«Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perché. I loro desideri hanno le forme delle nuvole.»
Charles Baudelaire
Fin da giovanissima, a causa della mia insaziabile curiosità, unita all’obiettivo di imparare almeno due lingue straniere, ho nutrito una profonda passione per i viaggi e ho cominciato a girare il mondo in modo del tutto autonomo per la mia naturale avversione nei confronti dei pacchetti turistici.
L’irrefrenabile desiderio di immergermi nella cultura di un paese fino in fondo e la sola idea di incamminarmi su sentieri sconosciuti assaporando lentamente paesaggi, odori e colori totalmente estranei, mi procurava un senso di benessere e mi è sempre apparso l’unico modo di penetrare profondamente un paese straniero.
Gli orari da rispettare e gli itinerari prestabiliti con soste cronometrate cozzavano e seguitano a farlo con il mio modo intendere un viaggio: un veicolo di rinnovamento personale finalizzato a superare i confini per fondersi con popoli di culture diverse.
Non condanno di certo chi considera il viaggio un modo per rilassarsi e preferisce percorsi condivisi per evitare improvvisazioni e ostacoli che spesso possono essere molto faticosi. Ognuno di noi ha un’idea personale dello svago e dell’evasione.
Mi permetto solo di darvi alcuni consigli per scongiurare il pericolo di annoiarvi o stressarvi. Bastano pochi accorgimenti per far sì che il viaggio, lungo o breve che sia, diventi veramente un percorso di crescita rigenerante.
Primo consiglio
Non è di certo necessario scervellarsi nel cercare una meta che comporti rischi elevati per provare forti emozioni.
Spesso chi si avventura in modo del tutto autonomo in certi paesi da bollino rosso non è altro che un comune essere umano ossessionato dal desiderio di distinguersi dalla massa per poi, al suo ritorno, sfoggiare quel “percorso alternativo“.
Nel caso si voglia proprio sperimentare l’emozione di un viaggio in un paese poco sicuro è meglio affidarsi ad un’agenzia che preveda una guida affidabile del luogo scelto.
Secondo consiglio
Piuttosto che un freddo e anonimo albergo in cui si ha la certezza matematica di non poter avere alcun contatto con la gente del luogo, sarebbe meglio optare per un appartamento o un B&B ( generalmente gestiti da persone del luogo) in modo da conoscere la vita del quartiere e i negozi in cui normalmente fanno acquisti gli abitanti della zona.
Terzo consiglio
Da evitare il più possibile i negozi di souvenir e non solo perché i prezzi sono più alti rispetto alle piccole botteghe di artigiani, ma anche per evitare la delusione di portarsi a casa un oggetto reperibile in qualsiasi parte del mondo, persino di fronte casa vostra.
Quarto consiglio
Se avete a disposizione un numero limitato di giorni non cadete nel tranello del voler vedere tutto in poco tempo. Assaporate con calma il luogo che avete deciso di visitare, godendovi ogni singolo istante di questa nuova esperienza.
Quinto consiglio
Cercate piccoli ristoranti tradizionali, negozi di artigianato locale e chiedete suggerimenti alla gente del luogo. Sì! Non esitate ad intraprendere una chiacchierata con la signora carica di pacchi della spesa che attende l’autobus o con uno dei passeggeri della metropolitana accanto a voi: vi si prospetteranno esperienze molto significative, un piacevole interscambio vicendevole di conoscenze.
Sesto consiglio
Che siate o no credenti poco importa. I luoghi di culto aiutano a conoscere meglio un popolo. Non vi limitate ad ammirare le chiese e le moschee segnalate dalle guide turistiche. Scegliete un giorno in cui trascorrere un po’ di tempo nell’assistere ad una celebrazione del luogo, evitando accuratamente i luoghi di culto turistici. Se andate, ad esempio, ad Harlem, recatevi in una chiesetta frequentata abitualmente dagli abitanti del quartiere che, per ovvie ragioni, evitano per lo più di pregare in quelle chiese in cui vengono indirizzati i turisti. In queste ultime, infatti, correte il rischio d’imbattervi in una messa artificiosa creata ad hoc per stupire gli stranieri e non avrete nemmeno la possibilità di scambiare due chiacchiere con il pastore che ha celebrato la funzione.
Settimo consiglio
Se visitate le grandi città in modo autonomo, vi potrà capitare di entrare in un quartiere degradato frequentato da gangs, alcolisti, drogati ed emarginati sociali. Non meravigliatevi se vi osserveranno di sfuggita e si lanceranno occhiate significative tra loro. E non sottovalutate il pericolo a cui potrete andare incontro. Un buon metodo per mostrar loro di non avere alcuna paura, metodo personalmente sperimentato, è quello di avvicinarsi sorridendo e chiedere gentilmente un’informazione, anche se non ne avete alcun bisogno. Vi assicuro che funziona e nella maggioranza dei casi, stupiti del vostro modo di porgervi, vi aiuteranno in tutti i modi possibili per darvi le giuste indicazioni.
In conclusione…
Il viaggio non è una moda, né una costrizione o, peggio ancora, uno status symbol. Scegliete una meta che vi affascina veramente e non volta a stupire colleghi e amici.
Se visitate per esempio l’Egitto, non soffermatevi nei luoghi più “in”. Troverete una copia di quel mondo da cui volevate allontanarvi per un po’ di tempo e il sogno di conoscere culture diverse si dileguerà in pochi giorni.
Viaggiare è anche un modo di smarrire la propria identità, perdersi in luoghi sconosciuti e sentirsi parte dell’umanità e non di uno stato dai confini delimitati dai nostri predecessori. Tutto il resto può essere definito con una sola parola: turismo.
Difficile non condividere il pensiero dello scrittore francese Urbain: «Il viaggio modifica profondamente l’esperienza della sedentarietà. La persona che rientra da un viaggio non si pensa più come un sedentario ristabilito nel suo stato, ma piuttosto come un nomade provvisoriamente sedentarizzato.»
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