Jack London, “una superba meteora”

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Lo scrittore statunitense Jack London inaugura una nuova figura letteraria che trae ispirazione dal proprio avventuroso vissuto. Formatosi per lo più da autodidatta, scrive cinquanta libri e più di mille articoli, nonostante si spenga a soli quarant’anni, sopraffatto dal vizio dell’alcool e da una vita di eccessi. Conduce una vita dura e sregolata impossibile da separare dalle sue opere, se si vuole comprendere appieno la sua affascinante e inquieta personalità. Basta porre in ordine i suoi scritti per capire profondamente il suo sviluppo emotivo e letterario attraverso i protagonisti delle sue storie e il loro modo di relazionarsi con l’ambiente.
Scrive mentre vive. E la sua vita, breve ma intensa, viene vissuta sempre al limite, con tenacia, passione e sete di conoscenza, come, qualcuno ha scritto, quella di un lupo affamato di avventure e di storie da raccontare. Figura complessa e contraddittoria, è conosciuto in tutto il mondo soprattutto per le sue storie avventurose ambientante nel Klondike, sebbene non bisogna dimenticare che molte sono le tematiche da lui affrontate e che non si limitano solo alla sopravvivenza nell’Artico; amore, mondo del pugilato, conflitti sociali, sfruttamento sessuale, alcolismo e malattie mentali sono tra gli argomenti trattati da London, scrittore singolare antiaccademico e modello di riferimento per molti letterati.
Crede profondamente nella relazione tra uomo e natura e ritiene l’eterno conflitto dell’uomo contro l’ambiente circostante l’essenza stessa dell’esistenza, ritenendo deleteria ogni organizzazione sociale che interferisca con il ritmo naturale della vita. La natura, dolce e selvaggia, incontaminata e crudele, domina la scena dei suoi racconti il cui ritmo incalzante e avvincente viene reso con un vocabolario piuttosto semplice, ma ricco di aggettivi potenti. London non si perde in lunghe divagazioni psicologiche dei suoi personaggi, per la maggior parte rudi e di poche parole, e li conduce in situazioni limite dove la natura si impone con tutta la sua crudezza.
Non immagina. Riproduce le sue esperienze di vita. E se i suoi scritti mostrano l’irrimediabile sottomissione dell’uomo dinnanzi alla legge del più forte, non si può fare a meno di notare che il fine di queste riflessioni sembra essere quello di spingere a guardare il mondo e se stessi da una prospettiva che non contempla alcuna rassegnazione. La sua profonda sensibilità emerge in tutti i suoi libri, in cui volge il suo sguardo alla lotta, per lo più condotta in solitudine, di quei compagni di viaggio della nostra vita che sovente non riusciamo a vedere, uomini temprati da un’esistenza fatta di sfruttamento e sopraffazione. Non esclude gli animali, anch’essi nostri compagni di vita nell’arduo e affascinante cammino su questa terra, che diventano personaggi principali e portano con sé quel carico di dolore che li accomuna a noi esseri umani.
Jack London diventerà dunque il portavoce dei reietti,  degli oppressi, dell’America dei minatori, dei disoccupati, degli stenti, della speranza e delle tensioni sociali. Ciò che inoltre caratterizza l’opera dello scrittore è la sua capacità di disorientare i propri lettori, di non elargire sempre un lieto fine, sebbene proprio la sua stessa vita può essere considerata il simbolo di quel sogno americano da lui ritenuto un’impostura.

Vorrei piuttosto essere ceneri che polvere!
Vorrei piuttosto che la mia scintilla bruciasse tutta e subito in una fiamma brillante piuttosto che si consumi sino allo stoppino.
Vorrei piuttosto essere una superba meteora, ogni atomo di me in uno splendore magnifico, che un pianeta sonnacchioso e permanente.
La funzione propria dell’uomo è di vivere, non di esistere.
Io non sprecherò i miei giorni nel cercare di prolungarli.
Io userò il mio tempo.

Jack London pone interrogativi scomodi all’uomo moderno, orgoglioso del continuo progredire della scienza e della tecnologia, ma incapace di procurarsi lo stretto necessario per vivere e vittima spesso della disoccupazione e della povertà. Una condizione che non gli appare meno implacabile delle spietate leggi della natura. I suoi scritti, di grande impatto emotivo e con intrecci avvincenti, riportano l’uomo alla sua autentica dimensione, a confrontarsi con la sua fragilità e finitezza. Rara è la sensibilità poetica della sua narrazione che, con uno stile, asciutto e immediato, non si smarrisce nella retorica dei buoni sentimenti, rientrando così a pieno titolo nella corrente del realismo americano che trae ispirazione da Zola e dalle teorie darwiniane.
Considerato rozzo dalla critica accademica, sarà molto apprezzato dai suoi numerosi lettori ed ancora oggi alcune sue opere vengono portate sul grande schermo riscuotendo un grande successo.


Nato il 12 gennaio del 1876 nei duri bassifondi di San Francisco, John Griffith Chaney London, conosciuto in tutto il mondo come Jack London, è figlio illegittimo di Flora Wellman, una giovane donna che, sopraffatta dalla vergogna di aver concepito un bambino fuori dal matrimonio, tenta il suicidio pochi mesi dopo la nascita del piccolo. Appassionata di spiritismo, percepita dal figlio come fredda e distante, si sposa sei mesi dopo la nascita di Jack con colui che sarà il padre adottivo del bambino, John London, droghiere e veterano della guerra di secessione americana. Il bambino viene allevato da Virginia Prentis, un’anziana nutrice nera.
Due anni dopo la famiglia si trasferisce a Oakland per sfuggire ad un’epidemia di difterite e qualche anno dopo si stabilisce in un’azienda agricola ad Alameda dove il piccolo Jack comincia a frequentare la scuola elementare. Dopo altri trasferimenti, la famiglia fa ritorno ad Oakland, nel 1885. John London, vittima di numerosi insuccessi commerciali, non riesce a mantenere la propria famiglia e riesce a malapena a dare un’istruzione minima a Jack, che, proprio ad Oakland, è costretto a lasciare la scuola e ad intraprendere molte attività, lecite e talvolta illecite, per poter sopravvivere. Ma dentro di sé custodisce il sogno di diventare uno scrittore, frequenta le biblioteche e divora tutti i libri che riesce a procurarsi. Vuole affrancarsi dalla povertà e dallo sfruttamento. Ma soprattutto vuole conoscere.


Con questo sogno nel cassetto, affronta lavori spesso massacranti e malpagati, ma riesce a ritagliarsi del tempo per coltivare la propria passione per la lettura, aiutato anche dalla bibliotecaria della città, Ina Coolbrith, alla “Oakland Free Library“.
Nel 1892, Jack, appena sedicenne, si unisce al dipartimento della California Fish Patrol, che gli consentirà di imbarcarsi nella trealberi 
Sophie Sutherland. Un’avventura indimenticabile che gli consente di viaggiare in Giappone, conoscere nuove terre e gli effetti devastanti di un tifone. Da quel momento in poi il desiderio di nuove avventure non lo abbandonerà più.
Al ritorno da quel viaggio, trova lavoro come operaio in una centrale termica, ma a causa di una delle peggiori depressioni americane, perderà presto il lavoro.


Nel 1894 si unisce ad un’associazione denominata “Lega dei Lavoratori Disoccupati” e partecipa ad una significativa manifestazione di protesta.
La sua visione del mondo subisce un cambiamento decisivo con lo studio delle opere di Karl MarxCharles DarwinRudyard Kipling Friedrich Nietzsche, conducendolo istintivamente ad abbracciare gli ideali socialisti e ad unirsi al Partito Socialista del Lavoro nel 1894. L’aver sperimentato condizioni di estrema povertà e sfruttamento lo rende ancor più consapevole delle ingiustizie sociali, ma comprende nello stesso tempo che il suo futuro di riscatto sociale manca di prospettive nei bassifondi di San Francisco. A diciannove anni, frequenta un corso di scuola superiore per conseguire un titolo di studio e successivamente si iscrive alla Berkeley University. Ancora in gravi difficoltà economiche e senza alcuna prospettiva di ottenere un lavoro, decide di dare una svolta decisiva alla propria vita. Capisce che come modesto autore locale non sarebbe mai diventato ricco. Necessita di vivere esperienze estreme per poter diventare uno scrittore di successo e, a tale scopo, si unisce alle spedizioni di cercatori d’oro nel mitico Klondìke.

Non trae alcun vantaggio materiale dalla ricerca, ma sarà soprattutto questa avventurosa esperienza ad ispirare gran parte dei suoi libri. Dal 1897, la rivista Overland Monthly inizia a pubblicare una serie di storie sulle terre selvagge del nord che avrebbero finalmente reso London un autore famoso. Nel 1903 scrive uno dei suoi romanzi brevi che riscuoterà un enorme successo, “Il richiamo della foresta“, di cui presto vi sarà un altro adattamento cinematografico, sicuramente imperdibile, e che vedrà tra i suoi protagonisti Harrison Ford.

La lettura della storia di Buck, un incrocio tra un San Bernardo e un cane da pastore scozzese, non si può limitare ai ragazzi. È infatti un libro senza età che dona sensazioni diverse a seconda di quando lo si legge. Sensazioni indimenticabili in cui emergono tematiche care a London, il valore della forza e del coraggio e la rappresentazione, in tutta la sua durezza, della lotta per la sopravvivenza. Una dura lotta che coinvolge uomini e animali, ma in grado di appagare le esigenze più profonde dell’individuo. Protagonista assoluta è la natura, impersonata dal cane, uno degli esseri più plasmati dall’uomo, ma che, se sfidato, è capace anche di uccidere.

London ci trascina nel vasto e selvaggio territorio nordamericano di due secoli fa e lo fa affidando la narrazione dal punto di vista di Buck, strappato alla sua vita confortevole di animale domestico e venduto come cane da slitta durante la corsa all’oro. Maltrattato da molti proprietari, pestato duramente per essersi rifiutato di attraversare un fiume non sicuro, finisce nelle mani gentili di John Thornton che, dopo averlo curato amorevolmente, ne valorizza l’intelligenza e gli affida il compito di capobranco. Tuttavia, eventi particolarmente sfavorevoli ridimensioneranno l’obiettivo di Thornton, che dovrà lottare insieme a Buck per la sopravvivenza, vittime entrambi della crudeltà degli uomini.

La loro duratura amicizia diventa il tratto distintivo della loro sopravvivenza. Gli indiani Yeehat attaccano il campo di Thornton, uccidendolo insieme ad altri suoi amici e compagni di slitta di Buck. Quest’ultimo attacca il capo della spedizione e, nonostante i componenti della banda cerchino di colpirlo, Buck riesce a fuggire. Ormai lo spirito combattivo dei suoi antenati ha preso il sopravvento ed il richiamo della foresta diventa sempre più potente. Ma non dimenticherà mai l’amore per l’uomo che gli ha salvato la vita, un legame che mai cesserà e, quando Buck cederà a quel cupo e seducente richiamo, un richiamo a cui non può volgere le spalle per molto tempo, l’eco dei ricordi rammenterà sempre quella grande amicizia sorta in un mondo che non gli appartiene più.

Jack London dedica anima e corpo all’attività letteraria, e, in poco più di diciassette anni, scrive numerosi libri di successo, tra cui non bisogna dimenticare “Zanna Bianca” (1906), una delle più toccanti e poetiche storie scritte sul mondo animale e naturale. Protagonista ancora una volta la natura, di cui lo scrittore ne palesa l’anima crudele, ma giusta ed equa, e una spietata disanima sul mondo umano, analizzato e sviscerato attraverso gli occhi di Zanna Bianca, un cane lupo, incattivito dall’immotivata crudeltà dell’uomo. All’odio e all’avversione verso una parte dell’umanità, subentrerà l’amore del cane, in grado di amare senza riserve e senza limiti di tempo la mano che lo accarezza. Ed il cuore del romanzo è ancora una volta rappresentato dalla devota amicizia che si può instaurare tra un uomo ed un animale.

Una scena tratta dal film “Zanna Bianca, un piccolo grande lupo” (1991).

Libro estremamente poetico, impregnato di malinconia, mette ancora una volta in evidenza l’amore puro e incondizionato che solo gli animali sono in grado di donare all’uomo. Un sentimento di amore infinito nasce nel cuore indurito di Zanna Bianca, che rinuncerà ad essere lupo e si farà cane per la profonda amicizia che lo unirà alla bontà e comprensione del suo padrone.

London diviene uno degli scrittori più popolari del suo tempo. La tanto sognata ascesa sociale è ormai una realtà. Viaggia senza sosta, esplora la costa delle Hawaii su una barca a vela che si è costruito, facendo sì che quell’arcipelago, fino a quel momento sconosciuto, diventi la meta prediletta delle classi più abbienti. Acquista un ranch in California di 1000 acri e vi costruisce la casa dei suoi sogni, che chiama la “Casa del Lupo“, purtroppo distrutta successivamente da un devastante incendio, ed uno yacht con cui spera di poter girare il mondo. Vale la pena evidenziare la sua attività come corrispondente durante la guerra russo-giapponese ed il suo enorme impegno sociale; nonostante la sua enorme fama, lo scrittore continua a diffondere le idee socialiste, ma la sua esperienza politica gli procurerà molta amarezza e ne resterà profondamente deluso. Non smetterà mai di seguire l’inesauribile desiderio di conoscere i luoghi più remoti del pianeta.

Anna Strunsky

Sposato con Elizabeth Maddern, da cui avrà due figlie, London intrattiene una relazione amorosa ed epistolare con Anna Strunsky, scrittrice ebreo-americana, molto attiva nelle questioni sociali e profonda sostenitrice del socialismo. Dopo cinque anni divorzierà da Elizabeth, ma si risposerà con un’altra donna, Charmian Kittredge, nonostante sembra sia Anna l’unica che abbia veramente amato. Ritiene però che non sia la donna giusta da sposare. Secondo un biografo, London divide le donne in due categorie. Quelle meravigliose, immorali e traboccanti di vita e le madri perfette. Ritiene l’amore una trappola, una follia, una febbre destinata a scomparire e crede che non ci si debba mai sposare con la persona di cui si è innamorati.
Emerge nella corrispondenza intrattenuta con Anna una lettera, datata il 3 aprile 1901, scritta da Jack, che lascia percepire il profondo legame tra la coppia, ma anche le sue difficoltà.
“Cara Anna,
ho forse detto che gli essere umani possono essere archiviati in categorie? Allora, se l’ho detto, lasciami fare una precisazione: non tutti gli essere umani. Tu mi sfuggi.
Non riesco a classificarti, non riesco ad afferrarti. Posso indovinare, nove volte su dieci, a seconda delle circostanze, posso prevedere le reazioni, quelle nove volte su dieci, dalle parole o dai gesti, posso riconoscere le pulsazioni dei cuori. Ma al decimo tentativo rinuncio. Non ci arrivo. Tu sei il decimo tentativo.
Mai sono esistite due anime così simili e così incomprensibilmente assortite!
Possiamo andare d’accordo, certamente, e a volte capita, ma quando non siamo d’accordo,ce ne accorgiamo subito e immediatamente non usiamo più lo stesso linguaggio. Diventiamo estranei. Dio riderà della nostra pantomima. L’unico sprazzo di sensatezza in tutto questo è che siamo tutti e due generosi, abbastanza generosi per capirci.
Perché è vero, spesso ci capiamo, ma in modi vaghi e confusi, per mezzo di deboli percezioni, come fantasmi, che, mentre noi diffidiamo, ci perseguitano con le loro verità.

E tuttora io, per primo, non oso crederci; perché tu sei sempre quel decimo che io non posso prevedere.
Sono incomprensibile ora? Non lo so, forse sì. Non riesco a trovare un linguaggio comune. Generosità, ecco cos’è. È la sola cosa che ci tiene uniti.
Qualche volte siamo attraversati da un lampo, tu ed io, abbiamo quel qualcosa in comune che ci fa respirare insieme. Sebbene siamo così diversi.
Sorrido dei tuoi entusiasmi? È un sorriso che si può perdonare, è un sorriso di invidia.
Ho vissuto venticinque anni di repressione. Ho imparato a non essere più entusiasta. È una lezione dura. Incomincio ora a dimenticare, ma è così difficile. Al massimo, prima di morire, posso sperare di aver dimenticato qualcosa. Posso esultare, adesso che sto imparando, per piccole cose, per altre cose, ma per le mie cose, e per quelle segrete, doppiamente mie, non posso, non posso. Riesco a farmi capire? Riesci a sentire la mia voce? Temo di no. Ce ne sono tanti di posatori. Io sono il migliore di tutti.”

Jack London e Anna Strunsky

Di carattere fondamentalmente solitario e inquieto, Jack London, pur descritto dagli amici che frequenta come un uomo energico ed intraprendente, vive in preda al tormento e il suo abuso di alcool è la piena testimonianza di questa sua eterna insoddisfazione, probabilmente dovuta ad una triste infanzia e ad un’adolescenza sempre in bilico tra il lecito e l’illecito. Nonostante sia uno degli scrittori più pagati del periodo, opera delle scelte finanziarie disastrose che accentueranno la sua inquietudine. Schiacciato dai debiti, è costretto a scrivere anche se non ha più né la forza né il desiderio di farlo.


Invecchia precocemente a causa dei problemi dovuti al consumo eccessivo di alcool che hanno compromesso i suoi reni e gli provocano intensi dolori. Sulle cause della sua prematura morte, avvenuta il 22 novembre del 1916, sono sorti molti dibattiti ed ancora oggi, nonostante le fonti mediche ufficiali abbiano individuato nell’uremia la causa del decesso, si pensa che lo scrittore si sia suicidato con un’overdose di antidolorifici. Studi recenti realizzati negli Stati Uniti hanno notato in una fotografia di London una dermatite da mercurio, metallo usato in quel periodo per curare la sifilide, ma anche come potente antidolorifico.

Scena tratta dal film “Martin Eden” (2019)

Senza dubbio una vita di eccessi sarà stata una delle principali cause di morte di questo straordinario autore, dato che l’ipotesi del suicidio non è mai stata provata. Non bisogna dimenticare però che in uno dei suoi romanzi più amati e palesemente autobiografici, Martin Eden (1909), il protagonista, marinaio dall’animo estremamente sensibile che raggiunge il successo come scrittore, si sentirà sempre un “diverso” rispetto ai borghesi beneducati e colti. Martin, nonostante il successo raggiunto, si ucciderà lanciandosi in mare. La forte somiglianza tra Martin Eden e Jack London, ciclicamente sofferente di depressione, ha probabilmente fatto sì che non siano pochi i dubbi sulla versione ufficiale rilasciata dai medici.

 

Nella sua vasta produzione letteraria, venti sono state le opere tradotte in italiano, tra cui bisogna ricordare, oltre ai sopracitati romanzi, Il popolo dell’abisso (1903), Il lupo di mare (1904), La guerra delle classi (1905), Il tallone di ferro (1907), Rivoluzione (1910), La valle della luna (1913), John Barleycorn (1913), Il vagabondo delle stelle (1915), La piccola signora della grande casa (1916).
Di seguito alcuni pensieri di Jack London. Condivido anche due audiolibri che meritano di essere ascoltati: “Il Richiamo della Foresta” e “Il vagabondo delle stelle”.

 

Quell’irrequietezza era diventata acuta, dolorosa, giacché sapeva finalmente, chiaramente, che cosa gli occorresse: la bellezza, la cultura intellettuale e l’amore.

***
Le persone d’eccezionale valore sono simili alle grandi aquile solitarie che volano molto in alto nell’azzurro, al disopra della terra e della sua superficiale meschinità.

***

Non aveva saggezza, e l’unico modo di ottenerla era a spese della giovinezza: ma una volta saggio, non sarebbe stato più giovane.

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Preferirei essere cenere che polvere. Preferirei che la mia scintilla bruciasse in una vivida fiammata piuttosto che fosse soffocata da arida putredine. Preferirei essere una superba meteora, ogni mio atomo esploso in un magnifico bagliore, piuttosto che un sonnolento e perseverante pianeta. La giusta funzione di un uomo è di vivere, non di esistere.

***

Un osso dato al cane non è carità: carità è l’osso spartito col cane quando avete fame come lui.

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È la vita a costituire l’unica realtà e il vero mistero. La vita è molto di più che semplice materia chimica, che nelle sue fluttuazioni assume quelle forme elevate che ci sono note. La vita persiste, passando come un filo di fuoco attraverso tutte le forme prese dalla materia. Lo so. Io sono la vita. Sono passato per diecimila generazioni, ho vissuto per milioni di anni, ho posseduto numerosi corpi. Io, che ho posseduto tali corpi, esisto ancora, sono la vita, sono la favilla mai spenta che tuttora divampa, colmando di meraviglia la faccia del tempo, sempre padrone della mia volontà, sempre sfogando le mie passioni su quei rozzi grumi di materia che chiamiamo corpi e che io ho fuggevolmente abitato.

***

Questa è la mia visione. Guardo al futuro, a un tempo in cui l’uomo progredirà verso qualcosa di più degno e più alto del suo stomaco, quando ci sarà una motivazione più sottile che spinga gli uomini all’azione che quella di oggi, lo stomaco. Mantengo la mia convinzione della nobiltà e dell’eccellenza del genere umano. Credo che la dolcezza spirituale e l’altruismo avranno la meglio sulla grossolanità della gola. E ultimo di tutto, la mia fede è nella classe operaia. Come ha detto un francese, “La scala del tempo fa sempre eco alla scarpa di legno che sale, mentre lo stivale tirato a lucido discende.”

***

Studiavo diciannove ore al giorno, fin quando non sostenni l’ultimo esame. Non volevo assolutamente più vedere libri. Non c’era che un’unica cura che mi potesse guarire, ed era riprendere le avventure.

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L’alcolismo mina l’uomo. Lo rende inabile a vivere coscientemente la propria vita.

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Creatura quanto mai strana è l’uomo: insaziabile, sempre inappagato, irrequieto, mai in pace con Dio o con se stesso, di giorno tende senza posa a inutili mete, di notte si abbandona a un’orgia di desideri proibiti e malvagi.

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L’adolescenza è l’epoca in cui si conquista a morsi l’esperienza.

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La vita viveva della vita. Vi erano quelli che divoravano e quelli che erano divorati.

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L’uomo, in cui la vita scorre più irrequieta, l’uomo, ribelle alla legge che stabilisce che ogni movimento deve alla fine cessare.

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Non ho alcun rispetto per la pena di morte. Si tratta di un’azione sporca, che non degrada solo i cani da forca pagati per compierla ma anche la comunità sociale che la tollera, la sostiene col voto e paga tasse specifiche per farla mettere in atto. La pena di morte è un atto stupido, idiota, orribilmente privo di scientificità.

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Se riuscire a dimenticare è segno di sanità mentale, il ricordare senza posa è ossessione e follia.

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Leggete il mio Radiosa Aurora, dove descrivo un superuomo di successo che, al culmine del suo trionfo e della sua carriera, getta via i suoi trenta milioni di dollari al vento per guadagnare qualcosa di più grande, l’amore.

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Mi trovo sull’orlo di un mondo talmente nuovo, terribile e meraviglioso che ho quasi paura a guardarci dentro.
(Riferito a un’opera di Carl Gustav Jung)

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Di tutti gli sport, l’unico che ami veramente è la boxe. Certo, è uno sport che a poco a poco va scomparendo. Ma mi auguro che, nei giorni che mi restano da vivere, ci sia sempre da qualche parte un’arena cui poter andare.

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La paura! Quell’eredità della vita selvaggia a cui nessun animale può sfuggire.

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Giorno dopo giorno, il genere umano e le sue esigenze diventavano sempre più distanti per lui. Nel cuore della foresta echeggiava un richiamo e non appena Buck lo captava, misteriosamente invitante ed eccitante, si sentiva costretto a volgere le spalle al fuoco e alla neve battuta attorno a esso, per tuffarsi nel folto del bosco, ubbidendo all’impulso di andare avanti, senza sapere dove né perché; e nemmeno se lo chiedeva dove o perché, attirato da quel richiamo sempre più imperioso e irresistibile.

***

“L’incanto che emana da una donna è ineffabile, è diverso dalla percezione che sfocia nella ragione. Questo stato nasce dalla sensazione e culmina nell’emozione, la quale , è giocoforza ammetterlo, altro non è che sensazione al suo livello più alto.”
Jack London

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