-Devo farti una domanda: come mai questi grandi occhi strani?
– Oh, vedi io penso che si vedano tante cose negli occhi… Gli occhi sono lo specchio dell’anima.
– Sì, ma tu li fai come fossero frittelle, sono troppo sproporzionati!
– Si, gli occhi sono il modo in cui esprimo le mie emozioni, li ho sempre disegnati così. Da piccola un’operazione mi ha lasciata sorda per un periodo e così mi sono ritrovata a fissare con lo sguardo, mi affidavo agli occhi della gente.
Uno dei casi più eclatanti, che evidenziano la posizione in cui veniva relegata la donna negli anni ’50, riguarda la vicenda della pittrice statunitense Margaret Keane, recentemente scomparsa, la cui storia è stata abilmente delineata dal grande regista Tim Burton nel suo lungometraggio “Big Eyes” (2014).
Il film è da considerarsi un omaggio del regista alla pittrice, la cui storia viene narrata dal giornalista scandalistico Dick Nolan (interpretato dall’attore Danny Huston).
Nata a Nashville, nello stato del Tennessee, nel 1927, conosciamo parte della sua vita nel film di Tim Burton quando, già sposata e madre di una bambina, lascia il marito per recarsi a San Francisco. Insieme alla figlia, alcuni oggetti personali e i suoi dipinti, la giovane donna si lancia nell’avventura di vivere da sola in una società ancora tristemente maschilista.
Margaret, interpretata dalla straordinaria Amy Adams, candidata più volte al Premio Oscar e vincitrice di due Golden Globes, in un momento di debolezza derivante dalle difficoltà economiche di mantenere se stessa e la figlia, accetta di sposare un agente immobiliare che espone per strada dei dipinti raffiguranti i vicoli del caratteristico quartiere Montmartre di Parigi.
L’uomo si rivela uno scaltro uomo d’affari che, rendendosi presto conto della grande potenzialità dei quadri della moglie tra il pubblico americano, la convince a non rivelare mai di essere l’autrice di quei dipinti perché gli ammiratori di quell’insolito genere di pittura espressionista sarebbero rimasti delusi nell’apprendere che fossero stati creati da una donna.
Tace Margaret.
Il silenzio ha sempre accompagnato la sua vita e il contrasto con il chiassoso marito che inonda di parole vuote quei dipinti sorti dall’animo delicato della donna, si fa sempre più evidente, scena dopo scena, in una San Francisco sgargiante con pettinature esagerate e abiti vistosi.
Walter Keane, tratteggiato in modo caricaturale e grottesco, è interpretato dal bravissimo Christoph Waltz, vincitore di due premi Oscar e di un Golden Globe. L’uomo costringe la moglie a dipingere segretamente anche sedici ore al giorno e ad esporsi raramente in pubblico. Costruisce un impero milionario creando stampe e cartoline tratte dai dipinti della donna e ostenta sfacciatamente la ricchezza commissionando continuamente quadri alla moglie per accrescere la propria smania di successo e di denaro.
E in fondo, in quel periodo, cosa poteva desiderare di più una donna divorziata e che, probabilmente, senza il suo “salvatore” avrebbe vissuto una vita di stenti ai margini della società? Sicuramente il primo marito sarebbe riuscito ad ottenere la custodia della figlia e lei avrebbe consumato la sua misera esistenza esponendo quadri che nessuno avrebbe mai degnato di uno sguardo perché dipinti da una donna.
Forse sono questi i pensieri che agitano Margaret e che la inducono ad assecondare per molti, troppi anni, i piani del marito.
Ma l’infelicità della donna cresce ogni giorno di più.
E i bambini che lei ritrae sono sempre più tristi accrescendo la fama del marito, considerato dal pubblico una persona sensibile e ostracizzato dai critici che mostrano di non apprezzare quella pop art così stridente con quella che loro considerano “vera arte”. Ma che importa se i critici non amano quegli occhi grandi, visto che i soldi continuano ad entrare a palate? La gente si commuove nel sentir parlare il pittore Walter Keane e nel vedere ritratti coloratissimi di bambini con grandi occhi tristi. È la moda del momento, la gente chic acquista quei quadri per esporli in lussuosissimi saloni senza domandarsi nemmeno cosa vogliano dire quegli occhi sgranati e malinconici e come rappresentino una nota stonata in mezzo a quello sfarzo. La borghesia si accontenta di esporre le stampe, dati i prezzi inaccessibili degli originali di “Walter Keane“.
La brama di successo del marito comincia a diventare insopportabile agli occhi della pittrice, costretta anche a mentire alla propria figlia, e incapace, ormai, anche di guardarsi allo specchio.
La fragile e delicata Margaret decide quindi di lasciare Walter e si reca alle isole Hawaii con la figlia, da sempre consapevole che sia la madre l’autrice di quelle opere d’arte. Dopo qualche anno la donna dichiara pubblicamente di aver dipinto lei quei quadri e conduce l’ex marito in tribunale.
Inutile rivelare il finale del film, visto che la storia di Margaret Keane, splendida over ottantenne che continua a dipingere quotidianamente, è ormai nota in tutto il mondo.
Soffermiamoci sullo stile insolito di Tim Burton, regista noto per gli scenari gotici e stravaganti e che stavolta sorprende il pubblico nel realizzare un’opera molto diversa dallo stile surrealista che ha sempre contraddistinto i suoi film.
Nelle interviste da lui rilasciate ha dichiarato di nutrire una grande ammirazione per Margaret Keane, la cui anima è molto simile alla sua e che
«quei ritratti erano dovunque al tempo della mia infanzia a Burbank, in California. Ma ho provato anche un senso di intima familiarità col personaggio di Margaret così com’è stato scritto sulla pagina, comunque fedele alla vera persona. Quando ero bambino parlavo a malapena. Non ero un comunicatore. E mi affascinavano le persone capaci di parlare. Margaret parla poco, mentre Walter è un abile oratore, e da qui sorge la nevrotica dinamica tra i due, un connubio tra opposti. Il caso bizzarro di due persone diverse che diventano una strana cosa singola, una forma di vita ibrida, Keane… Margaret è una personalità non verbale, come me. Non è capace di farsi valere con la parola. Si esprime con le sue tele, lascia che sia la sua arte a parlare per lei. Io funziono allo stesso modo.» Niente fronzoli dunque. L’anima della pittrice dev’essere espressa in modo incisivo. Occhi enormi e colori accesi. L’innocenza dell’infanzia viene infranta nello sguardo delle figure ritratte e che, come la stessa pittrice afferma, non riesce a comprendere da dove nascano: «Non ho idea del motivo che mi induca a dipingere ciò che dipingo. Penso derivi da qualcosa di inconscio che io stessa non riesco a comprendere».
Questa volta lo stile del grande regista visionario statunitense è asciutto e diretto. Vuole semplicemente raccontare una storia vera che l’ha profondamente colpito. E chissà se negli occhi di quei bambini può racchiudersi la sua infanzia e quella di tanti bambini solitari segnati dalla sofferenza molto presto? Il regista non ha mai fatto mistero sulla sua infanzia e adolescenza difficili e le sue favole dark hanno sempre mostrato le sue ossessioni infantili.
Film delicato e profondo, lascia appena intuire, nei dolorosi silenzi di Margaret, il ruolo marginale delle donne, così come quello dei bambini e degli animali frequentemente ritratti dall’artista. Tutti i suoi quadri si riconoscono per le dimensioni degli occhi, sproporzionati rispetto al resto della figura, e che sembrano racchiudere vicende interiori di enorme intensità.
Il poeta delle diversità, nonostante il suo ultimo film sia stato stroncato da molti critici, lascia sempre la sua impronta.
E il personaggio di Margaret con i suoi bambini dagli occhi che sconfinano in una inconsolabile tristezza resterà per sempre impresso nella nostra mente, al di là di quei quadri che molti hanno definito kitsch senza riuscire a definire cosa sia veramente l’arte. Lo stesso Andy Warhol afferma che «se i quadri della Keane piacciono molto devono necessariamente avere un valore artistico, ciò che piace non può essere definito brutto».
Le Nazioni Unite ancora oggi custodiscono il quadro “Tomorrow Forever” tra le loro collezioni.
Margaret Keane ha rivoluzionato l’arte. E di fronte ai suoi meravigliosi dipinti, che ancora oggi godono di un’ottima quotazione, le parole non bastano. Un ringraziamento a Tim Burton per aver realizzato un altro bellissimo film che ci ha anche consentito di conoscere meglio la storia di Peggy Doris Hawkins, questo il vero nome dell’artista. Una storia che lascia comunque un interrogativo sospeso. Se Margaret non avesse avuto accanto a sé un marito così cinicamente pragmatico, saremmo forse qui a parlare dei suoi quadri, o più probabilmente non avremmo nemmeno avuto la possibilità di vederli?
Di seguito il trailer del film ed altre opere di Margaret accompagnate da alcune sue citazioni.
Ho iniziato a ritrarre bambini sin dall’inizio della mia carriera. Naturalmente i bambini hanno occhi molto grandi. Per una ragione a me oscura, gli occhi di quei bambini diventavano sempre più grandi. Successivamente ho cominciato a dipingere figure immaginarie ed inspiegabilmente i loro occhi s’ingrandivano ulteriormente.
Le persone o amano i miei quadri o li detestano. Non esiste una via di mezzo riguardo la mia arte.
Adesso i vecchi e tristi colori sono scomparsi dai miei dipinti. Nei miei ultimi ritratti i bambini ridono e giocano con gli animali. Dipingo il paradiso sulla terra. Tuttavia, qualche volta, realizzo ancora quadri tristi perché non bisogna dimenticare che c’è molta tristezza su questa terra.
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