri con la madre, preoccupata dell’insolita occupazione della figlia che ben poco avrebbe influito nel già prestabilito destino di tutte le giovani donne assennate di quel periodo, educate nella spasmodica ricerca del matrimonio con persone dello stesso rango sociale. Ancor meglio se superiore.
Ma Edith continua a coltivare la sua passione per la lettura e comincia da giovanissima a comporre poesie e a scrivere racconti.
Si sposa a ventitré anni con un banchiere di Boston, Edward Robbins Wharton, dodici anni più vecchio di lei. L’uomo condivide con Edith la passione per i viaggi, ma cade presto in un’acuta depressione che sfocia nel 1908 in un’implacabile diagnosi medica che la definisce incurabile. Nello stesso anno la donna comincia una relazione con un giornalista del Times. Divorzia dal marito nel 1913 e si trasferisce a Parigi, dove opera instancabilmente per aiutare i rifugiati, le donne disoccupate e organizzare concerti finalizzati a procurare lavoro ai musicisti. Apre alcuni sanatori per i malati di tubercolosi e fonda l’Ostello Americano per i Rifugiati Belgi.
Nel 1916 pubblica “Il Libro dei Senzatetto” che diviene presto un punto di riferimento culturale per i più grandi artisti europei di quel periodo.
Dopo la fine della prima guerra mondiale la sua vita si divide tra Parigi e Hyéres, un paesino della Provenza, dove porta a termine il suo romanzo più significativo, “L’Età dell’Innocenza “, nel 1920.
Il romanzo riscuote un enorme successo ed Edith, l’anno dopo la sua pubblicazione, è la prima donna a ricevere il Premio Pulitzer per la Letteratura.
Amica e confidente di Henry James, André Gide e Francis Scott Fitzgerald, viene ospitata frequentemente dai più grandi intellettuali del periodo. Parla correttamente il francese e i suoi libri vengono pubblicati in entrambe le lingue.
Muore l’undici agosto del 1932 a Le Pavillon Colombe, la villa del diciottesimo secolo da lei acquistata e situata sulla Rue de Montmorency a Saint-Brice- sous-Forêt.
La sua produzione letteraria immensa, che include anche saggi e autobiografie, è caratterizzata dal tema centrale del disprezzo verso la società del suo tempo e i personaggi che animano i suoi romanzi hanno in comune quella “morte civile” causata da incomprensibili convenzioni sociali che ne soffocano l’esperienza emotiva e intellettuale, trovandosi loro malgrado a vivere in un sistema che ne schiaccia il loro essere portandoli a soccombere e a bruciare la loro vita. Gli usi e i costumi della società statunitense vengono messi implacabilmente alla berlina da questa scrittrice che non esita a descriverne la corruzione morale, dietro il perbenismo ipocrita dominato da pregiudizi atavici che si scontrano con il desiderio di affermazione del singolo.
Per aver affrontato anche temi riguardanti lo sfruttamento delle classi lavoratrici, Edith viene definita una “storica della società nordamericana di fine Ottocento.”
Seppellita nel cimitero di Versailles, sulla sua tomba si può leggere il seguente epitaffio: “O Crux Ave Spes Unica” (Ave, o croce, unica speranza ).
Tra i suoi romanzi bisogna ricordare, oltre ai due già citati, “La valle della decisione“, “La casa dell’allegria“ e “Il frutto dell’albero“, senza però trascurare alcuni dei suoi racconti meritevoli di esser letti per quella presenza di personaggi autentici e irriducibili che caratterizza la sua opera.
Ho raccolto alcuni pensieri significativi di questa grande scrittrice che, nonostante sia vissuta in un periodo poco agevole per le donne, ha lottato, attraverso le sue opere e il suo stile di vita, per denunciare la meschinità delle classi più agiate e lanciare un messaggio ancora oggi attuale in un mondo dominato dalla falsità e dalle apparenze. D’altronde la sua lunga esistenza le ha consentito di osservare con attenzione ciò che succedeva e il suo sguardo acuto lriesce a farle presagire la nascita di una nuova epoca, ugualmente soffocante e deprecabile.
Ci sono un sacco di modi per sentirti depressi ma c’è solo un modo per essere a proprio agio ed è smettere di correre in cerca della felicità. Se ti metti in mente di non essere felice non c’è ragione perché tu non debba avere dei momenti discretamente buoni.
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Ci sono signore che inseguono la cultura in bande, come se fosse pericoloso incontrarla da soli.
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Nonostante la malattia, anche nonostante il dispiacere di Satana, uno può restare vivo a lungo dopo la solita data di disintegrazione se non ha paura del cambiamento, ed è insaziabile nella curiosità intellettuale, interessato nelle grandi cose, e felice in tanti piccoli modi.
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Un altro elemento di sconcerto nell’arte moderna è quel sintomo comune di immaturità, la paura di aver fatto ciò che è stato fatto prima.
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Non esiste qualcosa come la vecchiaia, c’è solo il rammarico.
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Ero una fallita a Boston… perché pensavano che fossi troppo alla moda per essere intelligente, e una fallita a New York perché avevano paura che fossi troppo intelligente per essere alla moda.
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Il mio cagnolino, un battito del cuore ai miei piedi.
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La felicità è un’opera d’arte. Trattatela con cura.
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L’unico vantaggio di invecchiare è che si impara a distinguere quello che conta da quello che non conta.
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I puri di cuore sono benedetti perchè hanno tante più cose di cui parlare.
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Ci sono due modi di diffondere luce: essere la candela oppure essere lo specchio che la riflette.
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Se solo smettessimo di cercare di essere felici, ci potremmo divertire parecchio.
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Finalmente ho bevuto il vino della vita…l’amore….e ho sperimentato quanto di meglio va conosciuto. Ho provato fino in fondo un calore che, fino alla fine, non mi lascerà più sentire il freddo.
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Per un mese sono stata qui da sola, tra un altro mese sarò partita. Sarà tutto finito. Vivo con queste tre parole dinnanzi agli occhi, giorno e notte; eppure non riesco a capirle, non significano nulla. Sarò partita, non ti vedrò più, non sentirò più la tua voce, non mi sveglierò più pensando: «Tra non so quante ore ci vedremo, terrà le mie mani tra le sue, i miei occhi sprofonderanno nei suoi occhi…?»
Io che dominavo la vita, in realtà le vivevo a fianco, ora mi sento talmente umiliata, talmente assorta, senza più un filo di volontà e di identità! Il mio unico desiderio è stare con te, sentire le mie mani nelle tue. Se mai leggerai queste righe, ti renderai conto di quanto sei stato amato.
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Non voglio vincere, per te voglio perdere tutto.
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Il mattino seguente il sole sorse su un mondo nuovo. Oddo doveva partire allo spuntar del giorno e l’alba lo sorprese alla finestra, mentre col pensiero la vedeva dispiegarsi e tuttavia non ancora del tutto visibile nell’estremo barlume delle stelle.
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L’illusione di poter coltivare un’amicizia era svanita e la scena avvenuta al molo, in tutta la sua meschina volgarità, aveva gettato una luce di verità sul suo attimo di follia. Le pareva che le parole del suo tutore avessero messo a nudo di fronte alla folla ghignante i segreti tormenti della sua coscienza.
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Il caldo si era fatto soffocante… Charity lo sentiva calare su di sé in ondate avvampanti, finché il mare dei volti in sala cominciò a danzare davanti ai suoi occhi come le immagini proiettate sullo schermo, in quel cinema di Nettleton. Per un attimo il viso del signor Royall spiccò nella confusione generale. L’uomo aveva ripreso il suo posto davanti all’armonium e la fissava con una tale intensità da darle l’impressione che quello sguardo fosse riuscito a penetrare fino al centro delle sue sensazioni confuse.
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La fortuna di certi viaggiatori è incredibile. Basta loro salire su un treno o su un piroscafo per imbattersi in un vecchio amico o, meglio ancora, per farsene uno nuovo.
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Quel giorno di febbraio volgeva al termine e un raggio di sole, penetrato da una fessura nel muro, rivelava la visione di una testa sovrastata da un’aureola, pallida e fluttuante sullo sfondo scuro del coro, come una ninfea sulla sua foglia. Il volto era quello del santo di Assisi, un volto incavato e devastato, acceso da un’estasi di sofferenza, che non sembrava tanto riflettere gli spasimi del Cristo ai cui piedi il santo era inginocchiato, quanto il muto dolore di tutta la povera gente calpestata nel mondo.
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Anni fa mi sono detta: “Non esiste la vecchiaia; c’è soltanto la tristezza”.
Col passare del tempo ho imparato che, sebbene questo sia vero, non lo è del tutto. Anche l’abitudine contribuisce a far diventare vecchi; il processo mortale di fare la stessa cosa allo stesso modo alla stessa ora giorno dopo giorno, prima per trascuratezza, poi per inclinazione, e infine per codardia o inerzia. Fortunatamente, la vita incongruente non è l’unica alternativa; infatti il capriccio è dannoso come la routine. L’abitudine è necessaria; è l’abitudine di avere delle abitudini, di fare di una traccia un solco, che è necessario combattere, se si vuole rimanere vivi.
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Le buttò indietro la testa per mettere in risalto la curva del collo e prese a baciarla sotto l’orecchio, sui capelli, sugli occhi e sulle labbra. La ragazza gli si aggrappò disperatamente e, mentre Harney l’attirava sulle ginocchia, ebbe la sensazione di essere risucchiata insieme a lui in un abisso senza fondo.
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Tu mi hai fatto intravedere dei lampi di vita vera, poi mi hai detto di continuare a viverne una falsa.
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Ma immagino di aver vissuto in modo troppo indipendente; in ogni caso voglio fare ciò che fate voi tutti… voglio sentirmi protetta e al sicuro.
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L’aria in cui vivono le idee è l’unica per cui valga la pena di respirare.
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Era il sistema della vecchia New York, quello di uccidere senza «spargimento di sangue»; il sistema adottato da gente che temeva lo scandalo più dei malanni, che anteponeva la rispettabilità al coraggio, che giudicava che niente fosse più incivile delle «scenate», tranne il comportamento di coloro che le provocavano.
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Era impossibile fare una confessione in modo più spassionato, ovvero in tono meno lusinghiero per la vanità della persona a cui era indirizzata. Archer arrossì fino alla radice dei capelli, ma non osò né muoversi né parlare: era come se le parole di lei rassomigliassero a una farfalla di specie rara che il minimo movimento avrebbe potuto fare volare via impaurita, ma che avrebbe potuto radunare intorno a sé un gran numero di compagne se fosse stata lasciata indisturbata.
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Alla fine lei disse: «Glielo dirò, ma dove, dove, dove? In quell’immenso seminario di casa non si può stare soli un minuto, con tutte le porte aperte e sempre con un domestico che porta il tè, o un ciocco per il fuoco, o il giornale! Non c’è nessun posto in una casa americana dove ci si possa appartare? Siete tanto timidi, eppure tanto sfrontati. Mi sento sempre come se fossi di nuovo in convento… o sul palcoscenico, davanti a un pubblico terribilmente bene educato che non applaude mai.»
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Pianino
Dobry przyjaciel widzi pierwszą łzę, łapie drugą i powstrzymuje trzecią.
Zgadzam się, ale bardzo trudno jest znaleźć prawdziwego przyjaciela.