Andrea De Carlo, lo sguardo implacabile di un cittadino del mondo

«Mi fa impazzire pensare alle persone sensibili e piene di qualità che odiano il denaro e le industrie e le macchine e il potere, e perché sono sole pensano di essere malate, si sforzano di adattarsi alla realtà e se ne fanno schiacciare. Dobbiamo trovare il modo di raggiungerle, mettere annunci sui giornali di tutto il mondo e parlarne con tutti i mezzi possibili, stabilire contatti».
de carlo 1Scrittore dallo stile inconfondibile e garbato, Andrea De Carlo emerge per la sua capacità di descrivere mirabilmente i tumulti del nostro animo e la difficoltà dell’uomo nel relazionarsi con gli altri.
Considerato uno dei migliori romanzieri contemporanei, nei suoi libri, tradotti in ventisei paesi, riesce ad analizzare i mali della società moderna afflitta da avidità, meschineria, indifferenza e amoralità. Ed il suo pessimismo spesso disorienta e addolora i suoi lettori, confortati però dalla salvifica percezione di non essere gli unici a sentirsi disadattati in un mondo così profondamente arido. Il suo stile narrativo, acuto e provocatorio, che indugia nei particolari più minuziosi, mette implacabilmente a nudo l’ipocrisia dell’uomo usando uno stile contraddistinto da un elemento potentemente visivo, non dissimile alle sequenze cinematografiche.
Artista poliedrico che si distingue anche come fotografo, musicista e pittore, Andrea De Carlo è nato a Milano l’undici dicembre del 1952.
Il suo amore per la scrittura si manifesta già ai tempi del liceo, così come il suo spirito indipendente che lo condurrà a visitare molti paesi tra cui gli Stati Uniti, in cui insegnerà italiano e svolgerà diverse mansioni.
I suoi primi romanzi non trovano un editore disposto a pubblicarli e la stessa fine sembrava destinata a farla anche il terzo, “Treno di Panna, se non avesse ascoltato il suggerimento di alcuni amici che lo invitarono ad inviarlo ad Italo Calvino. Il noto scrittore, infatti, ne scrive l’introduzione e il terzo romanzo di De Carlo viene pubblicato dalla casa editrice Einaudi, riscuotendo un grande successo.
Da quel momento in poi, la sua carriera di scrittore, prosegue senza sosta. Diciotto i romanzi pubblicati e l’ultimo, Cuore Primitivo, è uscito l’anno scorso.
Tuttavia, la sua personalità eclettica, non si ferma alla scrittura e ben note sono le sue collaborazioni con Federico Fellini e Michele Antonioni e l’incisione di due CD.
Nel 2009 si dimette dalla giuria del “Premio Strega“, denunciando apertamente la poca chiarezza nell’assegnazione dei premi letterari.
Molto sensibile riguardo le problematiche ambientali, nei suoi libri viene usata una carta composta da fibre riciclate post-consumo e fibre provenienti da una gestione forestale controllata.
Di seguito alcuni pensieri del noto scrittore.

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Mi sembrava che solo le cose brutte avessero una loro consistenza permanente, che quelle belle tendessero dissolversi con una rapidità imprevedibile.
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È ridicolo. Pensiamo di essere i padroni delle nostre vite, e non è vero. Le uniche cose che possiamo controllare sono marginali, rispetto al resto. Ti fa ridere, altro che piangere, se solo riesci a vederti da una minima distanza. Ti fa venire voglia di muoverti, porca miseria, staccarti di dosso tutta questa lacca di autocompassione.
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E la gente accetta di adattare i propri desideri, farseli snaturare e indirizzare su oggetti, su automobili e vestiti e apparecchi elettronici e giocattoli inutili che servono a far dimenticare cosa è diventato il mondo.
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Lo so come ti senti. È come essere dietro un vetro, non puoi toccare niente di quello che vedi. Ho passato tre quarti della mia vita chiuso fuori, finché ho capito che l’unico modo è romperlo. E se hai paura di farti male, prova a immaginarti di essere già vecchio e quasi morto, pieno di rimpianti.
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Perché tutte le situazioni finiscono, prima o poi, è lo schifo imperfetto della vita.
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Quasi tutto quello che viene prodotto dalle industrie serve solo a dare alla gente ragioni di spendere i soldi che guadagna con lavori che non farebbe mai se non dovesse guadagnare. I negozi sono pieni di accessori inutili e giocattoli che si rompono e vestiti che passano di moda, pure calamite messe sotto gli occhi di chi passa per tenere in movimento la macchina, fare entrare energia umana in circolo.
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Non c’è niente di inevitabile nel mondo così com’è adesso. È solo una dei milioni di forme possibili, ed è venuta fuori sgradevole e ostile e rigida per chi ci vive. Ma possiamo inventarcene di completamente diverse, se vogliamo. Possiamo smantellare tutto quello che abbiamo intorno così com’è, le città come sono e le famiglie come sono e i modi di lavorare e di studiare e le strade e le case e gli uffici e i luoghi pubblici e le automobili e i vestiti e i modi di parlarci e guardarci come sono.
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Scrivere è un po’ come fare i minatori di se stessi: si attinge a quello che si ha dentro, se si è sinceri non si bada al rischio di farsi crollare tutto addosso.
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Ordina un Negroni sbagliato, che le piace per il nome forse ancora di più che per il sapore. Il fatto è che si è sempre sentita sbagliata lei stessa, fin da quando era bambina e viveva con le sorelle nel quartiere sbagliato di Rochester, con una mamma sbagliata e un padre sbagliato che avevano la combinazione etnica sbagliata e i lavori sbagliati. Ha scoperto ben presto di non essere conforme a nessuno standard, e di non poterci rientrare neanche volendo: è una questione mentale e fisica, viene fuori ogni volta che si sforza di appartenere a un contesto.
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L’abitudine italiana degli scambi di abbracci e baci anche tra semplici conoscenti continua a lasciarla leggermente perplessa, non ci si è mai abituata del tutto. All’inizio le sembrava una manifestazione calorosa di espansività mediterranea, ma col tempo ha cominciato a pensare che in fondo si dovrebbero abbracciare e baciare solo le persone con cui esistono autentici legami d’affetto, e che farlo in modo indiscriminato tende a essere una pantomina esasperante, fatta di gesti che evocano sentimenti e li fanno scomparire nello spazio di due secondi.
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Il fatto è che la famiglia è un’istituzione orribile. È un luogo di crimini, riparato dalla legge.
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Le persone più interessanti sono sempre il frutto di situazioni complicate.
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“Le famiglie”, minuscoli teatrini in cui attori scadenti continuano a mettere in scena la stessa pessima rappresentazione, davanti a spettatori ammanettati alle loro sedie.
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Possiamo trasformare la vita in una specie d’avventura da libro illustrato, se vogliamo. Non c’è nessun limite a quello che si può inventare, se solo usiamo le risorse che adesso vengono rovesciate per alimentare questo mondo detestabile.
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Non riesce a credere a quanto siano infantili i nostri impulsi di base: inseguire quello che ci viene negato, scappare da quello che ci viene offerto.
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Continua a guardarsi intorno e a raccogliere dettagli senza volerlo, e non riesce a fare a meno di pensare che comprare un appartamento è anche un po’ comprare la tristezza di chi ci abitava.
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“Siamo stati insieme cinque anni” dice lei. “Succede” dice lui. “Sopratutto quando si ha la tendenza ad attribuire ad altri qualità che non hanno. E quando si investe in qualcuno rinunciando a qualcun altro, e all’intera vita che avevi con lui. Non sei disposta a riconoscere di aver fatto l’investimento sbagliato, neanche di fronte all’evidenza.”
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Una passione si alimenta di quello che non sai di un’altra persona, molto più che di quello che sai.
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È come quando pensi a una parola e continui a pensarci finché non è altro che un suono. Solo che mi succede con la vita.
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Mi chiedevo quali sono i limiti di tolleranza alla fatica e all’esasperazione e all’inutilità che un’amicizia dovrebbe avere prima di diventare una specie di vocazione missionaria o una storia d’amore unidirezionale, equivocata e dissimulata tutto il tempo…
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È inutile che fai finta di essere così perfettamente candido verso il mondo, quando ti prendi tutto quello che vuoi come se ti fosse dovuto.
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Ma non voleva imparare a suonare la chitarra. Diceva che in Italia il rock non si poteva fare; che l’italiano era una lingua troppo rigida e artificiale per cantarla su una musica diversa dall’opera, quelli che ci provavano lo riempivano di imbarazzo e tristezza.
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È come se il destino ti desse una sola possibilità e concentrasse tutto dentro quel momento preciso, e lo facesse diventare così breve che la maggior parte di persone non se ne rende conto, o non è abbastanza pronta da reagire in tempo”.
“E tu?” ha detto lei “te ne rendi conto di solito?”.
“Non c’è un di solito” ho detto “succede una sola volta, se succede”.
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A volte mi sembrava di essere a una distanza terribile dalla vita;
di riuscire a sentirne solo echi e riverberi lontani:
filtrati e adattati, doppiati e interpretati da altri prima di arrivare fino a me.
A volte mi sembrava di essere in esilio, anche se non sapevo da dove, o da quando.
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Una vita è come una faccia.
Chiunque vorrebbe averne una diversa,
almeno ogni tanto, però hai quella che hai, non ci puoi fare niente.
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Cosa ti manca?
Le sensazioni che non provo.
Le cose che non faccio.
Le persone che non incontro.
Le vite che non ho.
È un mondo dove senza possedere delle cose, o sognare di possederle, il senso della vita ti svanisce davanti agli occhi.
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…Era un puro impulso… tradotto in fatto senza nessuna fase intermedia, come può succedere a una persona che guarda in strada affacciata a una finestra e ha tra sè e l’idea di buttarsi una lastra trasparente di impossibilità; e invece un attimo dopo ha la percezione fulminante di essere già oltre il davanzale e a mezz’aria, al di là di qualunque possibile punto di ritorno…
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Le donne a volte hanno questa tendenza a intanarsi, l’idea di controllare il terreno le rassicura. Ma poi la loro tana è piena di oggetti ed echi di gesti e di telefonate e di pensieri passati, possono dissolvere in pochi minuti qualsiasi passione.
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Il momento preciso in cui si passa dal pensiero di un gesto a un gesto compiuto. Quella frazione di secondo piena di incertezza e di paura. Ma è uno dei più piacevoli tipi di paura che ci sono.
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È incredibile quanto durano poco le cose. Hanno un arco così stretto e più le conosci più si restringe, più vedi la fine già dall’inizio. Eppure stiamo al gioco ogni volta. Ogni volta ci sforziamo di crederci.
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Vorrei sapere dove sei questa notte, mentre qui sono le quattro e non riesco ad addormentarmi. Vorrei sapere cosa stai facendo e con chi sei, e che faccia hai, se ti ho già incontrato o ci siamo solo sfiorati qualche volta, se siamo sempre stati distanti senza il minimo punto di contatto. Vorrei sapere se ci incontreremo e quando. Se ci incontreremo troppo tardi o appena in tempo, o ci incontreremo ma non riusciremo neanche a capire che eravamo noi e quanto eravamo importanti uno per l’altra. Io credo che ti riconoscerei subito, anzi sono sicura. Mi basterebbe guardarti negli occhi un attimo per capire chi sei tu, o solo guardarti entrare in una stanza. Mi basterebbe un secondo, o meno. Però adesso dove sei? Adesso che sono così sola triste e senza speranza, dopo tutti questi uomini vili e freddi e mammoni e indifferenti e sadici e semplicemente sbagliati? Dove sei? E ci sei, poi?
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Dice: “Il filo sottile che tiene insieme due persone”.
“Quale filo?” dice lei, come se tornasse a terra da una grande distanza.
“Il filo di tutto quello che le tiene collegate anche quando sono lontane. Anche quando non si vedono e non si parlano.”
“Perché dici il filo?”
“Perché una cosa molto sottile e molto resistente, no? Che puoi anche non vedere, ed è estensibile quasi senza limiti attraverso la distanza e il tempo e l’affollamento delle altre persone che occupano lo spazio e lo attraversano in ogni direzione.”
Lei lo guarda. Lui pensa a quello che succede ogni volta.
E decidono di non sentirsi più e il filo che li collega sembra sul punto di spezzarsi: al senso di vuoto che gli cresce intorno e gli preme sui timpani e gli risucchia l’aria dai polmoni e gli impedisce di stare fermo in un punto.
Dice: “Però non è affatto scontato che ci sia, il filo”.
“No?”
“No. Magari due pensano di essere molto legati, poi appena provano ad allontanarsi scoprono che in realtà stanno benissimo ognuno per conto suo.”
“E allora perché pensavano di essere legati?”
“Perché erano tenuti insieme da una colla di pura abitudine e oggetti e luoghi condivisi e gesti stratificati. E’ una colla così forte da sembrare una saldatura permanente, ma appena uno dei due prova a staccarsi non c’è nessuno filo che lo segua.”
“Che triste.”
“Sì. La maggior parte dei legami sono di questo genere, credo.”
“Come fai a sapere che invece il filo c’è?”
“Quando provi a romperlo, e ti trovi in caduta libera attraverso il senso delle cose.”
“E di cosa è fatto, questo filo?”
“Di uno scambio continuo di domande e risposte. Sguardi, anche solo immaginati. Assonanze e intuizioni e sorprese, curiosità reciproca che non si esaurisce. E similitudini, no? E differenze.”

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de carlo 5
E ho pensato che forse le ragioni della mia infelicità erano dentro di me anziché fuori; che avevo continuato a disamorarmi di ogni donna e lavoro e storia appena accennava a perdere la sua magia iniziale solo perché non ero in grado di sostenere una responsabilità adulta né di interpretare in modo positivo i comportamenti evoluti della nostra specie.
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Giochiamo a fare i rivoluzionari nei nostri piccoli spazi riservati e ci sentiamo pericolosi e importanti e poi alla prima occasione vera torniamo poveri minorenni senza una casa e senza un lavoro e senza soldi, senza la minima possibilità di incidere sulla nostra vita.
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“Non aspettarti che la noia finisca con la fine della scuola. La noia è ovunque, sempre. Non puoi fare a meno di rivederla, se non sei totalmente ottusa.”
“Tipo?”
“Te ne accorgi quando raggiungi uno dei tuoi traguardi. Uno dei tuoi piccoli scopi artificiali, no? Hai appena superato un esame o conseguito chissà quale risultato nel lavoro o nella vita privata, e sei piena di soddisfazione e di sollievo, e di colpo senti questa voce sottile nella testa che dice -E adesso?-. Non dirmi che non ti è mai capitato.”
“Sì.”
“Ma poi ci tendiamo subito verso il prossimo scopo artificiale che vediamo lungo il nostro percorso, cerchiamo di concentrarci su quello…”
“Cosa dovremmo fare invece?”
“Non credo che ci sia niente da fare, a parte ricordarci che i nostri piccoli scopi sono artificiali. Per il resto è giusto che andiamo dietro a quello che ci interessa o che ci diverte, purchè non danneggi gli altri o il mondo nel suo insieme.”
“Però una volta che decidi che tutti gli scopi sono artificiali, come fai a crederci?”
“Non è un’idea così azzerante. Può anche farti venire voglia di dipingere sui muri, o piantare alberi in un giardino. Può farti venire voglia di lasciare tracce interessanti, per quelli che vengono dopo. Può farti buttare via gli orologi e i calendari per liberare lo spazio dal tempo. L’importante è non pensare che ci sia qualcosa di così straordinariamente importante in quello che facciamo.”
“Ma a che cosa serve qualunque cosa, allora?”
“Pura vita.”
“E cos’è la pura vita?”
“Questa.”
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A Milano ho passato uno dei peggiori momenti della mia vita; mi manca ancora il fiato dalla desolazione se ci ripenso. Mi sembrava che l’orizzonte si fosse richiuso in modo definitivo, senza nessuno delle fenditure che avevo continuato a vederci perfino nei momenti più cupi e spenti. Dire che ero disilluso è poco: avevo un esaurimento totale di aspettative.
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… Adesso sono solo dei centri di saccheggio di energie umane, e gli abitanti ricchi e potenti vivono in mezzo ai loro stessi detriti, cercano solo di blindarsi e impermeabilizzarsi più che possono dall’orrore che hanno prodotto, scapparsene lontano alla prima occasione.
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Sei cresciuto con l’idea che ogni spazio vuoto vada colmato da un’attività di qualsiasi genere. Anche solo una qualunque serie di immagini o di suoni. Basta riempire il vuoto, no? Invece la noia ha un ruolo fondamentale. È dalla noia che nascono i sogni, e i desideri, e qualunque tipo di invenzione. Se non ti annoi, non penserai mai niente di interessante.
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Leo, porca miseria, ti rendi conto di quanto ci rinchiudiamo fuori dalla vita, per comodità e per abitudine e per semplice mancanza di occasioni? Di come ci barrichiamo in un angolo, e ci sembra anche di stare bene? Con i cuscini e le poltrone comode e il whisky di malto e i sonniferi per non pensarci? E fuori intanto c’è la vita, e al più ci accontentiamo di immaginarcela, o di guardarla filtrata o imitata in un film o in un libro ogni tanto? La sfioriamo solo, e il tempo passa via mentre noi siamo lì barricati nei nostri soggiorni arredati con tanta cura. Ti rendi conto, Leo, porca puttana?
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L’importante è pensare meno, ricordare e immaginare e aspettare meno. Prendere subito quello che c’è e basta. Vivere il momento, Livio”… “Il momento è tutto, Livio! Ed è l’unica cosa che abbiamo davvero.”
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Eravamo percorsi da impulsi opposti, caldo e gelo e distacco e frenesia; ci sembrava di essere in ritardo su tutto e di essere ancora in tempo per qualsiasi cosa, di andare molto veloci e di restare incollati all’asfalto.
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Mi è sempre sembrato che ci sia una parte di slealtà nella nostalgia, come quando dopo che è successo qualcosa, qualcuno dice “te l’avevo detto” o “lo sapevo”, e non è mai vero e non aveva detto e non sapeva niente prima che succedesse.
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Per i miei romanzi attingo da esperienze dirette e poi immagino. L’idea prende forma in modo maniacale ed ossessivo e si sviluppa.
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Vivrei solo negli stadi intermedi, se potessi, senza punti di partenza e di arrivo o scopi da raggiungere; me ne starei immerso in un continuo traballamento provvisorio riparato dal mondo, con pensieri circolanti non focalizzati, in attesa di niente. (O in attesa di tutto: cambiamenti e trasformazioni e aperture di nuovi orizzonti sorprendenti da un secondo all’altro).
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La cosa peggiore è l’assuefazione, non riuscire più a stupirti di quello che fai. Dovremmo provare di continuo a togliere dalla nostra vita le cose che diamo per scontate, fare passare qualche tempo prima di rimettercele. Stare una settimana senza luce elettrica o un mese senza telefono, dormire per terra qualche notte ogni tanto.
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I veri libri vengono tutti fuori da uno stato di carenza acuta, da un’incapacità di trattare in termini concreti col mondo. Da un desiderio di rivalsa abbastanza intenso da spingerti a costruire versioni parallele della tua vita.
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