Premio Nobel per la letteratura nel 1907, Joseph Rudyard Kipling rappresenta in modo del tutto singolare quel momento magico della letteratura a cavallo tra Ottocento e Novecento. Trascorre la sua esistenza tra l’India e l’Inghilterra e le esperienze vissute durante l’infanzia a Bombay alimentano l’animo e la fantasia di un eterno sognatore che resterà per sempre suggestionato dalle meraviglie di una terra che ai suoi occhi si configura come una favola senza fine. Una favola di cui ne cattura ogni singolo istante e che, ancora quasi del tutto incontaminata, sembra voler chiedere di essere raccontata. Nella sua opera quelle esperienze di vita eterogenee si traducono con rappresentazioni di singolare e rilevante dinamismo ed emozioni suggestive che risentono dei sapori misteriosi e trascendentali delle civiltà orientali. Potenti visioni tradotte con un linguaggio semplice e diretto, in cui non mancano espressioni gergali, si accompagnano a straordinarie avventure nei misteri della giungla. Kipling si può considerare un vagabondo della vita. Non nutre le stesse ambizioni di un Dostoevskij, non è interessato ad una rappresentazione critica del mondo e della natura umana; vuole semplicemente raccontare delle avventure e la lettura delle sue opere ci trasporta in una freschezza di emozioni raccontate con uno stile scattante e di cui si intuisce, anche in quelle più fantasiose, un’impronta autobiografica in grado di disarmarci e d’incantarci per l’innocenza che ne traspare.
Nato il 30 dicembre del 1865 a Bombay, da una famiglia benestante, Kipling viene affidato inizialmente alle cure di una nutrice indiana. Dalla donna apprenderà numerosi racconti e leggende di quel misterioso e affascinante paese in cui nasce. Narrazioni che incideranno notevolmente il suo pensiero e lo condurranno a condannare la cultura monoteista giudeo-cristiana.
A sei anni viene mandato insieme alla sorella in Inghilterra presso una coppia di anziani parenti affinché possa “godere” di una “corretta educazione inglese“.
Il distacco dai genitori ed i metodi crudeli usati dai suoi incapaci e superficiali “educatori” segneranno profondamente l’animo di Rudyard e la sua salute.
Non solo ferite invisibili e profondamente dolorose.
Il futuro scrittore sarà infatti anche afflitto da problemi alla vista che gli procureranno non poche ossessioni facilmente intuibili nella sua opera ed in particolar modo nel suo meraviglioso romanzo “La luce che si spense“.
Vive negli anni in cui l’affidare i figli a parenti o tutori è una pratica alquanto frequente. Ma Rudyard non è un bambino qualsiasi; il profondo senso di smarrimento e di frustrazione di quegli anni acuirà la sua estrema sensibilità che troverà una valvola di sfogo nella passione per la scrittura. La sua narrativa sarà popolata da bambini abbandonati che vivono a contatto con la natura. Quella natura che dallo scrittore sarà cantata nel suo miracolo di perenne rinnovamento accanto alle passioni genuine umane e all’irrimediabile contrapposizione tra il Bene e il Male.
Nella sua vita si scorgerà sempre un velo di tristezza che lo accompagnerà fino alla morte. E non solo per la sua triste infanzia; anche se riceverà onori di ogni sorta, la vita non gli risparmierà sofferenze.
Dopo aver terminato gli studi in Inghilterra, presso il College Militare di Westward Ho!, a diciotto anni fa ritorno in India dove lavora come giornalista presso un periodico situato a Lahore (città che adesso fa parte del Pakistan). Da quel momento in poi non riuscirà più a contenere la sua immensa gioia di scrivere che si esprimerà attraverso racconti di avventure, per lo più ambientati in India. Ma non mancheranno nella sua produzione poesie e romanzi.
Già celebre in India, si trasferisce in Inghilterra nel 1889 dove incontrerà molte resistenze da parte dei critici letterari che subiscono con malcelato scontento e sottintese riserve il successo di quel giovane scrittore che, malgrado i loro sforzi per denigrarlo, riesce ad appassionare il pubblico, emozionato dalle vicende dei protagonisti delle sue storie.
In quel periodo viaggerà molto, e non solo in quell’Oriente da lui quasi mitizzato. Trascorre, infatti, anche un periodo di tempo negli Stati Uniti dove incontra lo scrittore Mark Twain che influenzerà in modo decisivo la sua successiva produzione letteraria.
Il 18 gennaio del 1892 si sposa con Caroline Starr Balestrier, sorella di un giornalista americano di origine francese, Wolcott Balestier, grande amico e ammiratore dello scrittore. E nel Vermont, Kipling trascorre qualche anno presso la famiglia della sposa.
Caroline, donna sensibile e premurosa, riesce un po’ a placare le inquietudini dello scrittore che trova in lei una rara capacità di comprensione e di amore.
In Kipling cessa improvvisamente quella smania irrequieta di viaggiare e di conoscere il mondo e, dopo aver lavorato come corrispondente in Sudafrica, durante la guerra Anglo-Boera, si stabilisce con la moglie a Bateman’s, una villa situata a Burwash, nell’East Sussex perché sfinito dal successo dei suoi scritti e desideroso di sottrarsi all’interesse dei giornalisti e dei suoi ammiratori. Su una delle meridiane di Batman’s fa incidere il seguente pensiero: «È sempre più tardi di quel che credi».
Considerato un celebratore dell’imperialismo britannico, è spesso particolarmente esagerato nell’osannare la magnificenza e l’onore dell’impero inglese, sebbene sia un dovere sottolineare che si tratta di un figlio sognante di quell’impero, legato ai miti dell’epoca e che la sua esaltazione è dovuta ad una visione della vita intrisa di fantasia. Un mondo di fantasia cui lo scrittore attinge probabilmente per estraniarsi dalla realtà. Ciò che infatti è impossibile non amare in Kipling è quel suo essere genuino, quel suo attingere direttamente al cuore, quella sincerità quasi infantile anche nell’esaltare l’imperialismo inglese.
Non ha ancora compiuto i quarantadue anni quando, nel 1907, gli viene assegnato il premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: «In considerazione del potere dell’osservazione, dell’originalità dell’immaginazione, la forza delle idee ed il notevole talento per la narrazione che caratterizzano le creazioni di questo autore famoso nel mondo». Un premio piuttosto contrastato perché il suo nome non è nemmeno contemplato nell’elenco dei numerosi candidati ufficiali che l’Inghilterra si ostina a presentare.
Non apprezzato dalla maggioranza dei critici inglesi per il suo stile che poco bada alla forma e preferisce non perdersi in raffinatezze letterarie, Kipling predilige, sia nei versi che nella prosa, uno stile umanistico e fantasioso orientato all’azione più che ai dettagli, puntando così dritto al cuore del lettore e scatenando in quest’ultimo immense emozioni.
Non si cura delle stroncature continue alla sua opera.
Non scrive per farsi apprezzare dai letterati. La sua scrittura sorge da un’esigenza profonda dell’anima. Il suo unico interesse è quello di suscitare commozione e incanto nei suoi lettori.
E, a dispetto di coloro che giudicano il suo stile rozzo, superficiale e retorico, vince il premio Nobel.
Il suo stile linguistico, spesso tratto dal linguaggio dei soldati e dei navigatori, riesce a dare un tocco realistico alle sue storie, mentre nei racconti indirizzati ai ragazzi, il registro linguistico cambia e avvolge dolcemente i giovani lettori nel suo fascino semplice e misterioso. La sua fama è legata principalmente alla narrativa, ai due “Libri della Giungla“, a “La luce che si spense“, a “Capitani Coraggiosi” e a “Kim“.
Narratore tutto azione riesce a far mancare il respiro per la veloce successione degli eventi raccontati.
Nel corso della Prima Guerra Mondiale, nel 1916 perde il suo unico figlio maschio, John, di appena diciotto anni, e la sua vita, già scossa da profonde sofferenze, si conclude dopo una lunga malattia, da cui non si riesce a riprendere, probabilmente per il dolore di quella perdita. La sua vena narrativa s’inaridisce, ma lo scrittore e il poeta dentro di lui non si spegne. La scrittura per il nostro autore è un modo per sopraffare quel senso di solitudine che lo attanaglia. Scrivere è un modo per sentirsi vivo. E continuerà a farlo fino a quando la morte lo coglierà, il 17 gennaio del 1936. Sepolto nell’Abbazia di Westminster, ancora oggi è considerato uno dei più rilevanti scrittori inglesi.
Di seguito una raccolta dei suoi più celebri pensieri introdotti da una delle sue poesie più famose dedicata al figlio.
Se riesci a mantenere la calma
quando tutti attorno a te la stanno perdendo,
Se sai aver fiducia in te stesso quando tutti dubitano di te
tenendo conto però dei loro dubbi;
Se sai aspettare senza stancarti di aspettare
o essendo calunniato non rispondere con calunnie
o essendo odiato non dare spazio all’odio
senza tuttavia sembrare troppo buono nè parlare troppo da saggio;
Se sai sognare senza fare dei sogni i tuoi padroni;
Se riesci a pensare senza fare di pensieri il tuo fine;
Se sai incontrarti con il successo e la sconfitta
e trattare questi due impostori proprio nello stesso modo;
Se riesci a sopportare di sentire la verità che tu hai detto,
distorta da imbroglioni che ne fanno una trappola per gli ingenui;
Se sai guardare le cose, per le quali hai dato la vita distrutte
e sai umiliarti a ricostruirle con i tuoi strumenti ormai logori;
Se sai fare un’unica pila delle tue vittorie
e rischiarla in un solo colpo a testa o croce
e perdere e ricominciare dall’inizio
senza mai lasciarti sfuggire una sola parola su quello che hai perso;
Se sai costringere il tuo cuore,i tuoi nervi,
i tuoi polsi a sorreggerti anche dopo molto tempo che non te li senti più
e così resistere quando in te non c’è più nulla
tranne la volontà che dice : resisti !;
Se sai parlare con i disonesti senza perdere la tua onestà
o passeggiare con i re senza perdere il tuo comportamento normale;
Se non possono ferirti nè i nemici nè gli amici troppo premurosi;
Se per te contano tutti gli uomini, ma nessuno troppo;
Se riesci a riempire l’inesorabile minuto
dando valore ad ogni istante che passa:
tua è la Terra e tutto ciò che vi è in essa
e – quel che più conta – tu sarai un Uomo, figlio mio!
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Molte persone religiose sono sospettosissime. Sembra che – per motivi puramente religiosi, s’intende – sull’iniquità la sappiano molto più lunga dei reprobi.
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I politici non mi riguardano… mi ha colpito il fatto che essi facciano una vita da cani senza le buone maniere di un cane.
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(…)Tutto ciò accadde, successe e fu, Oh mio Sommo Adorato, quando gli animali domestici erano selvatici. Il Cane era selvatico, il Cavallo era selvatico, la Mucca era selvatica, la Pecora era selvatica, il Maiale era selvatico – più selvatico che mai – e camminavano per gli umidi e selvaggi boschi da soli, ma l’animale più selvatico di tutti era il Gatto. Camminava da solo, e per lui tutti i posti erano uguali.(…)
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Ora questa è la Legge della Giungla, antica e vera quanto il cielo.
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L’intuizione di una donna è molto più vicina alla verità della certezza di un uomo.
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Non è la bellezza, per così dire, e nemmeno la capacità di fare buona conversazione. È solo così. Alcune donne restano nella memoria di un uomo se solo passano una volta lungo la strada.
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Come Maggie da impalmare ce n’è una milionata;
una donna è soltanto una donna,
ma un buon sigaro è una Fumata.
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E tu mi porti via l’onore, se porti via il mare!
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L’Asia non verrà civilizzata con i metodi dell’occidente. C’è troppa Asia ed essa è troppo vecchia.
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Una persona spesso finisce con l’assomigliare alla sua ombra.
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Due uomini che sembrano della stessa opinione su tutto, quando la loro armonia aumenta interrompono i loro rapporti molto di più che se avessero litigato.
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Conosco sei uomini onesti che mi hanno insegnato tutto quel che so; i lor o nomi sono “cosa”, “perché”, “quando”, “dove”, “come” e “chi”.
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Tutto considerato, al mondo ci sono solo due tipi di uomini: Quelli che stanno a casa e quelli che non ci stanno.
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Che tregua offre l’alba? Guarda, dal cielo piagato, | Il giorno incede, un tiranno dalla spada in fiamme!
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Cosa importa dove e come moriamo, | Finché abbiamo fiato da osservare tutto – | I modi diversi in cui si fanno cose diverse, | Gli uomini e le donne che amano a questo mondo; | Cogliendo le occasioni quando si presentano, | E se non lo sono, fingendo che siano buone.
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Indimenticabile la trasposizione cinematografica firmata Disney de “Il Libro della Giungla“.
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