I Macchiaioli. Le collezioni svelate _ Mostra a Roma

«Credo che l’artista bisogna lasciarlo libero nelle sue manifestazioni di produrre le bellezze della natura».
Giovanni Fattori

"Tramonto sul mare" (1890-1895), Giovanni Fattori

“Tramonto sul mare” (1890-1895), Giovanni Fattori

È iniziata il 16 marzo e si concluderà il 4 settembre 2016, al Chiostro del Bramante di Roma, la mostra dedicata al gruppo di pittori noti come “macchiaioli“. Oltre 11o opere rare provenienti da collezioni private sono esposte in un percorso di 9 sezioni che recano il titolo di provenienza. Qui si possono trovare tutte le informazioni inerenti a questa singolare mostra che consente di conoscere e di rivalutare uno dei movimenti artistici italiani più interessanti della ricerca pittorica.

"Le monachine" (1860), Vincenzo Cabianca

“Le monachine” (1860), Vincenzo Cabianca

Sorto a Firenze nel 1855, il movimento anti-accademico dei macchiaioli si propose di affermare una nuova arte, fondata sull’osservazione diretta della realtà, tentando di rendere, così come scrisse Adriano Cecioni, artista e teorico del gruppo, che si riuniva in una saletta del Caffè Michelangelo, «le impressioni che ricevevano dal vero, col mezzo di macchie di colori, di chiari e di scuri». Il termine “macchiaioli” venne coniato nel 1862 da un critico della «Gazzetta del Popolo» che, con chiari fini sarcastici, così come accaduto con gli impressionisti, guardava con malcelata irritazione il sorgere di una corrente artistica palesemente in contrasto con la tradizione accademica.

"La raccolta del fieno in Maremma" (1867-1870) di Giovanni Fattori

“La raccolta del fieno in Maremma” (1867-1870) di Giovanni Fattori

Formato da giovani ribelli che sognavano l’indipendenza italiana, e di cui molti di loro avevano preso parte alla campagna di Lombardia (1848) e alla difesa di Venezia, Bologna e Roma (1849), il gruppo si riuniva in quel caffè ubicato in via Larga (oggi via Cavour) confrontandosi tra loro nell’ostinata determinazione di riformare in senso “europeo” la pittura in voga in quel momento.

"Piagentina" (1862 circa), Telemaco Signorini. Galleria d'Arte Moderna, Firenze.

“Piagentina” (1862 circa), Telemaco Signorini.
Galleria d’Arte Moderna, Firenze.

Nel seguente acquarello viene raffigurata dal pittore Adriano Cecioni una di quelle entusiastiche riunioni così descritte dallo stesso artista: «Quando la discussione sull’arte si faceva più animata, gli artisti che formavano gli altri crocchi si accostavano al tavolino dei battaglieri, alcuni prendendo parte alla discussione, altri rimanendo passivi ascoltatori; e questi, poi, ritornando sulle cose udite, facevano tra loro delle discussioni separate. Era un corbellare, fine e reciproco, ora gli entusiasmi quarantottini del Lega, ora il pizzo del Cabianca, la bazza del Fattori, la bocca del Signorini, gli occhiolini del Rivalta e il nasone di Nino Costa…Poi tra le risate nasceva una discussione, colla quale si mettevano in rilievo tutti i torti dell’arte greca, e si terminava mettendo in ridicolo le opere più rinomate, principiando dall’Apollo del Belvedere…» (Tratto dal libro “I macchiaioli” di Raffaele Monti).

"Il Caffè Michelangelo" di Adriano Cecioni

“Il Caffè Michelangelo” di Adriano Cecioni

E lì, proprio in quella saletta, i futuri macchiaioli maturarono un’innovativa opinione artistica oltrepassando i confini della provincia e cercando di conoscere direttamente o indirettamente quello che stava accadendo in Francia.

"Marina a Viareggio" (1860), Telemaco Signorini.

“Marina a Viareggio” (1860), Telemaco Signorini.

Per poter attuare il desiderio di creare una nuova arte realista, i macchiaioli usavano un modo di dipingere definito “a macchia“, una singolare tecnica basata sull’accostamento di macchie di colore senza però unirle o mescolarle tra loro.
In uno dei dipinti più conosciuti di Giovanni Fattori, uno degli esponenti di spicco di tale movimento, si può notare non solo lo stile che contraddistingue la ricerca pittorica dei macchiaioli, ma anche l’attenzione nei confronti della situazione politica di quel momento. Il quadro in questione è “Soldati francesi del ’59“, la prima prova macchiaiola dell’artista menzionato.

"Soldati francesi del '59" (1859), Giovanni Fattori

“Soldati francesi del ’59” (1859), Giovanni Fattori

I macchiaioli, dopo accurate osservazioni e confronti, giunsero alla conclusione che le immagini da noi viste non sono distinte tra loro da una linea di contorno, ma ci appaiono sotto forma di macchie di colore diverse o accostate ad altre macchie di colore. La luce, strumento fondamentale della nostra percezione visiva, illumina gli oggetti e ne rimanda l’immagine sotto forma di colore.

"I fidanzati" (1869), Silvestro Lega

“I fidanzati” (1869), Silvestro Lega

Il colore rimandato ai nostri occhi si presenta come una macchia e forma la nostra prima impressione, la nostra maniera di entrare in contatto con il mondo che ci circonda. Per tale ragione, i pittori possono restituire l’immagine della realtà solo sotto forma di composizioni a macchie di colore.

Giovanni Costa - Tramonto sull'Arno

Giovanni Costa – Tramonto sull’Arno

Il gruppo di artisti, riunitosi sin dal 1850 con lo scopo di raccogliere il disagio e le polemiche verso l’arte tradizionale, solo cinque anni dopo, con il ritorno da Parigi di alcuni di loro, comincerà a sperimentare sulla tela le nuove relazioni tra i colori ed una visione prospettica edificata attraverso i contrasti di luce e di ombre che apriranno la strada alla nascita di un nuovo movimento di breve durata, ma estremamente interessante.

"L'ora del riposo" di Giuseppe Abbati

“L’ora del riposo” di Giuseppe Abbati

Il contatto con artisti parigini come Eugéne Delacroix e Alexandre-Gabriel Decamps, insieme alla conoscenza dei pittori della scuola di Barbizon, scosse l’interesse degli artisti più attivi che frequentavano il caffè Michelangelo. Il soggiorno di Edgar Degas a Firenze diede un’ulteriore spinta a quella ricerca della luce che contraddistinse la loro pittura, principalmente fondata da quella che essi stessi denominavano “a effetto di sole.

"Tetti al sole" (1861), Raffaello Sernesi

“Tetti al sole” (1861), Raffaello Sernesi

Il dipinto “Tetti al sole” di Raffaello Sernesi ben evidenzia la ricerca operata dai macchiaioli in quella piccola veduta di casette anonime immerse in un’atmosfera pacata e luminosa che rimanda all’osservatore le “impressioni” dell’artista dinnanzi a quel tentativo, ben riuscito, di riportare sulla tela la natura così come gli appare. Con pennellate brevi e con l’utilizzo di ombre che stilizzano le forme degli edifici, irrompe in tutta la sua bellezza quello stile macchiaiolo che rigetta i contorni e costruisce le figure ritratte tramite la luce. È proprio la luce, secondo quei nuovi artisti patriottici, la rivelatrice assoluta del colore, della profondità e della nitidezza delle immagini a noi pervenute.

"Cucitrici di camicie rosse" (1863), Odoardo Borrani

“Cucitrici di camicie rosse” (1863), Odoardo Borrani

Oltre a rigettare i contorni, i macchiaioli furono i primi ad eseguire la maggioranza delle loro opere “en plein air” e a sottrarsi a quel diktat accademico di ritrarre soggetti celebrativi e religiosi. La semplicità della vita quotidiana diventa protagonista dei loro dipinti che, inizialmente trae ispirazione dalla pittura francese dipingendo le figure oggetto d’ispirazione riflesse in uno specchio annerito con il fumo, in modo da esaltare i contrasti del chiaroscuro e non lasciando più intravedere i contorni, per poi approdare alla pittura cosiddetta “a macchia” che racchiude le impressioni visive osservate nella vita reale.

"Le gramignaie al fiume" (1896), Niccolò Cannicci

“Le gramignaie al fiume” (1896), Niccolò Cannicci

Così come accade con tutti i movimenti artistici, anche i macchiaioli subiranno, con il passare del tempo, evoluzioni di stile che li condurranno ad elaborare caratteristiche personali. Tuttavia nessuno di essi abbandonerà mai “l’impressione dal vero“.

Accusati di aver ridotto i dipinti a mere bozze e ad una mescolanza disarmonica di macchie, i nostri artisti trovarono il sostegno di raffinati collezionisti del periodo che non solo apprezzarono l’innovazione di quegli accostamenti cromatici, ma ne acquistarono anche le opere. Grazie a questi intenditori d’arte oggi possiamo conoscere il più importante periodo pittorico dell’Ottocento italiano.

"Luna di miele" (1862), Telemaco Signorini

“Luna di miele” (1862), Telemaco Signorini

Ed è anche dedicata a questi grandi collezionisti la mostra allestita a Roma che prevede, tra le altre, opere non ancora conosciute dal grande pubblico. Viene finalmente dato spazio ad artisti italiani che, secondo il parere di alcuni studiosi, hanno influenzato notevolmente il movimento degli impressionisti francesi, grazie alle loro frequenti visite a Parigi.

Federico Zandomeneghi, "Place du Tertre", 1880

Federico Zandomeneghi, “Place du Tertre”, 1880

Nell’ottava sezione è possibile vedere alcune opere create dagli impressionisti accostate a dei dipinti macchiaioli. È il caso del dipinto di Federico ZandomeneghiPlace du Tertre” accanto al quadro “Place de la Concorde” di De Nittis. Tutte le opere di tale sezione appartengono ad un noto collezionista dai numerosi interessi, Camillo Giussani.

"Place de la Concorde" (1875) di De Nittis

“Place de la Concorde” (1875) di De Nittis

Un omaggio particolare viene reso anche al collezionista Mario Borgiotti che riuscì a recuperare sul mercato britannico una straordinaria opera di Telemaco Signorini, “Il Ponte Vecchio a Firenze” (1879)

"Il Ponte Vecchio a Firenze" (1879), Telemaco bartolini

“Il Ponte Vecchio a Firenze” (1879), Telemaco Signorini

Un’occasione, dunque, imperdibile quella della mostra allestita a Roma, un’occasione unica per poter ammirare quadri noti e meno noti di quell’indimenticabile, e per troppo tempo ignorato, movimento dei macchiaioli, di cui pubblico la foto di altre tre opere, sicuramente più conosciute e che contribuiscono a rendere in modo ancora più chiaro lo stile peculiare di questi grandi artisti.

"La rotonda di Palmieri" (1866), Giovanni Fattori.

“La rotonda di Palmieri” (1866), Giovanni Fattori. Galleria d’Arte Moderna, Firenze.

Uno degli esempi più interessanti della ricerca macchiaiola si riscontra nel quadro “La rotonda di Palmieri” (1866) di Giovanni Fattori. Le dimensioni del dipinto sono piuttosto piccole (35 cm di larghezza per 12 di altezza), eppure l’artista riesce ugualmente, nonostante lo spazio così ridotto, a rendere l’idea dell’immensità del paesaggio raffigurato. In primo piano appaiono alcune raffinate signore in riva al mare e ciò che colpisce immediatamente noi osservatori è racchiuso in quell’evidente contrasto tra le figure scure delle donne ed il luminosissimo sfondo marino. Figure femminili rappresentate come macchie e che si distinguono tra loro in uno straordinario avvicendamento di tonalità chiare e scure.

"La libecciata" (1880-1885), Giovanni Fattori.

“La libecciata” (1880-1885), Giovanni Fattori.

Sviluppato anch’esso in senso orizzontale, come “La rotonda di Palmieri“, ecco quello che io ritengo il capolavoro assoluto di Giovanni Fattori. Mi riferisco al meraviglioso dipinto “La libecciata“, da me scoperto qualche anno fa. In una prevalenza di tonalità fredde, l’opera ritrae un paesaggio vicino Livorno, con la prospettiva rivolta verso il mare. Intenso ed emozionante, il dipinto riesce, grazie alla maestria dell’artista, a farci percepire il vento di Libeccio che scuote gli alberi ed increspa furiosamente la superficie del mare.

"Il canto dello stornello" (1867), Silvestro Lega. Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Firenze.

“Il canto dello stornello” (1867), Silvestro Lega. Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Firenze.

Concludo con un quadro molto famoso dipinto da Silvestro Lega, il rasserenante “Canto dello Stornello“, raffigurante due giovani donne che cantano, accompagnate con la musica da una ragazza al pianoforte. Illuminate dal paesaggio toscano, che entra attraverso la finestra, vengono ritratte in un momento di familiarità e affetto che infonde in noi osservatori un dolce senso di quiete.
Movimento analogo a quello impressionista, si spense ben presto a causa della mancanza di sistematicità dello studio e soprattutto dal mancato accostamento dei colori complementari che caratterizza la magnifica pittura francese “virgolettata” in costante movimento proprio perché non si limitava a dipingere la realtà così come appariva, ma ne riusciva a cogliere quella fuggevolezza ben somigliante alla nostra vita.

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