“Odio il capodanno”, l’inno alla vita di Antonio Gramsci

«Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno».

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Con queste parole inizia l’articolo di Antonio Gramsci pubblicato il 1° gennaio del 1916 nel quotidiano “L’Avanti”.
Un testo ormai molto famoso e condiviso da tutti coloro che non comprendono le ragioni di una tradizione quasi imposta e che spesso procura fastidio a chi ne avverte il suo superficiale conformismo.
capodanno 5Traffico impazzito, supermercati affollati nei giorni precedenti alla “grande festa”, gente in preda alla smaniosa ansia di celebrare questa ricorrenza o di mostrare semplicemente di aver speso una somma considerevole per “divertirsi”. Per non parlare di quegli auguri tutti uguali inviati in serie e spesso accompagnati da immagini di bottiglie di spumante e fuochi d’artificio. Auguri che dovremmo fare ogni giorno a tutti e a noi stessi.
E invece no.
Il mondo sembra impazzire solo quel giorno.
Sorrisi forzati, abbracci, buoni propositi per l’anno nuovo, abbuffate colossali e, adesso, con l’imperare dei social network, bisogna pure sorbirsi le foto del cibo consumato in questo fatidico giorno. C’è pure chi si prodiga a scambiarsi ricette di piatti molto elaborati ed esistono pure donne sottomesse, o semplicemente stupide, che trascorrono due giorni sui fornelli per preparare il cosiddetto cenone.
I ristoratori, approfittando di quella maggioranza stupida di persone che, priva di alcun senso critico, si affanna a prenotare quel noto cenone da cui poi disintossicarsi il giorno seguente, alzano smisuratamente i prezzi, ben consapevoli di avere ugualmente il pienone perché, si sa, “il capodanno viene solo una volta l’anno e che importa se costa molto“.
Ecco la mia espressione quelle poche volte in cui ho partecipato ad una festa di capodanno e che non ricordo nemmeno più a quanti anni fa risalga.

"Posso andare a casa adesso?"

“Posso andare a casa adesso?”

Devo ammettere di non aver mai amato alcuna festa comandata, religiosa e non.
Ogni giorno dovrebbe essere vissuto in modo speciale, di certo non con grandi abbuffate, accompagnate da successiva somministrazione di potenti digestivi, nel migliore dei casi.

"Sono uscito per capodanno una volta. L'ho odiato."

“Sono uscito per capodanno una volta.
L’ho odiato.”

Ogni giorno, ogni singolo istante della nostra vita dovrebbe essere vissuto come desideriamo veramente farlo. Ogni giorno dovrebbe spronarci a porci obiettivi nuovi da raggiungere. Ogni giorno dovrebbe essere vissuto come un sogno. Questo il significato del testo del grande statista di cui propongo la rilettura. Una rilettura che dovrebbe spingerci a riflettere su ciò che facciamo della nostra vita e a mai smarrirne lo spreco. Ogni giorno dovrebbe essere capodanno.

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Nel livore manifestato da Gramsci si legge una critica aperta a quel conformismo che induce a celebrare una ricorrenza in modo acritico e solo perché si tratta di una tradizione. Qualcosa dunque che suona quasi come un’imposizione e, se non ti unisci a gente urlante che brinda e aspetta la mezzanotte come se si trattasse della nascita di un figlio, vieni considerata una persona “strana” o semplicemente una “intellettualoide che vuole distinguersi dagli altri“.

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Poco e niente dovrebbe importare del giudizio altrui quando si tratta della nostra vita. Mai fare qualcosa che non si ha assolutamente voglia di fare nell’unica vita che abbiamo.
Tornando al nostro Gramsci, nel testo si nota un termine che non tutti conoscono: il “travettismo“. Un termine derivante dal protagonista di una commedia in voga in quel periodo e che nasce dalla penna di Vittorio Bersezio: “Le miseried Monsù Travet”. Una commedia che vede protagonista un impiegato dall’esistenza grigia e noiosa in attesa di una medaglietta di cartone che mai giungerà. Un personaggio maltrattato e asservito che ricorda per certi versi la mezza calzetta d’ufficio creata da Paolo Villaggio: Fantozzi.

L’ Accademia della Crusca definisce quel modo di fare contro cui l’autore si scaglia con particolare veemenza “travettismo” e ne spiega nel seguente modo il significato: «l’atteggiamento proprio di chi, appartenendo a un ceto impiegatizio di basso livello, in particolare dell’amministrazione pubblica, rivela scarso entusiasmo, iniziativa, personalità, mancanza di motivazioni».

"Odio il capodanno. I noiosi special alla TV, persone che si ubriacano perché il numero dell'anno è cambiato. Si celebra letteralmente il tempo che sta andando via. Veramente incomprensibile per me."

“Odio il capodanno. I noiosi special alla TV, persone che si ubriacano perché il numero dell’anno è cambiato. Si celebra letteralmente il tempo che passa. Veramente incomprensibile da parte mia”.

E sono principalmente queste persone a riporre in questo giorno tutte le loro speranze di cambiamento in una semplice ed insignificante data. Molti si aggrappano anche alla scusa che si tratta di un’occasione per stare insieme e divertirsi. Ma bisogna forse attendere tale giorno per farlo? Il testo di Gramsci vuole semplicemente ricordarci che la vita dev’essere vissuta intensamente ogni giorno ed ogni momento della nostra vita rappresenta una possibilità di cambiamento. E che quindi sia ogni giorno il nostro Capodanno. Oggi come ieri. Ogni giorno ognuno di noi dovrebbe fare i conti con se stesso e cercare di modificare quello che non riesce a farci stare bene.
Di seguito il famoso editoriale di Antonio Gramsci insieme ai miei più sentiti auguri di un rinnovamento quotidiano.

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Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno.

Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date.

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Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna. E sono diventati cosí invadenti e cosí fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 0 il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita. Cosí la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa il film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante.

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Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore.

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Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca.

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