Si può pretendere che il mondo cambi, se non si crede nella possibilità di un mutamento perché la storia dell’uomo ha mostrato che la violenza e il male hanno sempre avuto il sopravvento? Ma soprattutto si può esigere una società diversa, se non si comincia a migliorare se stessi?
I cinici e i rassegnati non si pongono più nemmeno tali domande; hanno già trovato la risposta nei libri di storia o hanno sperimentato sulla propria pelle il disincanto di una società per lo più confinata nell’egoismo e nella meschina viltà della violenza.
Impossibile dar torto a quella categoria di persone che ha rinunciato a lottare perché ha smarrito la fiducia nell’umanità. Eppure non si può negare che nell’angolo più recondito del nostro cuore, si riescono ancora a provare emozioni di fronte ad alcuni personaggi storici, pochi per la verità, che, seppur caratterizzati da umane fragilità, sono emersi per la loro immensa bontà e il sogno di porre le basi ad un mondo fondato sull’amore e sulla nonviolenza in grado di riuscire a riscattare l’uomo dall’oppressione e dall’ingiustizia.
La lezione che Mohandas Karanchard Gandhi, soprannominato “Mahatma” (in sanscrito “Grande Anima“), ha donato al mondo si può riassumere in quella sua infinita devozione verso quella meta apparentemente utopistica che mai cerca di allontanare da sé e nella ricerca continua di migliorare il proprio modo di relazionarsi con gli altri.
Non cerca di porre alcun limite a quella speranza insita in molti di noi, ma che spesso non vogliamo ammettere nemmeno a noi stessi di possedere.
Rileggere la sua storia, cercare di comprendere la grandezza di quest’uomo, può aiutarci a sopportare l’inquietudine e lo smarrimento del “male di vivere” in un mondo sempre più imbarbarito, incomprensibile e violento, recante con sé un lacerante pessimismo che conduce molti di noi verso l’isolamento per cercare di difenderci dalle ingiustizie e violenze quotidiane costretti a subire.
La vita non è un percorso facile soprattutto per chi è dotato di un animo sensibile, e il “Mahatma” ne è consapevole sin da bambino. Nasce in una famiglia privilegiata, il due ottobre del 1869 a Portbandar, in India.
La sua vita avrebbe potuto scorrere come quella di tanti altri, indifferenti alle iniquità della società o semplicemente privi di sogni e ideali.
L’India è ancora sotto il dominio britannico quando Gandhi muove i suoi primi passi, si sposa, come da tradizione, giovanissimo, accede ad un’ottima istruzione, si laurea in giurisprudenza a Londra e comincia ad esercitare la professione di avvocato a Bombay.
La sua carriera è di breve durata; nel 1893 gli viene affidato l’incarico di consulente legale in Sudafrica presso una ditta indiana e la sua indole compassionevole ed intollerante ai soprusi lo porta ad entrare immediatamente in conflitto con la tragica realtà delle segregazioni razziali nei confronti degli immigrati indiani.
Il primo settembre del 1906 inaugura un nuovo metodo di lotta fondato sulla resistenza nonviolenta, il “satyagraha” (forza dello spirito o fermezza della verità).
Il satyagraha non prevede alcuna forma di violenza, né verbale, né fisica: si distingue da tutte le lotte intraprese nel passato manifestandosi con atti di disubbidienza nei confronti di leggi considerate immorali, accompagnati da marce e ribellioni pacifiche.
La battaglia nonviolenta sortirà effetti considerevoli costringendo il governo sudafricano ad introdurre alcune significative riforme volte a migliorare le condizioni di vita degli immigrati.
Dopo aver trascorso ventun’anni in Sudafrica, ritorna nel suo paese natale nel 1915.
In India serpeggia un malcontento generale nelle classi lavoratrici causato dalla crescente arroganza del governo britannico che da più di due secoli detta legge in una nazione ormai allo stremo.
La nuova legislazione agraria danneggia gravemente i contadini nel caso di scarso raccolto e mette in crisi anche il settore dell’artigianato. Inoltre, un altro episodio particolarmente grave scuote il popolo indiano e, naturalmente, lo stesso Gandhi.
Il massacro a sangue freddo di cittadini inermi che manifestano pacificamente inducono Gandhi a restituire al governo britannico le onorificenze ottenute in guerra dagli inglesi e ad assumere la guida del movimento nazionalista indiano (il Partito del Congresso) che si oppone apertamente al colonialismo britannico.
Nel 1919 l’uomo organizza la prima rivolta nonviolenta satyagraha invitando la popolazione a boicottare i prodotti inglesi e a non pagare le tasse.
Processato ed incarcerato, reagisce a questi palesi abusi di potere, che si ripeteranno più volte nel corso della sua vita, con lunghi scioperi della fame volti a richiamare l’attenzione del mondo e delle caste privilegiate sull’orribile maltrattamento subito dai ceti sociali più deboli.
Dopo la sua liberazione non mostra alcun cedimento e le sue convinzioni si fortificano maggiormente; partecipa alla Conferenza di Londra nel 1921 rimarcando con decisione l’ingiusta oppressione del governo britannico e domandando la liberazione del proprio paese. Anche questo suo intervento sarà seguito da un’incarcerazione ed il suo nome comincia a diventare un simbolo per tutte le popolazioni oppresse di quel periodo.
Nel 1930 intraprende insieme a migliaia di suoi seguaci la nota “Marcia del Sale“. Un’enorme folla percorre a piedi 380 chilometri per protestare in modo insolito contro una tassa che avrebbe ancora di più indebolito i ceti meno abbienti. La marcia amplia la protesta includendo un ulteriore invito a non pagare l’ennesima vessazione propinata dal governo ed a non acquistare tessuti prodotti in Gran Bretagna.
La reazione stavolta sarà più dura e verranno arrestati e condotti in carcere anche la moglie e i seguaci di Gandhi, colpevoli di aver osato sfidare l’impero britannico, particolarmente determinato nel voler mantenere una delle colonie più redditizie.
Rilasciati appena un anno dopo, in virtù di crescenti proteste, il governo è costretto ad apportare delle modifiche alla legge contestata. L’impero più potente del mondo comincia a manifestare segni di cedimento dinnanzi a questa nuova forma di protesta difficile da fronteggiare. E, quando è costretta ad arrestare nuovamente Gandhi e i suoi seguaci per il netto rifiuto del sostegno dell’India alla Seconda Guerra Mondiale se prima non fosse stata concessa l’indipendenza del paese, è ormai stanca ed imbarazzata di fronte a queste ribellioni ormai sotto gli occhi di tutto il mondo.
Il 15 agosto del 1947 l’India diventa uno stato indipendente e si libera finalmente dal giogo straniero, ma Gandhi, il vincitore morale di questa estenuante battaglia non riesce a godere di questo trionfo; il subcontinente indiano, suddiviso in India e Pakistan e abitato da popolazioni con credi religiosi differenti, lo costringerà ad assistere impotente ad un guerra civile particolarmente sanguinosa.
Su quella separazione la posizione di Gandhi è piuttosto moderata e, a causa di tale atteggiamento, il “Mahatma” viene trucidato a Nuova Delhi da un fanatico induista il 30 gennaio del 1948.
Sembrerebbe, secondo la versione di alcuni studiosi della vita e del pensiero di quest’uomo, che già Gandhi avesse interiorizzato, prima della sua improvvisa morte, l’angoscia per il crollo del suo ideale.
Un tormento che si manifesta con un periodo di sconvolgimento e comportamenti in netta contrapposizione a tutto ciò che fino a quel momento aveva predicato.
Le sue relazioni con giovani donne inorridiscono i suoi seguaci e stupiscono lo storico americano William Shirer, che lo aveva conosciuto prima di quel comprensibile momento di smarrimento.
Lo studioso, nel suo libro dedicato a Gandhi, di cui consiglio vivamente la lettura per meglio conoscere la personalità del fondatore della lotta nonviolenta, sottolinea più volte certi atteggiamenti dispotici dell’uomo nei confronti dei suoi seguaci dai quali pretende la castità.
Eppure, nonostante certe sue debolezze ed un temperamento poco malleabile, il pensiero di Gandhi si staglia in un mondo duro e violento, scuotendo le coscienze e mostrando che la nonviolenza può rappresentare una forza considerevole, lasciando così accantonare certi sue contraddizioni e manie che mostrano la sua natura umana.
Nonostante lo sconforto finale, Gandhi vince una battaglia contro la più grande potenza mondiale con metodi mai sperimentati, prima di quel momento, nella storia dell’uomo; ai cannoni e alla baionette risponde con il metodo della nonviolenza.
Con un linguaggio conciso e mai autoreferenziale, molto differente dai politici di tutti i tempi, non mostra mai alcun cenno di presunzione o di egocentrismo; con dolcezza ed umiltà riesce a scardinare le fondamenta dell’impero britannico coinvolgendo il popolo ed educandolo alla disubbidienza civile. Il ruolo assunto dalle donne che, secondo i dettami delle due religioni predominanti nel subcontinente indiano, induismo e islam, occupano una posizione subordinata rispetto all’uomo, muta profondamente e le rende protagoniste, insieme agli uomini, di tale singolare rivolta.
Tre sono i punti fondamentali che aiutano a comprendere il pensiero di Gandhi.
Il primo punto concerne il diritto inalienabile all’autodeterminazione dei popoli; l’India, dopo quasi tre secoli di sfruttamento delle sue risorse, tasse elevatissime ed impossibilità di decidere da chi essere governata, era piombata nella miseria più cupa.
Il secondo punto investe una delle emozioni più difficilmente controllabili dall’uomo: la cosiddetta nonviolenza. Tale pensiero non si limita solo al non causare del male agli altri; in fondo non è poi così difficile poter attuare un simile atteggiamento, solo chi non ha ancora compreso che il nostro breve percorso su questa terra è solamente un passaggio sperpera la propria esistenza nell’arrecare danno a chi lo circonda o a mostrare indifferenza e distacco dinnanzi a qualsiasi forma di ingiustizia. Gandhi ritiene che qualsiasi forma di violenza provoca altra violenza.
E allora, come difendersi da chi commette un’ingiustizia? A differenza di quello che molti credono la lotta nonviolenta è tutt’altro che passiva; la strategia messa in atto da questo grande pensatore è fondata sulla resistenza passiva. Mai reagire ad una provocazione usando lo stesso metodo adottato dal provocatore. Né limitarsi a dissentire.
Nulla mai potrà cambiare se non si attua una ribellione.
E la rivoluzione di Gandhi, che non si perde mai in discorsi vuoti e pomposi da politicanti, punta dritto ad azioni rappresentative: rifiutare di ubbidire a delle leggi ingiuste, anche se ciò comporterà conseguenze pericolose ed umilianti.
Se una legge offende la dignità umana, la cieca obbedienza alla stessa si traduce in complicità al perseguimento del male. Si collabora, spesso inconsapevolmente, al proseguimento di un’ingiustizia. Quindi il termine passivo non implica la mancanza di azione. La resistenza passiva non reca del male a qualcuno, ma è un’azione di ribellione nei confronti di una palese prepotenza volta a danneggiare qualcuno. Per tale ragione riesce a scombussolare il nemico.
L’ultimo punto fondamentale del pensiero di Gandhi si concentra sul sogno della tolleranza religiosa.
«Dal momento che noi non penseremo mai tutti allo stesso modo, e che vedremo la verità in maniera frammentaria e da angoli visuali diversi, la regola d’oro della condotta (…) è quella della tolleranza reciproca. La coscienza non è la stessa cosa per tutti. (…) Anche tra le persone più coscienziose vi sarà sempre posto per oneste differenze di opinione. L’unica possibile regola di condotta in una società civile è pertanto quella della tolleranza reciproca». E aggiunge un pensiero emblematico: «Dio non ha una religione». In questo grande pensiero si condensa la sua concezione religiosa. Pur essendo induista, non mostra intolleranza verso altre religioni, non giudica, non sostiene che la sua fede sia migliore di altre, anche perché riesce ad individuare in tutte le religioni quel pensiero comune di amore e fratellanza distorto da interpretazione errate degli uomini. Ma il suo sogno di un mondo in cui possano convivere pacificamente gruppi etnici dal credo religioso differente non si realizzerà.
E non si è ancora realizzato.
Nell’osservare la società contemporanea sembra che il messaggio di Gandhi non sia servito a nulla, così come accaduto a Gesù, a Buddha o ad altri personaggi che hanno cercato di lasciare al mondo degli insegnamenti che avrebbero potuto porre fine al dominio incontrastato della violenza e dell’ingiustizia.
Eppure il grande pensatore indiano ha mostrato al mondo che è possibile attuare una rivoluzione senza fare alcun uso della violenza.
Uno dei suoi pensieri più incisivi, «Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo» merita una particolare riflessione.
Quanti di noi, pur invocando la nascita di un mondo migliore, hanno intrapreso quel percorso di miglioramento cominciando a modificare il loro comportamento? Evidentemente troppo pochi, vista la situazione in cui versa il mondo attuale.
Rileggere ogni tanto i pensieri di questo grande maestro, che come tutti i grandi uomini, ha incluso nel proprio amore per l’umanità anche quello verso tutte le altre forme di vita, non servirà solamente a colmare per un po’ l’aridità del nostro cuore e la nostra agghiacciante assuefazione alla violenza, ma forse potrebbe anche indurci a relazionarci con il mondo in modo diverso.
Non è mai troppo tardi per dare inizio ad un nuovo cammino.
Raccolta dei pensieri più significativi di Gandhi.
Il genere umano può liberarsi della violenza soltanto ricorrendo alla non-violenza. L’odio può essere sconfitto soltanto con l’amore. Rispondendo all’odio con l’odio non si fa altro che accrescere la grandezza e la profondità dell’odio stesso.
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La non-violenza non prende il potere, non lo desidera neanche. È il potere che va verso di lei.
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Un pianeta migliore è un sogno che inizia a realizzarsi quando ognuno di noi decide di migliorare se stesso.
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La Terra ha abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per l’avidità di poche persone.
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Meglio un milione di volte sembrare infedeli agli occhi del mondo che esserlo verso noi stessi.
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Un genitore saggio lascia che i figli commettano errori. È bene che una volta ogni tanto si scottino le dita.
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Scopri chi sei e non avere paura di esserlo.
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Mi rifiuto di insultare il povero offrendogli dei cenci di cui non ha bisogno invece che del lavoro di cui ha un bisogno estremo.
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Voi occidentali, avete l’ora ma non avete mai il tempo.
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Per una scodella d’acqua, rendi un pasto abbondante; per un saluto gentile, prostrati a terra con zelo; per un semplice soldo, ripaga con oro; se ti salvano la vita, non risparmiare la tua. Così parole e azione del saggio riverisci; per ogni piccolo servizio, dà un compenso dieci volte maggiore: chi è davvero nobile, conosce tutti come uno solo e rende con gioia bene per male.
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Se la vita nazionale diventa così perfetta da governarsi da sé, non occorre più nessuna rappresentanza. Si ha allora una condizione di illuminata anarchia. In tal caso ciascuno è governante di sé stesso e si governa in modo da non molestare mai il vicino. Perciò, nello Stato ideale non vi è potere politico perché non vi è Stato.
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Qualsiasi cosa tu faccia potrebbe non fare alcuna differenza, ma è molto importante che tu la faccia.
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La grandezza di una nazione e il suo progresso morale possono essere valutati dal modo in cui vengono trattati i suoi animali.
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L’uomo si distrugge con la politica senza princìpi, col piacere senza la coscienza, con la ricchezza senza lavoro, con la conoscenza senza carattere, con gli affari senza morale, con la scienza senza umanità, con la fede senza sacrifici.
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Mi oppongo alla violenza perché, quando sembra produrre il bene, è un bene temporaneo; mentre il male che fa è permanente.
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La vita di un agnello non è meno preziosa di quella di un essere umano. Trovo che più una creatura è indifesa, più ha il diritto ad essere protetta dall’uomo dalla crudeltà degli altri uomini.
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Chiamare la donna il sesso debole è una calunnia; è un’ingiustizia dell’uomo nei confronti della donna.
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La disubbidienza per essere civile dev’essere sincera, rispettosa, contenuta, mai provocante, deve basarsi su principi bene assimilati, non dev’essere capricciosa e soprattutto non deve nascondere rancore e odio.
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L’unico tiranno che accetto in questo mondo è la «silenziosa piccola voce» dentro di me.
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La vera moralità consiste non già nel seguire il sentiero battuto, ma nel trovare la propria strada e seguirla coraggiosamente.
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Nel mondo c’è quanto basta per le necessità dell’uomo, ma non per la sua avidità.
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Tu e io non siamo che una cosa sola. Non posso farti del male senza ferirmi.
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La violenza da parte delle masse non eliminerà mai il male.
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Quanto più acquisto esperienza, tanto più mi accorgo che l’uomo è la causa del proprio dolore o della propria gioia.
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Mi sembra chiaro come la luce del giorno che l’aborto sarebbe un crimine.
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Serenità è quando ciò che dici, ciò che pensi, ciò che fai, sono in perfetta armonia.
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I diritti aumentano automaticamente per chi compie debitamente i suoi doveri.
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Non ho nulla di nuovo da insegnare al mondo. La verità e la non-violenza sono antiche come le montagne.
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Chiunque abbia qualcosa che non usa, è un ladro.
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Non volendo pensare a quello che mi porterà il domani, mi sento libero come un uccello.
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Se un uomo venisse sepolto nella stessa fossa con la carcassa di un animale, tutti deplorerebbero il fatto. Eppure, pensandoci bene, sarebbe un bel modo per manifestare l’unità di ogni vita.
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Passo per un originale, un maniaco, un pazzo. Evidentemente la reputazione è ben meritata. Perché, dovunque vada, attiro a me gli originali, i maniaci e i pazzi.
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[…] quando io sarò diventato incapace di male e nulla di duro o altezzoso occuperà, sia pure momentaneamente, il mondo del mio pensiero, allora e soltanto allora la mia non-violenza muoverà tutti i cuori del mondo.
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Supplicare per un favore è barattare la propria libertà.
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Quarant’anni fa, mentre attraversavo una grave crisi di scetticismo e dubbio, incappai nel libro di Tolstoj “Il regno di Dio è dentro di noi”, e ne fui profondamente colpito. A quel tempo credevo nella violenza. La lettura del libro mi guarì dallo scetticismo e fece di me un fermo credente nell’ahimsa. Quello che più mi ha attratto nella vita di Tolstoj è il fatto che egli ha praticato quello che predicava e non ha considerato nessun prezzo troppo alto per la ricerca della verità.
Fu l’uomo più veritiero della sua epoca. La sua vita fu una lotta costante, una serie ininterrotta di sforzi per cercare la verità e metterla in pratica quando l’aveva trovata. Non cercò mai di nascondere o attenuare la verità, ma la presentò al mondo nella sua integrità, senza equivoci o compromessi, senza lasciarsi mai scoraggiare dal timore di qualche potenza terrena.
Fu il più grande apostolo della non-violenza che l’epoca attuale abbia dato. Nessuno in Occidente, prima o dopo di lui, ha parlato e scritto della non-violenza così ampiamente e insistentemente, e con tanta penetrazione e intuito. […]
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Io non amo affatto la parola tolleranza, ma non ne ho trovate di migliori.
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Se non avessi il senso dell’umorismo, mi sarei suicidato da un pezzo.
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Posso dire di non essere mai stato interessato a un Gesù storico. Non mi importerebbe nemmeno se qualcuno dimostrasse che l’uomo chiamato Gesù in realtà non visse mai e che quanto si legge nei Vangeli non è che frutto dell’immaginazione dell’autore. Perché il Sermone della Montagna resterebbe pur sempre vero ai miei occhi.
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Se potessimo cancellare l’«Io» e il «Mio» dalla religione, dalla politica, dall’economia ecc. saremmo presto liberi e porteremmo il cielo in terra.
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Noi dovremmo essere capaci di rifiutarci di vivere se il prezzo del nostro vivere fosse la tortura di esseri senzienti.
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La vera bellezza, dopotutto, consiste nella purezza del cuore.
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Se pensi che tutto il mondo sia sbagliato ricordati che contiene esseri come te.
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L’assenza di paura è il primo requisito della spiritualità. I codardi non possono mai essere morali.
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Se Maometto potesse venire in India oggi, disconoscerebbe parecchi dei suoi cosiddetti seguaci mentre riconoscerebbe in me un vero musulmano, come Gesù potrebbe considerarmi un vero cristiano.
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Ho imparato la lezione della non-violenza da mia moglie, quando ho cercato di piegarla alla mia volontà. La sua determinazione nel resistere al mio volere da un canto, e la sua quieta sottomissione alla sofferenza provocata dalla mia stupidità, dall’altro, hanno finito per farmi vergognare di me stesso e convincermi a guarire dalla ottusità di pensare che ero nato per dominarla; in questo modo è diventata lei la mia maestra della non-violenza.
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La non violenza assoluta è assenza assoluta dal recar danno ad ogni essere vivente. La non violenza, nella sua forma attiva, è buona disposizione per tutto ciò che vive. Essa è perfetto amore.
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La non-violenza non è un paravento per la codardia, ma è la suprema virtù del coraggioso. L’esercizio della non-violenza richiede un coraggio di gran lunga superiore a quello dello spadaccino. La viltà è del tutto incompatibile con la non-violenza. Il passaggio dall’abilità con la spada alla non-violenza è possibile e, a volte, addirittura facile. La non-violenza, perciò, presuppone l’abilità di colpire. È una forma di deliberato, consapevole dominio del proprio desiderio di vendetta. Ma la vendetta è sempre superiore alla sottomissione passiva, pavida e inerme. Il perdono è ancora più alto. Anche la vendetta è debolezza. Il desiderio di vendetta nasce dalla paura del pericolo, immaginario o reale. Un cane abbaia e morde quando ha paura. Un uomo che non tema nessuno sulla terra considererebbe troppo fastidioso anche il solo esprimere collera, contro chi cercasse vanamente di ferirlo. Il sole non si vendica contro i bimbetti che gli lanciano la polvere. Nell’atto, essi non danneggiano che se stessi.
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Vorrei sopportare tutte le umiliazioni, tutte le torture, l’ostracismo assoluto e anche la morte, per prevenire la violenza.
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Il più duro metallo si arrende al grado di calore sufficiente. Nello stesso modo il cuore più duro deve fondere all’adeguato grado di calore della non-violenza. E non c’è limite alla capacità della non-violenza di generare calore.
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La non-violenza nella mia concezione significa combattere contro la malvagità in modo più attivo e più reale che con la rappresaglia, la cui vera natura è di aumentare la malvagità.
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L’amore umano che si concretizza nel matrimonio deve costituire la pietra di un guado verso l’amore universale.
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La carne non è un alimento adatto all’essere umano. Il nostro errore è di comportarci come gli animali inferiori, pensando di essere superiori.
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Questo mondo è tenuto insieme da vincoli d’amore e di dedizione. La storia non registra i quotidiani episodi d’amore e di dedizione. Registra solo quelli di conflitto e guerra. In realtà, comunque, gli atti d’amore e generosità, a questo mondo, sono molto più frequenti dei conflitti e delle dispute.
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Non c’è nulla nel Corano che giustifichi l’uso della forza per la conversione.
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Per me, la giustizia nei confronti dell’individuo, fosse anche il più umile, è tutto. Il resto viene dopo.
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Non è che nessuno abbia mai detto ciò che disse Tolstoj, ma il linguaggio di Tolstoj era magico, egli agiva proprio come predicava. Egli, abituato alle comodità del benessere, cominciò a lavorare fisicamente. Lavorava in una fattoria o faceva altri lavori per otto ore al giorno. Purtuttavia non rinunciò all’opera letteraria. Infatti, dopo aver iniziato il lavoro fisico, l’opera letteraria si fece più massiccia. Fu durante il tempo libero, in questo periodo di yajna, che scrisse quello che descriveva come il suo lavoro più importante, “Cos’è l’Arte?” La fatica fisica non influì sulla sua salute, ed era convinto di affinare il proprio intelletto. Gli studiosi della sua opera testimonieranno che era vero.
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Per me è sempre stato un mistero perché gli uomini si sentano onorati quando impongono delle umiliazioni a propri simili.
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I ricchi hanno una quantità superflua di cose di cui non hanno bisogno, e che perciò sono trascurate e sciupate, mentre milioni di individui muoiono di fame per mancanza di sostentamento. Se ciascuno possedesse soltanto quello che gli occorre, nessuno sarebbe nel bisogno e tutti vivrebbero soddisfatti. Così come stanno le cose, i ricchi sono insoddisfatti non meno dei poveri. Il povero vorrebbe diventare milionario, e il milionario multimilionario.
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Gli animali che vivono una vita semplice e libera non muoiono di fame, fra loro non si trovano ricchi e poveri, chi mangia molte volte al giorno e chi non ha da sfamarsi; queste differenze esistono solo in mezzo agli uomini. E tuttavia continuiamo a crederci superiori agli animali.
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È poeta chi ha la capacità di portare alla luce quanto di buono è latente nell’animo umano.
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Nessuna cultura può vivere se vuole essere esclusiva.
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Arrendersi all’opinione comune ottenebra lo spirito.
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Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci.
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Se urli tutti ti sentono, se bisbigli solo chi è vicino, ma se stai in silenzio, solo chi ti ama ti ascolta.
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