Noto in tutto il mondo per i suoi racconti di terrore che ci trascinano in un’atmosfera tetra e angosciante, Edgar Allan Poe, è ritenuto uno dei massimi esponenti della letteratura americana. La sua vivida e macabra fantasia riesce mirabilmente ad ammaliarci e a respingerci nel medesimo tempo; divoriamo quelle pagine che vorremmo non avessero mai fine, ma desidereremmo anche terminare in fretta il racconto affinché quell’incubo in cui siamo stati scaraventati cessi di turbare la nostra mente.
Non di rado abbandoniamo per un attimo la lettura per soffermarci ad ascoltare i rassicuranti rumori della nostra casa e sperimentando, così, la stessa sensazione del risveglio da un sogno angoscioso.
Nei racconti di Poe si ripresentano sempre le stesse dinamiche e ambientazioni che vedono il compimento di omicidi efferati, le sepolture di donne vive e la vita di famiglie aristocratiche decadute dentro sinistri castelli in rovina. Eppure, nonostante la monotonia degli elementi ricorrenti, noi lettori di oggi, sebbene ormai smaliziati, non riusciamo a ridere di quelle cupe storie che tanta angoscia recano, a volte anche dopo la fine del racconto.
Una monotonia di temi che con questo scrittore producono quell’effetto psicologico denominato “sospensione dell’incredulità” e che viene attribuita ad ogni opera d’arte degna di questo nome.
Narratore ineguagliabile, i suoi racconti seguitano tutt’oggi a destare interesse perché a differenza di altri scrittori che lo hanno preceduto o di altri narratori contemporanei, Poe crede fermamente in ciò che scrive. I suoi sono racconti pregni di magia proprio per questa ragione. In essi lo scrittore riflette le inquietudini e le angosce di una vita estremamente travagliata di orfano perseguitato dalla povertà di cui probabilmente ritiene di esserne colpevole. Forte bevitore e dedito al vizio del gioco, il suo animo è attanagliato continuamente da incubi che sembra non lo abbandonino mai. E le sue peggiori angosce non riguardano solamente l’eccessiva preoccupazione per la vita della moglie malata di tisi, ma riflette anche il terrore dei coloni americani dell’Ottocento ben consapevoli di occupare terre non proprie e continuamente afflitti dalla paura di perderle.
Poe non ha scritto solo racconti; non bisogna infatti trascurare le sue indimenticabili poesie. La sua poetica ci invita a intraprendere un viaggio affascinante nel profondo dell’animo umano e nei suoi segreti più inquietanti. Le sue storie, avvolte nel mistero, ci trasportano in atmosfere gotiche dove tutto sembra oscillare tra la realtà e l’incubo. In questo contesto, tra castelli in rovina e palazzi che celano ombre oscure, il nostro scrittore e poeta ci guida attraverso labirinti di paranoia e ossessione, esplorando con maestria la sottile linea che separa la sanità alla follia. Un elemento particolarmente affascinante delle sue opere poetiche è la profusione di simboli e metafore. Ogni particolare, ogni sfumatura sembra essere carica di significato profondo e, nonostante l’oscurità dei temi trattati, è riuscito a creare una bellezza malinconica del tutto unica, utilizzando ritmo e versificazione per toccare le corde più profonde e spesso dolorose dell’anima umana. Ogni parola, ogni verso è pensato per coinvolgere il lettore, trascinandolo in un universo dove bellezza e terrore si intrecciano in una danza coinvolgente e inquietante.
Nato il 19 gennaio del 1809 a Boston, nello stato del Massachusetts, Edgard Allan Poe, diventato orfano in tenera età, viene adottato dai coniugi Allan che lo crescono affettuosamente e lo fanno educare nelle migliori scuole inglesi e americane.
Dopo cinque anni trascorsi in Inghilterra, in cui si appassiona ai classici della letteratura inglese e alle storie dense di mistero, torna negli Stati Uniti dove si iscrive all’Università della Virginia, a Charlottesville.
Costretto a lasciare gli studi dopo appena due anni per il suo comportamento scorretto, l’abuso di alcool e il vizio del gioco, precipita in una profonda depressione acuita da una delusione d’amore e dal rifiuto del padre adottivo di finanziargli gli studi. Si reca a Boston per cercare di dimenticare gli ultimi eventi dolorosi della sua vita e pubblica a proprie spese il suo primo libro, “Tamerlano e altre poesie“, nel 1827. Nello stesso anno si arruola nell’esercito statunitense, ma viene presto espulso per la sua insofferenza alle regole militari.
Diseredato dal padre adottivo, nel 1834, che non ne approva lo stile di vita, Edgar comincia a guadagnarsi da vivere diventando vicedirettore del Southern Literary Messenger di Richmond.
Sposa poi la giovanissima cugina Virginia Clemm, figlia di due attori nomadi, scrive alcuni racconti e l’unico romanzo della sua vita, “Le avventure di Arthur Gordon Pym“, una straordinaria miscela di avventura, suspense e mistero. Pubblicato nel 1838, il libro narra la storia di Arthur Gordon Pym, un giovane spinto dal fascino dell’ignoto che si imbarca clandestinamente sulla nave Grampus. Quella che inizia come un’emozionante avventura si trasforma rapidamente in un viaggio colmo di orrori: ammutinamenti sanguinosi, naufragi, lotte per la sopravvivenza e la fame mettono a dura prova il protagonista. Ma il vero punto di svolta si verifica quando la narrazione si dirige verso i ghiacci dell’Antartide, dove il viaggio assume toni surreali e inquietanti. Tra fenomeni inspiegabili e un’atmosfera sempre più carica di tensione, il finale enigmatico lascia il lettore con una miriade di domande senza risposta.
Poe si trasferisce a New York e, a causa delle difficoltà economiche, è costretto a collaborare con molte riviste nelle quali pubblica i suoi scritti. Ma lo stile gotico dei suoi racconti non viene compreso dal grande pubblico e, dopo la morte della moglie a causa della tubercolosi, lo scrittore piomba in una profonda disperazione che lo induce ad aumentare ancora di più il consumo di alcool. Come accaduto con la madre dello scrittore, anche Virginia si spegne nella miseria più nera, e Poe assiste alla fine della giovane moglie, schiacciato dall’impotenza e in mezzo ad uno squallore devastante. Estrema povertà ed alcolismo segnano gli ultimi anni della sua vita e il 3 ottobre del 1849 viene ritrovato in stato confusionale nelle strade di Baltimora dove si era recato per portare con sé la madre di Virginia ad assistere alle sue nuove nozze con una vedova amata in gioventù.
Muore il 7 ottobre del 1849 per cause incerte, poiché i referti medici e lo stesso certificato di morte non sono mai stati rinvenuti. Sembra che, sebbene in procinto di convolare a nuove nozze, lo scrittore non abbia ancora abbandonato gli eccessi del bere e l’alcolismo, nemico dei suoi genitori e suo, gli è quella volta fatale. Come gli eroi dei suoi racconti pare sia deceduto a causa di un feroce attacco di delirium tremens.
Tra i suoi racconti e poesie, dopo la sua morte divenuti noti in tutto il mondo, bisogna ricordare “Lo scarabeo d’oro“, “Il gatto nero“, “Il pozzo e il pendolo“, “I delitti della Rue Morgue“ e “Il corvo“.
“Lo scarabeo d’oro“, pubblicato nel 1843, combina sapientemente il fascino della crittografia, l’abilità della deduzione logica e il brivido della caccia al tesoro. La trama si concentra su William Legrand, un uomo riservato ma brillante che, dopo aver rinvenuto uno scarabeo dorato misterioso, s’imbarca in una ricerca che all’apparenza sembra insensata, ma che si rivela geniale. Con il supporto del suo fedele servitore Jupiter e del narratore, Legrand scopre un antico messaggio crittografato che contiene la chiave per accedere a un tesoro perduto. La tensione aumenta man mano che i vari dettagli si svelano, portando il lettore in un’atmosfera carica di curiosità e inquietudine. Poe riesce a catturare pienamente l’immaginazione, tessendo una trama dove ogni elemento ha un significato. La decifrazione del codice è presentata con una precisione affascinante, evidenziando il genio matematico e narrativo dell’autore.
Ciò che rende questo racconto davvero unico è l’equilibrio perfetto che riesce a mantenere tra razionalità e avventura, logica e mistero. “Lo scarabeo d’oro” non è solo una storia di tesori sepolti: è un’esplorazione della mente umana, del desiderio di scoprire ciò che è nascosto e del potere della deduzione. Con un ritmo incalzante e un finale inaspettato, questo racconto rappresenta un vero e proprio gioiello della letteratura, in grado di incantare lettori di ogni epoca.
“Il gatto nero” è un racconto coinvolgente che ci conduce nei profondi abissi del senso di colpa, della follia e del terrore. Pubblicato nel 1843, questo breve capolavoro inquieta e affascina, esplorando il lato più oscuro dell’essere umano attraverso una narrativa intensa. Il protagonista, narrando la sua storia, condivide il suo tormento interiore, raccontando di come un tempo fosse un uomo affettuoso, ma di come l’alcol e una rabbia incontrollata lo abbiano trasformato in un mostro capace di atrocità indicibili. Al centro della narrazione c’è Pluto, un gatto nero che diventa vittima di un atto orribile. Quello che inizia come un semplice gesto violento si evolve in qualcosa di ben più inquietante: il gatto, o forse la sua ombra, torna a perseguitarlo, spingendolo in una spirale di follia che culmina in un finale sorprendente e terribile.
La forza de “Il gatto nero” si riscontra nella sua capacità di unire realtà e psiche, logica e soprannaturale. Poe crea una tensione crescente, catturando il lettore con immagini potenti e una narrazione incisiva, dove ogni parola pesa come un macigno. La presenza del gatto non è solo fisica: diventa un simbolo della colpa che il protagonista non può più eludere.
“Il pozzo e il pendolo” è un racconto inquietante che coinvolge il lettore con una tensione intensa, mantenendolo sulle spine fino all’ultima pagina. Pubblicato nel 1842, rappresenta in modo magistrale il terrore psicologico, costringendo il lettore a confrontarsi con una realtà angosciante. Un uomo, imprigionato dall’Inquisizione spagnola, è rinchiuso in una cella buia e sinistra, dove ogni cosa sembra mirata a distruggere il suo spirito. Il pozzo, un abisso profondo che minaccia di inghiottirlo, e il pendolo, una lama affilata che oscilla inesorabilmente verso di lui, diventano simboli spaventosi della morte imminente. Poe riesce a catturare ogni istante di questa tortura con tanta chiarezza che il lettore è costretto a trattenere il respiro, mentre il protagonista affronta un terrore paralizzante e un disperato desiderio di sopravvivere. Inoltre, e qui si sprigiona la vera genialità del racconto, lo scrittore gioca con le emozioni dei lettori. Non è solo la realtà fisica a infliggere tormento, ma anche l’opprimente sensazione di ineluttabilità, accompagnata dalla lenta presa di coscienza di essere a mercé di forze crudeli e superiori. Ogni dettaglio, ogni movimento del pendolo o sussurro nell’oscurità, esalta ulteriormente questa sensazione di paura.
“I delitti della Rue Morgue” ( 1841 ) rappresenta un momento cruciale nella storia della narrativa, dando origine al genere poliziesco e introducendo il meraviglioso talento analitico di Auguste Dupin, l’investigatore per antonomasia. La storia inizia con un delitto sconvolgente: due donne vengono trovate brutalmente uccise in un’abitazione della Rue Morgue, a Parigi. Gli indizi sono confusi, le testimonianze sono contraddittorie, e la polizia si mostra impotente nel risolvere il caso. È proprio in questo scenario che si fa avanti Dupin, un uomo dotato di un’intelligenza eccezionale, in grado di percepire connessioni invisibili e di analizzare il caos sistema per sistema, grazie alla forza della ragione. Poe costruisce la tensione con grande maestria, intrecciando dettagli che all’apparenza sembrano insignificanti ma che, sotto l’occhio vigile di Dupin, emergono come chiavi essenziali per decifrare l’enigma. La narrazione coinvolge il lettore in un gioco di logica e deduzione, dove ogni mossa dell’investigatore si trasforma in un pezzo fondamentale per avvicinarsi alla verità. E quando il mistero viene svelato, il colpo di scena lascia il lettore incredulo, dimostrando che nulla è come sembra. Questo racconto non è solo un capolavoro di suspense, ma offre anche un’analisi del potere della mente razionale nel caos. Dupin non è semplicemente un investigatore: è un simbolo di intelligenza e metodo, un personaggio che ha fatto da pioniere per tutti i detective che seguiranno, da Sherlock Holmes a Hercule Poirot.
“Il corvo“, pubblicato nel 1845, rappresenta una delle opere più iconiche di Edgar Allan Poe, un viaggio poetico che intreccia dolore, mistero e follia. Una poesia, intrisa di un’atmosfera gotica e di un senso di angoscia ineluttabile, che trascina noi lettori in una spirale di emozioni oscure, creando un’esperienza che rimane impressa nella memoria.
La storia si svolge in una notte buia e inquietante, dove un uomo solo, afflitto dal lutto per la perdita della sua amata Lenore, si rifugia nei suoi pensieri. L’arrivo inatteso di un corvo nero, che si posa maestoso su un busto di Pallade, trasforma questa notte già segnata dal dolore in un inquietante confronto. L’uccello, con il suo inquietante “Nevermore” ( “Mai più” ), sembra rappresentare la voce della disperazione, ripetendo con forza una verità devastante: la perdita è definitiva e la serenità rimarrà sempre irraggiungibile. La poesia incanta con una musicalità impeccabile, un ritmo che penetra nell’anima di noi lettori. Le immagini evocative e la ripetizione ossessiva del corvo generano una crescente tensione, mentre il protagonista scivola lentamente verso la follia. Ogni verso, ogni parola è intrisa di emozione, trasmettendo un senso di isolamento e tormento che è impossibile ignorare. “Il corvo” non è solo una poesia: è una profonda riflessione sull’amore perduto, sulla fragilità dell’animo umano e sull’inevitabilità della morte. Con il suo linguaggio evocativo e un simbolismo ricco di significato, quest’opera continua a sedurre e inquietare, lasciando il lettore immerso in una miscela di meraviglia e sgomento.
Scrittore neogotico di cui ne riprende alcune suggestioni, si sofferma maggiormente sugli aspetti psicologici dei personaggi creati indugiando sulle ossessioni e gli incubi di ogni essere umano. Considerato il precursore del Decadentismo, viene tradotto magistralmente da uno dei suoi più noti ammiratori, il poeta Charles Baudelaire.
Il suo genio narrativo ha anche anticipato altri generi letterari. Il romanzo poliziesco e la narrativa fantascientifica devono ad Edgar Allan Poe la massima ispirazione e non pochi sono stati gli scrittori ad aver dichiarato di aver subito l’influenza di questo grande narratore che riesce ad inquietare i lettori scavando nelle nostre paure e immergendoci nel mondo misterioso e affascinante dell’ignoto e del terrore.
Di seguito una raccolta di alcuni suoi pensieri e brani tratti dai suoi più significativi racconti che rilevano il tormento della sua anima, segnata sin da bambino, quando viene trovato dopo due giorni trascorsi a piangere sul letto della madre, deceduta in un modesto albergo di Richmond.
E se guarderai a lungo nell’abisso anche l’abisso vorrà guardare in te.
***
La scienza non ci ha ancora insegnato se la pazzia sia o no più sublime dell’intelligenza.
***
Voi chiedete: potete dirmi quale fu il terribile demone causa delle irregolarità tanto profondamente lamentate? Sì, dirò anche di più: questo fu il demone più grande che mai distrusse un uomo. Sei anni fa una donna da me amata come mai altro uomo amò una donna, disperatamente ebbe spezzata un’arteria mentre cantava e io soffrii tutta l’agonia della sua morte… Come un folle avevo alterni intervalli di lucidità e durante questi eccessi di incoscienza assoluta io bevvi Dio solo sa quando e quanto. I miei amici preferiscono il vizio del bere piuttosto che bere al vizio: fu l’orribile, infinita oscillazione fra la speranza e la disperazione che non potei più sopportare senza la totale perdita della ragione. Ricevetti nuova vita dalla morte di quella. Ma, oh Dio, quale esistenza melanconica! Io non trovo alcun piacere nell’uso di stimolanti verso i quali sono così indulgente. Solo per il desiderio di sottrarmi alla tortura dei miei ricordi ho messo in pericolo la mia vita e non per un desiderio di piacere.
***
Quelli che sognano ad occhi aperti sono a conoscenza di molte cose che sfuggono a chi sogna addormentato. Dalle loro visioni captano sprazzi d’eternità.
***
È nel disprezzo dell’ambizione che si deve trovare uno dei principi essenziali per la felicità sulla terra.
***
Ciò che scambiate per pazzia non è altro che estremo godimento dei sensi.
***
Non ho fiducia nella perfezione umana. L’uomo è ora più attivo, non più felice, né più intelligente di quando non lo fosse 6000 anni fa.
***
Il confine che divide la vita dalla morte è, al meglio, ombreggiato e vago. Chi potrebbe dire dove uno finisce e l’altro inizia?
***
Era di moda, anni fa, farsi beffe dell’amore a prima vista come di una ridicola fantasia. Ma le persone che pensano, e quelle che sentono profondamente, hanno sempre affermato la sua esistenza.
***
Nell’amore disinteressato di un animale, nel sacrificio di se stesso, c’è qualcosa che arriva direttamente al cuore di chi ha frequentemente avuto modo di provare l’amicizia meschina e la fragile fedeltà dell’Uomo naturale.
***
Tutto ciò che vediamo o sembriamo non è altro che un sogno in un sogno.
***
I veri sognatori non dormono mai.
***
Quando un pazzo sembra perfettamente ragionevole è gran tempo, credetemi, di mettergli la camicia di forza.
***
L’unico modo di conservare all’uomo la sua libertà è di essere sempre pronti a morire per essa.
***
Non ho io tempo per sogni e per fole:
e tu parli di speranza.
***
***
Nella musica è forse dove l’anima si accosta di più al grande scopo per cui lotta quando si sente ispirata dal sentimento poetico: la creazione della bellezza soprannaturale.
***
Come regola generale, nessuno scrittore dovrebbe far figurare il suo ritratto nelle sue opere. Quando i lettori hanno gettato un’occhiata alla fisionomia dell’autore, di rado riescono a mantenersi seri.
***
Mi hanno chiamato folle; ma non è ancora chiaro se la follia sia o meno il grado più elevato dell’intelletto, se la maggior parte di ciò che è glorioso, se tutto ciò che è profondo non nasca da una malattia della mente, da stati di esaltazione della mente a spese dell’intelletto in generale.
***
Qualunque sia la sua apparenza, la bellezza, nel suo sviluppo supremo, induce alle lacrime, inevitabilmente, le anime sensibili.
***
Viaggiare è come sognare: la differenza è che non tutti, al risveglio, ricordano qualcosa, mentre ognuno conserva calda la memoria della meta da cui è tornato.
***
Se si guarda troppo fisso una stella, si perde di vista il firmamento.
***
Il sonno della ragione partorisce mostri.
***
Esiste allora una diabolica provvidenza che prepara l’infelicità nella culla, che getta premeditatamente esseri angelici ricchi d’intelligenza in ambienti ostili, come martiri nel circo? Vi sono dunque delle anime sacre, votate all’altare, condannate a camminare verso la gloria e la morte, calpestando le proprie macerie? L’incubo delle tenebre stringerà in una morsa eterna queste anime elette? Inutilmente si dibattono, inutilmente si addentrano nel mondo, ai suoi fini ultimi, agli stratagemmi; perfezioneranno la loro prudenza, sprangheranno tutte le uscite, barricheranno le loro finestre contro i proiettili del caso; ma il diavolo entrerà nella serratura: una perfetta virtù sarà il loro tallone d’Achille, una qualità superiore il germe della loro dannazione.
In visioni di notturna tenebra spesso ho sognato di svanite gioie – mentre un sogno, da sveglio, di vita e di luce m’ha lasciato col cuore implacato.
***
Era un animale di notevoli proporzioni e bellezza, tutto nero e dotato di un’intelligenza sbalorditiva. A tale proposito, mia moglie, incline in cuor suo alla superstizione, faceva continue allusioni alla inveterata credenza popolare che considera tutti i gatti neri streghe travestite…
***
Essere sepolti vivi è senza dubbio, il più terribile tra gli orrori estremi che siano mai toccati in sorte ai semplici mortali. Che sia avvenuto spesso, spessissimo, nessun essere pensante vorrà negarlo. I limiti che dividono la Vita dalla Morte sono, nella migliore delle ipotesi, vaghi e confusi. Chi può dire dove finisca l’una e cominci l’altra?
***
L’ignoranza è una benedizione, ma perché la benedizione sia completa l’ignoranza deve essere così profonda da non sospettare neppure se stessa.
***
Non c’è in natura una passione più diabolicamente impaziente di quella di colui che, tremando sull’orlo di un precipizio, medita di gettarvisi.
***
I veri, i soli veri pensatori, gli uomini di ardente immaginazione!
***
Non credete a nulla di quanto sentito dire e non credete che alla metà di ciò che vedete.
***
Oggi sono in catene e sono qui. Domani sarò senza ceppi… ma dove?
***
Non è veramente coraggioso colui che teme di sembrare od essere, quando gli conviene, un vile.
***
Le più alte facoltà della riflessione sono utilizzate più intensamente e con maggior profitto dal modesto gioco della dama che da tutta l’elaborata futilità degli scacchi.
***
Non vedeva lontano perché si ostinava a voler guardare le cose troppo da vicino. […] Un esempio di questo genere di errore possiamo riscontrarlo nell’osservazione dei corpi celesti. Quando si dà un’occhiata a una stella, guardandola con la coda dell’occhio, con la parte più esterna della retina (la più sensibile alla luce debole), possiamo vedere la stella distintamente, cogliendone adeguatamente la luminosità che si attenua a mano a mano che volgiamo lo sguardo pienamente su di essa. A questo punti, infatti, l’occhio è investito da un gran numero di raggi luminosi, mentre alla prima occhiata si ha una più raffinata capacità di percezione. La troppa profondità condiziona il pensiero e ci rende perplessi, mentre una osservazione troppo prolungata, troppo concentrata o troppo diretta può fare svanire dal firmamento persino Venere.
***
Sono poche le persone che non si sono divertite, in qualche momento della loro vita, a ripercorrere le fasi del loro pensiero risultate in certe conclusioni. È un’occupazione di notevole interesse, spesso, e chi vi si cimenta per la prima volta si stupisce del divario, della distanza apparentemente incolmabile tra punto di partenza e punto di arrivo.
***
Il semplice fatto di respirare era motivo di gioia, e perfino ciò che solitamente è fonte di dolore mi procurava piacere.
***
E allora parlammo della grande bellezza e importanza della Democrazia e ci demmo un gran da fare per comunicare al Conte un giusto sentimento dei vantaggi di cui godevamo vivendo in un luogo dove imperava il suffragio ad libitum, e non c’era re.
Il Conte ascoltò con palese interesse, e in verità sembrava non poco divertito. Quando avemmo finito, disse che, molto tempo prima, era accaduto qualcosa del genere. Tredici province egizie decisero di colpo di essere libere, proponendo in tal modo un magnifico esempio al resto dell’umanità. Riunirono i loro saggi, e apparecchiarono la costituzione più ingegnosa che fosse possibile concepire. Per qualche tempo se la cavarono non troppo male; soltanto, avevano preso l’abitudine di darsi delle arie in modo da non credersi. Alla fine, tuttavia, quei tredici stati, più altri quindici o venti, finirono in preda del più odioso, del più intollerabile dispotismo di cui mai si sia sentito parlare sulla faccia della Terra.
Chiesi quale mai fosse il nome del tiranno usurpatore. Per quel che il Conte riusciva a ricordare, il suo nome era Plebaglia.
***
La miseria è multiforme; la sventura sulla terra è molteplice. Mentre si incurvano sopra il vasto orizzonte come l’arcobaleno, i suoi colori sono vari e distinti come quelli dell’arco, eppure altrettanto intimamente fusi mentre si incurvano sopra il vasto orizzonte come l’arcobaleno! Com’è successo che da un esempio di bellezza ho potuto trarre un tipo di bruttezza? Come da un simbolo di pace, un’immagine di dolore? Ma come, in filosofia, il male è conseguenza del bene, così, anche nella realtà, dalla gioia nasce l’affanno, sia che la memoria della gioia passata formi l’angoscia del presente, sia che le angosce che esistono prendano origine dalle estasi che avrebbero potuto essere.
***
È la verità! Sono nervoso, sono stato e sono molto, molto, terribilmente nervoso; ma perché volete dire che sono un pazzo? Il male ha affinato i miei sensi, non distrutti, non annientati. Più di chiunque altro avevo avuto acuto il senso dell’udito. Ho ascoltato tutte le voci del cielo e della terra. Molte ne ho intese dall’inferno. Per questo sono pazzo? Uditemi! e osservate con che precisione, con che calma io posso narrarvi tutta la storia.
Non è possibile dirvi come in principio l’idea entrò nel mio cervello; ma una volta concepita, essa mi possedé giorno e notte. Non v’era né scopo né passione. Io amavo il vecchio, non mi aveva mai colpito. Non mi aveva mai insultato. Non desideravo affatto il suo oro.
***
Vi sono poche persone, anche fra i pensatori più calmi, che non siano qualche volta state prese da una vaga, ma emozionante semicredulità nel soprannaturale, a causa di coincidenze d’un carattere apparentemente così meraviglioso che l’intelletto era incapace di ricevere come semplici coincidenze.
***
Mi pareva di essere vicino a capire, senza riuscire però a capire; come capita di essere vicini a ricordare e non riuscire a ricordare.
***
Tanto cocciuta è la gente da disprezzare tutto ciò che sappia di semplicità.
***
Terrore e suspense si addicono alla brevità del racconto.
***
L’intelletto trascura le considerazioni più ovvie.
***
A volte, ahimè, la coscienza degli uomini si carica di un fardello tanto orribile che riusciamo a liberarcene solo nella tomba. Così l’essenza del crimine rimane avvolta nel mistero.
***
Ti amo con un amore che è più dell’amore.
***
Ascolta, soffice, in un soffio, la voce di chi ti ama fluttuerà nella notte, e nel tuo sonno, i nostri pensieri si congiungeranno.
***
Dichiarare la propria viltà può essere un atto di coraggio.
***
Sono giovane e sono poeta (se l’amore per il Bello può rendere poeti) e desidero esserlo. Io sono irrimediabilmente poeta.
***
Dubito che l’ingegnosità umana possa costruire un enigma che l’ingegnosità umana, con attenzione e pazienza, non possa risolvere.
***
Non nella conoscenza è la felicità, ma nell’acquisizione della conoscenza.
***
Fantasticare infaticabilmente per lunghe ore con l’attenzione fissa su qualche frivolo fregio marginale, o su qualche anomalia tipografica di un libro; incantarmi durante quasi un’intera giornata estiva nello studio di un’ombra insolita cadente di sghimbescio sulla tappezzeria o sull’uscio; perdermi per notti intere a contemplare la ferma fiamma di una lampada, o le braci del camino; sognare per giorni e giorni intorno al profumo di un fiore; ripetere monotonamente parole comuni sinché il loro suono, a forza di essere ripetuto, cessava di rappresentare alla mente un’idea purchessia; perdere ogni sensazione di movimento o di esistenza fisica, grazie a una totale rilassatezza del corpo mantenuta a lungo e ostinatamente; queste tra le tante erano le più comuni e meno perniciose divagazioni prodotte da uno stato delle mie facoltà mentali non ancora in verità del tutto ineguagliato, ma che certo sfidava una qualunque possibile analisi o spiegazione.
***
E tutto quello che ho amato, l’ho amato da solo.
***
Mascalzoni! – urlai, – smettetela di fingere! Confesso il delitto! Togliete quelle tavole! Qui! Qui! È il battito del suo odioso cuore.
***
Silenzio
Vi sono qualità – incorporee essenze,
cui è data come una duplice vita, che è poi
emblema della doppia entità che sempre scocca
da materia e luce, in solida forma e in ombra.
Vi è un silenzio che è duplice – mare e riva –
corpo e anima. Abita l’uno in solitari luoghi,
ricoperti d’erba recente: qualche solenne grazia,
umane memorie e una lacrimata sapienza
gli han tolto ogni terrore. Il suo nome è Mai più.
E’ quello il silenzio corporeo: non devi paventarlo!
Non ha potere in se stesso di nuocere.
Ma se mai un incalzante fato (intempestiva
sorte!) ti portasse a incontrare la sua ombra,
(un elfo è, senza nome e frequenta solinghe plaghe,
mai calpestate dal piede di un uomo),
oh, allora, raccomandati a Dio!
***
Il Corvo
Siano queste parole d’addio” alzandomi gridai
“uccello o creatura del male, ritorna alla tempesta,
Alle plutonie rive e non lasciare una sola piuma in segno
Della tua menzogna. Intatta lascia la mia solitudine,
Togli il becco dal mio cuore e la tua figura dalla porta”
Disse il Corvo: “Mai più
E quel Corvo senza un volo siede ancora, siede ancora
Sul pallido busto di Pallade sulla mia porta.
E sembrano i suoi occhi quelli di un diavolo sognante
E la luce della lampada getta a terra la sua ombra.
E l’anima mia dall’ombra che galleggia sul pavimento
Non si solleverà “Mai più” mai più.
***
Solo
Fanciullo, io già non ero
come gli altri erano, nè vedevo
come gli altri vedevano. Mai
derivai da una comune fonte
le mie passioni – nè mai,
da quella stessa, i miei aspri affanni.
Nè il tripudio al mio cuore
io ridestavo in accordo con altri.
Tutto quello che amai, io l’amai da solo…
***
N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web, quindi considerati di pubblico dominio, usati a scopo meramente didattico o decorativo e appartenenti a Google, a Pinterest, a youtube e ai legittimi proprietari. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo lacapannadelsilenzio@yahoo.it e saranno immediatamente rimossi.

Free Piano
Your home is valueble for me. Thanks!?This website is mostly a stroll-via for the entire info you wanted about this and didn’t know who to ask. Glimpse here, and you’ll undoubtedly discover it. Free Japan
Ask to google. You have to insert a plugin to allow people comments.
Bye for now.
[…] appare leggermente cinica. Nello stesso anno comincia a tradurre lo scrittore americano Edgar Allan Poe, autore da lui stimato e a cui dedicherà alcuni saggi. Comincia una relazione con l’attrice […]
[…] capolavoro “La lettera scarlatta“, Nathaniel Hawthorne, contemporaneo di Melville e Poe, ha apportato un notevole contributo alla letteratura statunitense grazie ad un’indagine […]
[…] e visita spesso il museo del crimine di Scotland Yard. La lettura di grandi autori del calibro di Edgar Allan Poe e Gustave Flaubert si accompagna ad un’altra grande passione. Una passione che lo […]
[…] con la lingua inglese e la sua passione per la lettura, che spazia da Charles Baudelaire a Edgar Allan Poe, gioca un ruolo fondamentale non solo nella sua vita, ma anche nel suo lavoro. Già a tredici anni […]
[…] non provo orrore del pericolo che per la sua conseguenza sicura: il terrore.– Edgar Allan Poe(Ph. […]
[…] Allende, Mistral, Melchor, Neruda, Soyinka, Mahfouz, Mishima, Murakami, Gibran, Tagore, Steinbeck, Poe, Hawthorne, Melville, Hemingway, Fitzgerald, Salinger, Pamuk, Hikmet, Adichie e tanti altri ancora. […]