Gustav Klimt incarna in modo raffinato quel movimento denominato in modo differente nei vari paesi europei in cui si diffonde, tra l’Ottocento e il Novecento, e che in Austria è noto con il nome di “Secessione viennese“. Tale corrente artistica sorge dall’esigenza di rompere con la tradizione per accostarsi al mondo della natura e agli aspetti più reconditi dell’animo umano.
Lo stile di Klimt si distingue per l’audace fusione di elementi naturalistici con un’estrema eleganza decorativa quasi al limite dell’astrazione. I suoi ritratti, circondati da motivi geometrici che lasciano svanire l’effetto tridimensionale per giungere all’esaltazione di avvenimenti consueti della vita quotidiana, vengono trasformati, grazie ad un trattamento sontuoso della superficie, in momenti magici ed eterni in grado di far fluttuare l’osservatore in una dimensione onirica che trascende lo spazio e il tempo.
Gran parte della sua opera è stata spietatamente criticata per quei dettagli, spesso ben evidenti, che oltrepassano ciò che la fantasia del tempo è disposta a tollerare. Tuttavia i suoi dipinti non lasciano indifferente il pubblico viennese e, dopo un’iniziale opposizione della critica, che accusa di oscenità l’approccio poco allusivo dell’artista ai temi erotici, la sua opera è stata guardata con estremo interesse ed oggi Klimt è uno dei pittori più conosciuti dal grande pubblico per la sensualità delicata e velata che lascia trasparire nelle sue tele.
Capofila indiscusso della “Secessione viennese“, Gustav Klimt si distacca dal repertorio tradizionale e attinge al mondo della maternità, alla relazione inscindibile tra la vita e la morte e al mondo mitologico delle sirene, rievocando l’arte medievale e i mosaici bizantini. In un’atmosfera eterea di colori, forme e linee che svaniscono per dar spazio al contenuto effettivo del quadro si fondono simboli e astrazioni di estrema rilevanza. Per tale ragione Klimt viene anche considerato l’anticipatore della pittura astratta.
Figlio di un orafo e incisore boemo, Klimt nasce il 14 luglio del 1862 in un sobborgo di Vienna. Cresce in una famiglia numerosa costretta a traslocare spesso per le ristrettezze economiche che costringono il padre a cercare alloggi sempre più economici.
Fin da bambino mostra un particolare talento nel disegno e nel 1876 riesce a superare l’esame di ammissione per entrare nella Kunstgewerbeschule, la scuola d’arte e mestieri di Vienna. Gli studi compiuti gli consentono di acquisire le differenti tecniche usate nell’arte classica e nello stesso tempo di conoscere le novità artistiche del periodo.
Anche il fratello Ernst riesce ad accedere a tale scuola e lavorerà insieme a Gustav fino al 1892, lo stesso anno in cui il Ministero della Cultura e dell’Educazione affiderà a quest’ultimo la decorazione di alcuni saloni dell’università viennese.
Il lavoro collaborativo dei due fratelli giungerà alla fine a causa del decesso improvviso di Ernst, evento che, insieme alla morte del padre, scaraventerà Klimt nella più buia disperazione. Per più di un anno la sua vita, e di conseguenza la sua arte, subiscono una battuta d’arresto. Di poche parole e di temperamento schivo, l’artista riprenderà a lavorare per commissione, anche perché costretto a mantenere la propria famiglia.
Ma qualcosa sembra si cominci ad agitare in quell’artista che, pur accompagnandosi per tutta la vita ad Emilie Flöge, si racconta abbia intrapreso relazioni con numerose donne e riconosciuto ben quattordici figli.
Non pochi sono gli studiosi a smentire queste multiple esperienze amorose e a considerare solo “leggende” questi racconti su un artista molto distante dagli ambienti mondani e quasi sempre rinchiuso nel suo atelier situato nella periferia della città e circondato da un giardino incolto e numerosi gatti.
Ma se sulla sua vita sentimentale non pochi sono i dubbi che emergono, riguardo il suo animo ribelle è lo stesso pittore a renderlo ben palese nel 1897, quando fonda il già menzionato movimento della Secessione viennese che rigetta qualsiasi regola artistica ufficiale e convola a sé tutti quei giovani artisti desiderosi di allontanarsi da ogni schema.
Lo scopo di questo movimento si può desumere da un brano della lettera dello stesso Klimt in cui si legge che la secessione mira a «portare la vita artistica viennese in un rapporto vitale con l’evoluzione dell’arte estera e proporre delle esposizioni dal puro carattere artistico libere dalle esigenze di mercato».
Perché viene usata la parola “secessione” nelle regioni di aree tedesche per riferirsi alla volontà di distaccarsi dalle tradizioni?
Tale parola rimanda alla “secessio plebis“, una forma di lotta politica adottata dai plebei per mettere in difficoltà i patrizi e spingerli a conceder loro la parità di diritti.
Così comincia la ribellione dei giovani contro le regole stantie degli artisti sottomessi a dettami che ostacolano la libertà espressiva dell’arte.
Iniziata la sua carriera con la richiesta di commissioni per decorare prestigiosi edifici viennesi, che non mancarono di scatenare critiche da parte delle autorità per certi contenuti lontani dalla tradizione e bizzarre composizioni di dipinti, la vera e propria contestazione dell’arte di Klimt si scatena quando espone i primi quadri del periodo successivo alla nascita del movimento.
In “Nuda Veritas“, una delle prime opere provocatorie di Klimt, si legge un pensiero emblematico del filosofo Schiller: «Non puoi piacere a tutti con la tua azione e la tua arte. Rendi giustizia a pochi. Piacere a molti è male».
Già l’introduzione lascia presagire le intenzioni dell’artista che in questo dipinto rapisce l’osservatore con una figura di donna dalla carnagione pallida che sembra simboleggiare la verità, ostacolata ai suoi piedi da serpenti. Una nudità che non ha nulla di erotico e lo si evince dallo sguardo impenetrabile della donna volta solamente a difendere la libertà dell’arte. E quello specchio tenuto su una mano sembra invitarci a rifiutare ogni forma di condizionamento.
Nella prima versione di “Nuda Veritas“, l’artista pubblica nel 1898 un disegno su “Ver Sacrum” in cui è ancora più incisiva la sua visione dell’arte.
L’iscrizione sul disegno riporta il seguente pensiero di Leopold Schefer: «La verità è fuoco e parlare di verità significa illuminare e bruciare». Un’interessante sintesi del suo modo di vedere l’arte che gli esplode dentro e che brucia come specchio ardente degli elementi più misteriosi del nostro animo.
È forse la “Nuda Veritas” il quadro più significativo di questo grande artista, le cui opere adesso sono entrate in un processo di massificazione e vengono riprodotte anche su quaderni e agendine, spesso nelle mani di chi non ha mai voluto approfondire la peculiarità della sua arte.
Con “Giuditta e Oloferne” comincia il cosiddetto “periodo aureo” dell’artista in cui si nota la predilezione per l’uso dell’oro.
Il dipinto si riferisce ad un episodio biblico citato nell’Antico Testamento. Giuditta, nobile vedova ebrea riesce a salvare la sua città dall’invasione degli Assiri grazie alle sue capacità seduttive che fanno invaghire di lei il generale assiro Oloferne, successivamente decapitato dalla donna.
La figura femminile ritratta è particolarmente inquietante nella sua crudeltà e freddezza. La sua sensualità richiama la presenza della morte e non si riesce a fare a meno di notare gli occhi semichiusi in cui si coglie il suo distacco ritratto con le fattezze della nobildonna Adele Bloch-Bauer.
Interessante il contrasto tra l’oro e i gioielli e l’atmosfera cupa di una donna con mani che si posano come artigli sulla testa dell’uomo decapitato. Klimt realizzerà poi un altro quadro su Giuditta nel 1909 rimarcando maggiormente la malvagità della donna.
Come si può notare nel breve documentario da me riportato, la figura femminile, accompagnata da elementi decorativi, è la protagonista assoluta della maggioranza delle sue opere. Forse non vi è un altro artista che possa essere paragonato a Klimt nella sua accurata indagine sulla complessità dell’animo femminile riuscendo a coglierne le pulsioni meno comprensibili, le fantasie più sconvolgenti e il lieve candore di un essere misterioso eternamente oscillante tra vulnerabilità e forza, abbandono e capacità manipolatoria.
La donna è il contrasto della vita stessa in grado di elargire gioia e sofferenza a proprio piacimento. Tale figura è anche accompagnata da una ricorrente presenza di sensualità e da un senso di fugacità della vita che incombe minacciosamente nelle sue tele.
Nell’opera “Le tre età della donna” (1905) la caducità della nostra esistenza viene evidenziata in tutta la sua spietata crudezza.
Cogli tutti quei momenti di grazia che la vita ti offre, sembra continuamente suggerirci l’artista. Ogni momento è unico e irripetibile e il tempo vola via in fretta.
Così come viene immortalato su quel famoso promontorio fiorito quell’uomo che bacia con tenerezza una donna. Ci siamo mai soffermati a pensare quanta bellezza sia racchiusa nella nostra breve esistenza guardando il quadro più famoso di Klimt?
“Il bacio“, dipinto tra il 1907 e il 1908, ci immerge in un’atmosfera dorata e sognante di un luogo indefinito privo di riferimenti spazio-temporali.
Quest’opera riesce a placare l’animo di chi osserva con attenzione i quadri di Klimt. L’unione serena tra un uomo e una donna. Un bacio che resterà immortalato per sempre nell’immaginario collettivo. Nessuna presenza minacciosa che sembra voler turbare l’armonia di quel momento di totale abbandono. Un bacio sacro e magico. Nulla di erotico. I due amanti, contornati da una crisalide aurea, rappresentano quasi un’eccezione nella produzione artistica del pittore. Ha trasformato un semplice e tenero bacio in qualcosa di mistico. E finalmente la donna non appare più ritratta in simbiosi con il proprio figlio, estranea al mondo circostante. Non gioca alla seduzione, non lancia messaggi erotici, si lascia trasportare da quella fragilità femminile che trova nell’uomo un riparo dalle sue instabilità umorali. Non vuole più giocare, poggia con dolcezza la mano sulla nuca dell’uomo e si abbandona completamente a lui. Una liberazione della donna, spesso vista come figura angelica e demoniaca nello stesso tempo, simbolo di una vita incomprensibile che dona amore e sofferenza. E in quel sublime scambio di amore sembra che Klimt abbia superato la conflittualità tra uomo e donna e fissato per sempre quell’attimo di estraniazione verso il mondo, evento da afferrare per ricordare la magia della vita e non dimenticarne mai quella bellezza di attimi che mai più si ripeteranno.
Le composizioni dei mosaici bizantini, da lui studiati attentamente a Ravenna, vengono realizzate con sottili foglie d’oro e le figure geometriche, altro motivo ricorrente della sua arte, si differenziano nell’uomo, coperto da un vestito decorato con quadrati e rettangoli, a differenza di quello della donna, che presenta invece decorazioni tondeggianti.
Ma in questo piccolo omaggio a Klimt, non bisogna dimenticare di ricordare un’altra sua immensa opera, lunga trentaquattro metri e sviluppata su tre pareti del Palazzo della Secessione. Mi riferisco al “Fregio di Beethoven” (1902), notevole interpretazione metaforica dell’Inno alla gioia che conclude la Nona sinfonia del compositore tedesco.
Sulla prima parete si può osservare “L’Anelito alla felicità“, in cui il forte cavaliere armato, ovvero lo stesso Klimt, protetto da due muse, Compassione e Orgoglio, decide di prendersi carico dei dolori degli esseri umani e di condurre una lotta per poter esaudire il loro desiderio di felicità.
Per intraprendere tale impresa non esita a compiere un viaggio che lo costringerà ad attraversare il regno del male, dominato dall’ottuso gigante Tefeo con le sue tre perfide figlie, le Gorgoni dalle chiome serpeggianti che simboleggiano la malattia, la pazzia e la morte. Questa composizione, intitolata “L’ostilità delle forze avverse“, è raffigurata nella seconda parete, dove, accanto ai già citati personaggi, si vedono anche delle maligne figure femminili tra le quali vengono personificati tre vizi capitali: lussuria, accidia e gola.
Al centro della composizione risalta la grande bocca del drago demoniaco che sembra voler dominare sul tentativo di redenzione.
Tuttavia il cavaliere riesce a superare le forze ostili che cercano di ostacolare il suo cammino per raggiungere quell’anelito alla felicità nell’incontro con la Poesia.
L’anelito alla felicità è raggiunto: un guerriero nudo si unisce in un abbraccio con la poesia. La redenzione dell’uomo avviene attraverso l’arte ed il momento di liberazione viene raffigurato con l’abbraccio ad una donna.
Il cavaliere si libera della sua corazza e si lascia andare all’amore, accompagnato da un coro di vestali che celebra il bacio universale. Opera destinata a suscitare stupore e scandalo tra il pubblico dell’epoca, si distingue non solo per il simbolismo, caratteristica prevalente nelle sue opere, ma soprattutto per l’inserimento nelle composizioni di materiali alquanto insoliti: bottoni, vetri colorati, chiodi, decorazioni d’oro e frammenti di specchi.
Divenuto ricco in poco tempo, Klimt si comporta come un vero artista, continuando a vivere umilmente e compiendo solo brevi viaggi all’estero.
Grande lavoratore, non partecipa mai alla vita mondana viennese. Mostra disinteresse verso la politica e lo scoppio del primo conflitto mondiale non sortisce alcun effetto su quel mondo in cui decide di rintanarsi. La sua vita, dedicata interamente all’arte, si conclude il 6 febbraio del 1918, a causa di un ictus cerebrale.
Ben poco si conosce della sua personalità, solo attraverso una lettura attenta delle sue opere si può forse giungere ad intuire qualche particolare del suo animo.
Ma d’altronde se spesso non riusciamo a comprendere noi stessi, come possiamo sperare di riuscire a definire la personalità di un uomo, e in modo particolare di un artista?
Lo stesso Klimt lancia il seguente messaggio: «Chi vuole sapere di più su di me, cioè sull’artista, l’unico che vale la pena di conoscere, osservi attentamente i miei dipinti per rintracciarvi chi sono e cosa voglio».
Di seguito altre sue opere accompagnate da due suoi pensieri e da alcune citazioni che lo riguardano.
Sono bravo a dipingere e disegnare; lo credo io stesso e lo dicono anche gli altri, ma non sono sicuro che sia vero. Di sicuro so soltanto due cose:
1. Di me non esiste alcun autoritratto. Non m’interessa la mia persona come “oggetto di pittura”, m’interessano piuttosto le altre persone, specie se di sesso femminile, ma più ancora le altre forme. Sono convinto che la mia persona non abbia nulla di particolare. Sono un pittore che dipinge tutti i santi giorni dalla mattina alla sera. Figure e paesaggi, ritratti un po’ meno.
2. Non valgo molto a parlare o a scrivere, tanto meno se devo esprimermi a proposito di me stesso o del mio lavoro. Alla sola idea di dover scrivere una semplice lettera l’angoscia mi attanaglia come il mal di mare. Temo proprio si debba fare a meno di un mio autoritratto artistico o letterario, ma non è una grande perdita. Chi vuole sapere di più su di me, cioè sull’artista, l’unico che vale la pena di conoscere, osservi attentamente i miei dipinti per rintracciarvi chi sono e cosa voglio. (Chi sono e cosa voglio)
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Nessun settore della vita è tanto esiguo e insignificante da non offrire spazio alle aspirazioni artistiche.
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Chi sa vedere le cose belle è perché ha la bellezza dentro di sé.
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[Le donne nei ritratti di Gustav Klimt] Sono tutte creature che si sottraggono alla pesantezza terrestre, quale che sia la loro posizione nella vita reale del giorno e dell’ora. Sono tutte principesse per mondi migliori e più delicati. Il pittore le ha viste così, non si è lasciato ingannare, le ha giustamente innalzate agli ideali che in esse cantavano e gemevano.
Peter Altenberg
L’universo klimtiano si concentra sulla donna come idolo malsano e ossessivo e raccoglie la sfida al moralismo già lanciato da Schnitzler e Hofmannsthal, dalla misoginia di Weininger o dal motore erotico di Freud. Ecco allora corpi scomposti o riassorbiti in un decorativismo fortemente allusivo, ma nell’eterno divenire dell’essere umano anche l’ambiguo potere erotico della femme fatale cede allo spettro della morte.
Federico Zeri
Gustav Klimt è affascinato dalla seduzione femminile, che esalta con il preziosismo delle vesti e degli ambienti in un inno alla bellezza. Quale interprete del fasto viennese è un artista stimato e vede riconosciuto il valore della sua pittura.
Federico Zeri
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[…] nuovo mattino, uscirò per le strade cercando i colori._ Cesare Pavese _Gustav Klimt, “Apple […]
[…] Compie studi regolari senza però mai smettere di studiare violino o lasciar scemare la passione per la pittura nella cui scelta dei supporti includerà, oltre la tradizionale tela, insolite basi pittoriche, tra cui la carta di giornale, la juta e cartoncini di diverse misure. Nel 1898 si trasferisce a Monaco di Baviera, a Schwabing, il quartiere degli artisti. In questa città, ricca di fermenti culturali e artistici, frequenta l’Accademia delle Belle Arti, entra in contatto con la corrente artistica Jugendstil e si appassiona alle opere di Gustav Klimt. […]
[…] Pessoa è un sognatore, un disadattato che si trincera dietro nomi e biografie fittizie. Vive in un mondo parallelo, sognante, non visibile agli altri. Si nasconde quasi del tutto e, dopo aver fondato la rivista d’avanguardia “Orpheu“, che raccoglie le sperimentazioni futuriste, pauliste e cubiste, pochissime saranno le sue apparizioni in pubblico. La rivista, di brevissima durata, metterà in luce la prima invenzione teorica del nostro poeta, il Paulismo, ovvero quel modernismo portoghese che esprime una sorta di palude metafisica definita da Antonio Tabucchi, traduttore e grande studioso della poetica di Pessoa, dalle «tinte smaltate e decadenti che rimandano a Gaudí e Klimt». […]
[…] culturale notevole datogli dallo studio delle opere di Henri de Toulouse–Lautrec, Munch e Klimt, sensibili osservatori di quell’umanità sofferente e dolorosa di cui il nostro, pienamente […]
[…] sa vedere le cose belle è perché ha la bellezza dentro di sé.“– Gustav Klimt(? “Campo di papaveri”, […]