Bernardo Bertolucci è stato un regista straordinario, in grado di trasformare il cinema in una vera e propria poesia visiva. Ha saputo intrecciare emozioni profonde, tematiche politiche e introspezione con una grazia ineguagliabile. Le sue opere non si limitano a raccontare storie, ma si avventurano nell’animo umano, esplorando desideri, contraddizioni e rivoluzioni sia personali che collettive. Dall’erotismo provocatorio di “Ultimo tango a Parigi” all’epicità di “Novecento“, fino al trionfo mondiale de “L’Ultimo Imperatore“, che gli è valso ben nove premi Oscar, ogni suo film rappresenta un viaggio potente e affascinante. Innovatore e visionario, Bertolucci ha saputo infondere al cinema un linguaggio nuovo, capace di emozionare e far riflettere, lasciando un’eredità indelebile nel panorama cinematografico globale.
Figlio del poeta Attilio, nasce nei dintorni di Parma il 16 marzo del 1941. Regista e sceneggiatore di enorme talento, riesce a portare sul grande schermo le contraddizioni del mondo contemporaneo racchiudendole nei protagonisti dei suoi film, di cui riesce a trasmetterne quell’interiorità fragile e inadeguata a sostenere il peso della vita.
Il suo interesse per il mondo del cinema sorge già da adolescente, quando con una piccola cinepresa realizza i suoi primi cortometraggi. Trasferitosi poi a Roma con la famiglia, si iscrive alla Facoltà di Lettere Moderne e sembra inizialmente intraprendere lo stesso percorso paterno: si dedica alla poesia e nel 1962 vince il “Premio Viareggio Opera Prima” per il libro in versi “In cerca del mistero“. Eppure l’amore per il cinema, mai sopito, continua a fermentare a dispetto del suo successo letterario. Aiuto regista di Pasolini per il film “Accattone“, gira il suo primo film lo stesso anno in cui vince il premio per la sua raccolta di poesie. Tratto da un soggetto di Pier Paolo Pasolini, “La commare secca“, descrive il mondo degli emarginati e si può considerare una mera sperimentazione. Quello stile che lo contraddistinguerà e influenzerà i maggiori registi del mondo sarà messo in luce dal film realizzato nel 1964, “Prima della Rivoluzione“, in cui il regista si distacca dal modello pasoliniano e si avvicina alla “Nouvelle Vague“ che trova il suo massimo esponente in Jean-Luc Godard.
In “Prima della Rivoluzione”, nella crisi ideologica del protagonista, si delinea l’orientamento politico comunista del regista.
«Sono una pietra, non cambierò mai. Ho la febbre: la nostalgia del presente, ma il mio futuro da borghese è nel mio passato da borghese. Così, per me, l’ideologia è stata una vacanza. Credevo di vivere gli anni della rivoluzione, invece vivevo gli anni prima della rivoluzione, perché è sempre prima della rivoluzione che si è sempre come me».
In questo pensiero si schiude in tutta la sua grandezza il travaglio interiore e la debolezza che affligge i personaggi dei film di Bertolucci, incapaci di lottare fino in fondo per quel che già ben presto comprendono si tratti di un sogno irrealizzabile.
Il successo internazionale arriva con “Il conformista“, tratto dal romanzo di Alberto Moravia, e candidato all’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale.
Il protagonista, interpretato da Jean-Louis Trintignant, che con la sua riservatezza e incapacità di guardare la gente negli occhi, vende se stesso per raggiungere il potere e annientare quella parte di sé profondamente diversa dalle azioni commesse. Nel lasciar annegare il suo vero io, di cui prova una profonda vergogna, il “conformista” riesce mirabilmente a rappresentare la banalità del male in modo notevolmente drammatico, pur nell’apparente quiete dei suoi gesti.
La morbidezza della macchina da presa e un cast eccezionale tratteggiano il destino universale di un comune mediocre a cui il fascismo dona un caldo conforto al suo terrore di essere diverso dalla massa. Nel sarcasmo di quel nauseante fascismo quotidiano che spesso avvolge gli uomini dando loro un tiepido e rassicurante rifugio si evidenzia lo stile inconfondibile del regista che già con “Prima della Rivoluzione” aveva posto in risalto l’ambiguità esistenziale e politica dei suoi personaggi.
Nel 1972, con la pellicola cult “Ultimo tango a Parigi“, il nome di Bernardo Bertolucci diventerà noto in tutto il mondo. Il caos esistenziale di uno dei film più drammatici della storia del cinema esprime potentemente il disagio di due amanti di notevole differenza di età, interpretati rispettivamente da Marlon Brando e da Maria Schneider, che sperimentano un erotismo estremo senza voler sapere nulla l’uno dell’altro. E la loro incomunicabilità trova sfogo attraverso amplessi che sembrano voler esorcizzare la loro inquietudine verso una vita dal significato ignoto. Film lungimirante, viene ritirato dalle sale e mandato al rogo con una sentenza della Cassazione. Fortunatamente viene conservata una copia grazie alla decisione del Presidente della Repubblica. Al regista, condannato a due mesi di carcere per offesa al comune senso del pudore, viene impedito di esercitare il diritto di voto per cinque anni.
L’ambiguità di sentimenti contrapposti di amore-odio, passione-disgusto e amore-morte, vengono sviscerati nella loro forma più tragica e coinvolgono un pubblico entusiasta che supera i quattordici milioni di persone.
“Ultimo tango a Parigi” sarà poi riabilitato nel 1987. Ricordo ancora le file di giovani incuriositi di conoscere la storia di due personaggi annientati dalla vita ma la cui visione fu proibita per anni con un clima da Santa Inquisizione che suscitava risolini idioti in chi non aveva compreso la grandezza del messaggio del regista e aveva preferito soffermarsi solamente su qualche scena scabrosa del film. Meglio stendere un velo pietoso su quei falsi moralisti che non hanno opposto alcuna resistenza al sequestro della pellicola e accettavano allegramente la proiezione di film pornografici in molte sale cittadine.
Nel 1976, Bertolucci realizza l’epico “Novecento“, una metafora di mezzo secolo percorsa attraverso il rapporto tra due ragazzi di differenti classi sociali e suddivisa in due atti. Nel cast compaiono attori prestigiosi del calibro di Robert De Niro, Gerard Dépardieu, Burt Lancaster e Donald Sutherland.
Con i film successivi, in cui l’esigenza di intimismo poetico del regista si avverte maggiormente, la fama di Bertolucci subisce una battuta d’arresto. “La luna” e “La tragedia di un uomo ridicolo“, entrambi meritevoli di attenzione, vengono stroncati dalla critica e non incontrano il favore del pubblico.
Grazie a “L’ultimo imperatore” (1986), visivamente ammaliante e tormentoso, il nome del regista torna alla ribalta internazionale e il film, che narra la solitudine dell’ultimo imperatore della dinastia Ching, ottiene ben nove premi Oscar tra cui la miglior regia. Molti altri sono stati i premi assegnati ma, nonostante il successo del film, non si rileva quell’intimismo che caratterizza la maggioranza della sua produzione cinematografica.
Intimismo che invece riaffiorerà in altri suoi successivi film che meritano una particolare menzione.
Tra questi bisogna ricordare l’amaro “Il tè nel deserto” del 1990, interpretato da Debra Winger e John Malkovich, che narra l’inesorabile e struggente agonia di un amore tra due artisti in crisi in cui s’intromette un danaroso e superficiale amico della coppia. Il vuoto esistenziale dei tre protagonisti in quel lungo viaggio che li condurrà nella profondità del deserto sahariano, si concluderà tragicamente.
Indimenticabili le parole finali dell’autore del romanzo, Paul Bowles, da cui è tratto il film e che forse dovremmo ascoltare e rileggere più spesso.
«Poiché non sappiamo quando moriremo si è portati a credere che la vita sia un pozzo inesauribile, però tutto accade solo un certo numero di volte, un numero minimo di volte. Quante volte vi ricorderete di un certo pomeriggio della vostra infanzia, un pomeriggio che è così profondamente parte di voi che senza neanche riuscireste a concepire la vostra vita? Forse altre quattro o cinque volte, forse nemmeno. Quante altre volte guarderete levarsi la luna? Forse venti. Eppure tutto sembra senza limite».
Nel 2003 Bernardo Bertolucci realizza un altro film indimenticabile, una personale rivisitazione del maggio francese del 1968. Realizza infatti un lungometraggio che riscuote un enorme successo soprattutto tra i giovani, desiderosi di conoscere quella parte di storia spesso raccontata in modo asettico e distaccato nelle aule scolastiche. Mi riferisco a “The Dreamers“, piccolo capolavoro che riesce ad immergere in modo sublime lo spettatore in quel breve periodo di lotte e contestazioni giovanili la cui degenerazione e disincanto hanno contribuito a far ripiombare nell’immobilismo e nella ripetizione ciclica di eventi la storia dell’uomo.
Altri saranno i premi assegnati a questo grande regista; nel 2007 gli viene conferito il Leone d’oro alla carriera al Festival di Venezia e nel 2011 gli viene assegnata la Palma d’Oro alla carriera al Festival di Cannes.
Quando gli viene consegnata la Palma d’Oro così commenta: «un premio conferito non da una giuria ma dal Festival, chiamatelo se lo volete un risarcimento, ma insomma qualcosa che celebra il lungo film complessivo che è stata la mia carriera. Lo dedico agli italiani che hanno ancora la forza di indignarsi».
L’anno seguente esce il film “Io e te“, tratto dall’omonimo romanzo breve di Niccolò Ammaniti. Ancora una volta il tema intimistico emerge in Bertolucci, concentrato sulla storia di un introverso adolescente, affetto da un disturbo narcisistico della realtà e che lo porta a non volersi mescolare alla massa perché ritiene di essere superiore agli altri. Il film racconta la storia di Lorenzo, un ragazzo di quattordici anni che decide di ritirarsi dal mondo, trovando rifugio nella cantina di casa sua. Tuttavia, la sua solitudine viene interrotta dall’arrivo improvviso di Olivia, la sorellastra ribelle e problematica, che lo trascinerà in un confronto emotivo tanto inaspettato quanto necessario.
Il nostro regista, con la sua inconfondibile eleganza visiva, avvolge la narrazione in un’atmosfera ricca di malinconia, permettendo che siano i piccoli gesti e le confessioni sussurrate a rivelare il dolore e il desiderio di appartenenza dei protagonisti. Le interpretazioni intense e genuine di Jacopo Olmo Antinori e Tea Falco danno vita a un film che esplora temi di solitudine, legami sospesi e il delicato passaggio verso l’età adulta. “Io e te” si presenta come un dolce e toccante addio cinematografico, un ultimo abbraccio da parte di un maestro che, ancora una volta, riesce a raccontare le sfumature dell’animo umano con straordinaria sensibilità.
Costretto da qualche anno su una sedia a rotelle a causa di un rovinoso intervento chirurgico alla schiena, non perde il senso dell’umorismo e commenta scherzosamente che ormai è un uomo da “restaurare“.
Bernardo Bertolucci si spegnerà il 26 novembre del 2018.
Di seguito alcuni suoi pensieri.
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(Il cinema) lo chiamerei semplicemente vita. Non credo di aver mai avuto una vita al di fuori del cinema; e in qualche modo è stato, lo riconosco, una limitazione.
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Quando mi chiamano Maestro, vorrei sparire. Sono sempre il ragazzino con la cinepresa, quello della poesia.
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Erano belli i tempi in cui pensavi che con la regia facevi la rivoluzione, belli ma lontanissimi. Con il cinema facevamo politica.
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Di solito l’ultimo giorno di lavorazione (sul set) è anche l’ultimo giorno di una grande amicizia. Ci si perde dopo storie di una tale intensità, che sono quasi storie d’amore.
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E non occorre organizzare nulla perché, a partire dal momento in cui si monta un piano dopo l’altro, ecco che si incontrano delle metafore.
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E Godard, che girava due o tre film all’anno, era l’autore che ci rappresentava meglio, con la sua severità un po’ calvinista e la sua capacità di tenere il mondo e quel che scorreva intorno nell’incavo delle sue mani.
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Ma filmare è vivere, e vivere è filmare. È semplice, nello spazio di un secondo guardare un oggetto, un volto, e riuscire a vederlo ventiquattro volte. Il trucco è tutto qui.
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Quando il cinema è veramente Arte. Grandissimo regista, probabilmente più conosciuto all’estero che in Italia. Non sapevo che Bertolucci fosse stato pure arrestato per oscenità a causa dell’Ultimo Tango a Parigi. Difficile da credere…
Un caro saluto!
La pena è stata poi sospesa, ma il regista è stato privato dei propri diritti politici per ben cinque anni.
Che dire? Forse la soglia del pudore era particolarmente bassa in quel periodo. Il magistrato che ne aveva ordinato il sequestro, ha dichiarato di aver apprezzato il film dal punto di vista artistico e che oggi non ripeterebbe quell’azione.
Ciao, Marina 🙂
[…] controverso e drammatico “Ultimo tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci (1972), sebbene oggetto di scandalo e antistoriche polemiche, in particolar modo in Italia, che il […]
[…] “Poiché non sappiamo quando moriremo si è portati a credere che la vita sia un pozzo inesauribile, però tutto accade solo un certo numero di volte, un numero minimo di volte. Quante volte vi ricorderete di un certo pomeriggio? Un pomeriggio che è così profondamente parte di voi che senza, neanche riuscireste a concepire la vostra vita, forse altre quattro o cinque volte, forse nemmeno. Quante altre volte guarderete levarsi la luna, forse venti. Eppure, tutto sembra senza limite.”Da “Il tè nel deserto” di Bernardo Bertolucci […]