Lucio Dalla, il cantore degli ultimi

dalla 1Eclettico e originale artista, Lucio Dalla ha creato un vasto mondo poetico che ha abbracciato vari generi musicali, spaziando dalla canzone politica a commoventi ballate crepuscolari. Prolifico cantautore, ha conquistato diverse generazioni di italiani e, così come altri artisti degli anni ’70 e ’80, è riuscito a superare i limiti dello stagnante panorama musicale della canzone tradizionale, accompagnando il ritmo interno della sua musica con profonde metafore cariche di ironia e di amarezza.
Definito da molti un poeta, la sua lunga carriera ha attraversato numerose fasi segnando cinquant’anni di storia della musica ed ergendo il suo estro e la sua profonda umanità, ad icona irrinunciabile di quel fervido periodo di contestazioni giovanili espresse anche attraverso le sue indimenticabili canzoni.

Nato a Bologna il 4 marzo del 1943, data di nascita che sarà poi usata come titolo di una delle sue più celebri canzoni, vive gli anni del dopoguerra in una delle città più segnate dal conflitto bellico di cui l’artista conserva un vago ricordo di fughe e bombardamenti.
Figlio unico di una famiglia della piccola borghesia, dopo la morte prematura del padre, avvenuta quando il piccolo Lucio ha sette anni, viene iscritto dalla madre in un collegio di Treviso in cui frequenterà la scuola elementare e comincerà a dar vita alle sue vocazioni artistiche esibendosi nelle recite scolastiche e intraprendendo poi lo studio della fisarmonica. Tornato a Bologna impara a suonare il clarinetto ed il disinteresse per la scuola si manifesta nella sua incapacità di seguire studi regolari. La sua prima passione è il jazz e sin da giovanissimo comincia ad esibirsi in pubblico sperimentando delle tecniche musicali in quel periodo ancora sconosciute in Italia.
dalla 2È uno dei primi cantanti ad usare lo stile “scat“, un canto improvvisato che imita gli strumenti musicali con la voce.
L’originalità dell’artista non viene recepita positivamente dal pubblico, ma lui sembra non preoccuparsene e prosegue imperterrito nella sua ricerca.
Malvestito, provocatore e con un aspetto fisico poco attraente, Lucio Dalla deve attendere molti anni prima di raggiungere il successo.
Gino Paoli si accorge presto del suo talento e gli consiglia di intraprendere la carriera di solista e di abbandonare il gruppo dei “Flippers” con i quali aveva cantato e suonato il sax e il clarinetto per alcuni anni.
Nel 1964 Dalla si esibisce al Cantogiro con la canzone “Lei (non è per me)“, scritta dallo stesso Gino Paoli. L’insuccesso è clamoroso e Dalla riesce a raccogliere solo fischi e lanci di ortaggi. Nonostante quel fiasco, non riesce a placare la sua passione per la musica e partecipa al Festival di Sanremo del 1967 con la canzone “Bisogna saper perdere” insieme ai Rokes di Shel Shapiro.

Lucio Dalla insieme a Patti Pravo Luigi Tenco.

Lucio Dalla insieme a Patti Pravo e Luigi Tenco.

Amico di Luigi Tenco, che aveva collaborato ai testi del suo primo disco, così commenterà il suicidio del grande cantautore avvenuto proprio nel 1967: «Con Tenco avevo avuto rapporti di amicizia e di collaborazione. Andammo a Sanremo insieme, prendemmo la camera vicina, e la sua morte mi sconvolse… non dormii per un mese».
Nel 1971 si presenta ancora una volta al Festival di Sanremo con una delle più poetiche canzoni da lui interpretate, “4/3/1943“, scritta da Paola Pallottino. Il brano subisce la censura sia nel titolo, originariamente “Gesubambino“, che in alcune parti considerate inadeguate. “Mi riconobbe subito proprio l’ultimo mese” viene modificata in “mi aspettò come un dono d’amore fino dal primo mese“, “giocava alla Madonna con il bimbo da fasciare” diventa “giocava a far la donna con il bimbo da fasciare” e  “e ancora adesso mentre bestemmio e bevo vino… per i ladri e le puttane sono Gesù Bambino” viene mutata in “e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino“.

Il brano conquista il terzo posto e riscuote un enorme successo. Verrà poi lanciato anche in altri paesi del mondo.
Nello stesso anno Dalla incide l’album “Storie di casa mia” ottenendo per la prima volta un riscontro significativo di vendite.
L’anno seguente presenta ancora al Festival di Sanremo un’altra canzone, ormai annoverata, così come “4/3/1943“, tra gli intramontabili classici della musica leggera italiana. La bellissima “Piazza Grande“, scritta da Gianfranco Baldazzi e Sergio Bardotti, i parolieri preferiti da Dalla fino a quel momento, e musicata insieme a Ron, riesce persino ad inumidire gli occhi del composto pubblico del Festival. Ispirata ad una storia vera, affronta con suggestivo lirismo il tema dell’emarginazione e della solitudine di un senzatetto.

Dopo i successi raccolti a Sanremo Dalla preferisce continuare il suo percorso artistico insieme al grande poeta marxista Roberto Roversi che aveva qualche anno prima fondato, insieme a Pier Paolo Pasolini, la rivista letteraria “Officina“.
La collaborazione con Roversi durerà quattro anni e darà luogo alla pubblicazione di tre album fondamentali per comprendere quella corrente musicale di breve durata, ma estremamente rilevante, che dominerà la scena musicale italiana tra la metà degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80.

 Roberto Roversi, Foto Nucci_Benvenuti.

Roberto Roversi, Foto Nucci_Benvenuti.

Definita in vari modi, tale corrente vedrà l’ingresso per la prima volta di temi attuali, politici ed esistenziali nella canzone italiana. Tra i suoi maggiori esponenti, oltre il nostro, bisogna menzionare Edoardo BennatoFabrizio De Andrè, Francesco De Gregori, Claudio Lolli, Antonello Venditti e Francesco Guccini.

La canzone diventa strumento di comunicazione volto a lasciar passare messaggi di ribellione nei confronti del potere e del perbenismo. Un fenomeno, come già evidenziato prima, destinato a svanire presto e veder di nuovo il sopravvento delle canzoni cosiddette “commerciali”, ovvero indirizzate alla massa, e per lo più prive di contenuti densi di significato.
Tre gli album incisi in quel periodo, “Il giorno aveva cinque teste” (1973), “Anidride Solforosa” (1975) e “Automobili” (1976). Quest’ultimo, le cui canzoni sono tratte da uno spettacolo di gran successo messo in scena insieme a Roversi, vede il rifiuto del poeta di porre la firma perché nettamente contrario alla sua incisione. La frattura tra i due è irreversibile, anche perché erano già nate delle divergenze di opinioni raccontate dallo stesso Dalla: «A un certo punto ci siamo divisi su come organizzare il nuovo lavoro: lui lo voleva in maniera estremamente rigorosa, impostata verso un approfondimento del linguaggio dei nostri lavori precedenti, per esempio lui voleva parlare ancora essenzialmente con un linguaggio politico, mentre io non ero d’accordo, perché bisognava allargare più contatti col pubblico».

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S’interrompe così una collaborazione decisiva per la formazione del futuro cantautore, in eterno debito verso quel poeta che gli trasmette l’amore per la potenza espressiva delle parole: «[…] Roversi mi ha insegnato cose ininsegnabili. Per partenogenesi, per osmosi, tirandomi da lontano delle freccine con la cerbottana, mi ha fatto capire delle cose che non avrei mai capito né a scuola né da solo né andando tre volte sul monte Sinai. Ho capito soprattutto l’organizzazione del pensiero della canzone, la parola, il segno, il senso, la forza».

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I tre album pubblicati in quel periodo si distinguono dai successivi per l’abbondante uso di metafore di ostica comprensione; il grande successo giungerà infatti nel 1977 con l’album “Com’è profondo il mare“, anch’esso ricco di metafore, ma meno ermetico rispetto alla produzione realizzata insieme a Roversi. È il primo album da cantautore di Lucio Dalla; la breve, ma significativa esperienza con Roversi lo spinge a gettarsi nel vuoto e a compiere uno dei passi più significativi della sua carriera.

A differenza della maggioranza dei cantautori di quel periodo, Dalla pone un’attenzione particolare non solo alle parole, ma anche alla musica. La fusione di diversi generi creano il cosiddetto “Dalla sound“, una combinazione di ritmi e di stili che spazia dal blues al rock, dal soul allo stomp. Una musica ben curata accompagna testi di struggente profondità e molto difficili da cantare.

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Canzoni quali “Com’è profondo il mare” e “Quale allegria” restano scolpite nella nostra memoria, suscitando ricordi mai appannati in chi ha avuto la fortuna, come me, di vivere quel singolare e inquieto decennio sbocciato dalle ceneri delle contestazioni sessantottine e destinato a svanire dopo i famigerati anni di piombo“.

Nel 1979 Dalla pubblica un album che reca il suo stesso nome. Un altro grande successo, altre canzoni di straordinaria profondità e l’inserimento di un altro strumento, la chitarra elettrica, che mette in risalto i momenti rock dei brani. Flauti e archi, altri strumenti amati dal cantautore, ci immergono in un’atmosfera quasi fiabesca ed accompagnano brani dolcemente malinconici e talvolta amari, così come accade nella splendida canzone dedicata a Milano.

Sarà il brano “L’anno che verrà“, incluso nello stesso album, ad annunciare la fine di un ciclo molto intenso di grandi illusioni presto frantumate dall’avanzata degli anni ’80 che con il loro edonismo, gli oggetti griffati da ostentare e l’effimero benessere induce alla capitolazione tutti coloro che avevano sognato una società diversa e assiste impotente al tramonto degli ideali di quella generazione profonda, ma nello stesso tempo confusa.

Indimenticabili i concerti dal vivo in cui Dalla si accompagna ai grandi cantautori Francesco De Gregori e Ron che prenderanno il nome di “Banana Republic“. È il 1979 e da quel memorabile tour sarà poi tratto l’omonimo album registrato dal vivo che vedrà la presentazione di brani inediti e la rivisitazione di alcuni brani del passato composti dagli artisti.

Lucio Dalla e Francesco De Gregori ritratti in un momento del tour "Banana Republic".

Lucio Dalla e Francesco De Gregori ritratti in un momento del tour “Banana Republic”.

Dal 1980, a parte rari casi come “Futura” e “Cara“, che rimandano tiepidamente all’esordio come cantautore di Lucio Dalla, la produzione dell’artista è meno ispirata. E con essa tutte le illusioni che facevano brillare gli sguardi di chi aveva vissuto pienamente quegli anni indimenticabili.

Nel 1986 Dalla si esibisce dal vivo all’estero e da quell’esperienza nascerà l’album “DallAmeriCaruso” che ottiene un grande successo grazie allo struggente brano dedicato agli ultimi giorni di vita del tenore Enrico Caruso.
L’anno dopo, il sodalizio con Gianni Morandi, simbolo dell’Italia delle canzonette orecchiabili, mostra in modo palese che il periodo fecondo dell’artista è ormai un lontano ricordo.

Lucio Dalla e Gianni Morandi Milano, 11 dicembre 1987 - Concerto al Palatrussardi - Il cantautore Lucio Dalla e il cantante Gianni Morandi

Lucio Dalla e Gianni Morandi

L’ispirazione iniziale viene meno e restano per sempre impresse nella nostra mente quelle canzoni composte nel periodo che, per intenderci con gli altri ammiratori di questo grande artista, chiamavamo del “Primo Dalla“.
L’ultima apparizione del cantautore in televisione avviene poco prima della sua morte con la canzone “Nanì” presentata al festival di Sanremo insieme a Pierdavide Carone.

Lucio Dalla e Pierdavide Carone, Festival di Sanremo 2012.

Lucio Dalla e Pierdavide Carone, Festival di Sanremo 2012.

Si spegne il primo marzo del 2012, stroncato da un infarto, dentro una camera d’albergo a Montreaux, in Svizzera, pochi giorni prima di compiere il suo sessantanovesimo compleanno.
Lascia una cospicua eredità che viene divisa tra i suoi parenti più prossimi e nulla spetta al suo compagno di vita, Marco Alemanno, in assenza di un testamento e di una legge sulle unioni civili, solamente pochi giorni fa approvata in Italia.

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