«Non è la sofferenza del bambino che è ripugnante di per sé stessa, ma il fatto che questa sofferenza non è giustificata.»
Albert Camus
Ancora una volta, attraverso un’immagine straziante, mi sento in dovere di parlare della tragedia dell’immigrazione che si sta consumando silenziosamente dinnanzi ai nostri occhi, giorno dopo giorno.
La fotoreporter Nilufer Demir, che ha immortalato il drammatico rinvenimento del piccolo Aylan Kurdi con foto destinate ad entrare nei libri di storia di chi verrà dopo di noi, ha così commentato l’immagine che ha commosso il mondo: «Aylan Kurdi giaceva senza vita a faccia in giù, tra la schiuma delle onde, nella sua t-shirt rossa e nei suoi pantaloncini blu scuro, piegati all’altezza della vita. L’unica cosa che potevo fare era fare in modo che il suo grido fosse sentito da tutti.»
E il grido di Aylan è stato udito da tutti. Anche da coloro che fino al giorno prima osservavano con distacco e preoccupazione le immagini di apertura dei telegiornali in cui uomini, donne e bambini, i cui visi venivano intravisti solo per pochi istanti, si tramutavano presto in sconosciuti “che stavano invadendo l’Europa”.
La rabbia e il dolore di quel grido silenzioso di Aylan si accresce con la consapevolezza di tutti quei volti non immortalati prima del 2 settembre e che avrebbero dovuto essere invece sbattuti in prima pagina sin dal primo giorno in cui questa tragedia ha avuto inizio. Adesso è un proliferare di petizioni che invitano le popolazioni europee a firmare affinché vengano accolti i rifugiati e siano aperti dei corridoi umanitari per evitare il traffico di esseri umani caricati su imbarcazioni fatiscenti e abbandonati a se stessi.
Una foto è riuscita a cambiare la percezione dei più di fronte a questa tragedia e l’obiettivo della fotoreporter, che ha considerato un “dovere professionale” immortalare quella scena, sembra essere stato raggiunto.
Per chi volesse firmare per invitare i leader europei a trovare una linea comune in grado di fronteggiare questa grave emergenza umanitaria, vi segnalo una petizione che ha già superato un milione di adesioni.
La foto del piccolo profugo di tre anni, disteso a faccia in giù su una spiaggia turca e lambito dolcemente dalle onde di un mare non sempre così accogliente, ha messo in rilievo, con la sua crudezza quasi irreale, l’inaccettabile situazione di molti rifugiati che cercano disperatamente di entrare in Europa.
Non pochi sono stati gli artisti che hanno donato al mondo una personale interpretazione della foto assurta ormai a simbolo del massiccio esodo di famiglie disperate che cercano di sfuggire alla guerra, alla fame o alle persecuzioni.
Artisti che hanno voluto descrivere la storia del piccolo Aylan attraverso opere toccanti che sembrano voler accarezzare quel bambino mai cresciuto. Ma anche attraverso immagini volte a schiaffeggiare tutti quei politici inetti incapaci di gestire un esodo prevedibile da molto tempo.
Gunduz Agayev è un pittore dell’Azerbaigian noto per i suoi dipinti satirici che ridicolizzano il fondamentalismo religioso ponendo anche in evidenza le sue nefaste conseguenze. E, come tutti coloro che riescono a ben distinguere il fanatismo dalla profonda spiritualità, accompagna il dipinto dedicato ad Aylan con parole rivolte a Dio. Un Dio amorevole che non divide il mondo in frontiere erette dagli esseri umani. Aylan gioca sulla spiaggia accanto al suo stesso cadavere coperto misericordiosamente dalla sabbia. Un dipinto che forse vorrebbe cercare di consolarci dalla tragedia della morte del bambino e di quella di altri profughi annegati nella speranza di poter raggiungere l’Europa.
Il vignettista turco Murat Sayin ha aggiunto al ritratto del bambino una barchetta di carta che galleggia tranquillamente sul mare, così come vengono immaginate le imbarcazioni nel mondo incantato dell’infanzia. Una barchetta creata con un piccolo foglio di carta, la stessa che tutti noi riuscivamo a realizzare quando eravamo bambini sognando di solcare le acque del mare verso luoghi immaginari e sconosciuti. Chissà se il piccolo Aylan, prima di salire sulla barca che lo avrebbe condotto alla morte insieme al fratellino e alla madre, aveva sognato di lasciarsi cullare dalle onde dal mare dentro quella barchetta di carta.
L’editore inglese Steve Dennis, che vive da tempo a Los Angeles, si domanda con tristezza come l’Europa si sia trovata così impreparata dinnanzi ad un esodo previsto da anni e realizza un commovente disegno il cui titolo lascia già intuire quello che avremmo voluto vedere. Il piccolo Aylan dorme nella stessa posizione in cui è stato trovato. Ma non sulla riva del mare. Il bimbo è adagiato su un letto e su di lui si vedono quelle luci notturne che aiutano i bambini a superare la paura del buio donando nello stesso tempo un tocco magico alle loro camerette.
La rabbia di Valeria Botte Coca, una ragazza di origini argentine che adesso vive ad Amsterdam, dove ha fondato l’associazione umanitaria e ambientalista “Top Social“, esplode con irruenza in un’immagine particolarmente forte indirizzata ai politici. Una foto che si spera possa scuotere le coscienze di chi ci governa affinché la morte di questo bambino e di altri profughi non sia almeno stata vana. Rammentare al mondo che il piccolo siriano inghiottito dal mare proveniva da Kobane, una cittadina ormai in mano all’ISIS, forse riuscirà a far comprendere a molti che questi disperati non lasciano il loro paese per staccare la spina e farsi una vacanza, ma per sfuggire ad una morte certa o a condizioni di schiavitù aberranti.
Non meno tenera nei confronti dei cosiddetti potenti l’opera realizzata da Umm Talha che davanti all’immagine di Aylan ritrae dei leader arabi con delle vanghe in mano. E quel mare azzurro della foto originale assume lo stesso grigiore dei politici inespressivi. Solo il piccolo profugo conserva intatti i colori dei vestiti che indossava.
Asem Kamal, un pittore e docente universitario di origini egiziane che da tempo vive negli Stati Uniti, ha preferito togliere ogni colore alla foto originale donando un paio di ali a colui che chiama “piccolo angelo”. Ali che lo condurranno lontano da questo mondo incolore e indifferente alle tragedie altrui.
E se il siriano Azzam Daaboul, rifugiatosi in Belgio dove svolge la professione di Web Editor e Graphic Designer, lavorando anche come volontario per aiutare i profughi, ci dona un’immagine in cui dinnanzi al corpo senza vita di Aylan piangono solamente alcuni animali marini, commentando l’immagine con parole molto dure, ma tristemente reali, la vignettista iraniana Mahnaz Yazdani, crea un’opera meno cupa con immagini di bambini sorridenti che dormono in riva al mare le cui onde fungono da coperte.
Con la speranza che l’umanità trovi una soluzione concludo la galleria delle immagini degli artisti toccati profondamente da questa terribile vicenda.
L’opera del vignettista malese Khalid Albaih intitola proprio così il suo omaggio al piccolo profugo.
Permessi di soggiorno, visti d’ingresso e frontiere.
Ci siamo mai domandati per quale ragione siano nati? La dignità di un essere umano non può essere limitata da barriere insormontabili che chi ci ha preceduto ha creato. Apparteniamo tutti ad una stessa famiglia e siamo ospiti su questa terra.
Tutti.
Senza distinzione alcuna.
E se vi saranno altri Aylan che non potranno condurre liberamente e ovunque vogliano, un’esistenza degna di essere vissuta, lontana da guerre e deprivazioni, la responsabilità sarà anche nostra.
Le parole di John Lennon in quella sua nota canzone, considerata dai cosiddetti pragmatici pura utopia, ancora accompagnano la vita di quei “sognatori” che riescono ad immaginare un mondo diverso da quello attuale.
Di seguito il link dove potete trovare La dichiarazione universale dei diritti umani. V’invito a leggere con particolare attenzione gli articoli 13 e 14. Anche quella dichiarazione è da considerarsi inattuabile? O per dirla tutta, è solamente carta straccia?
La memoria del piccolo Aylan e dei profughi di tutto il mondo è stata omaggiata anche dal noto gruppo irlandese U2 che, durante il concerto dal vivo tenutosi a Torino, hanno apportato un cambiamento ad una frase della canzone “Pride“(In the Name of Love). Ecco la frase modificata: “One boy washed up on an empty beach.” Ma non si sono limitati a questo; per sensibilizzare ulteriormente la gente, sono state mostrate su un maxischermo le foto di alcuni rifugiati.
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[…] Nessuna condanna al governo siriano, men che meno azzardare un commento sui bombardamenti effettuati dalla Russia di Putin. Ma non pochi, forse, hanno riflettuto intensamente su uno degli eventi più drammatici creati dall’uomo e sul modo in cui liberarsi per sempre da questa modalità di risoluzione dei contrasti ritenuta ancora oggi ineluttabile. La morte è ineluttabile. Ma non la guerra. E chi decide la guerra non siamo noi esseri comuni non rappresentati da nessuno. Quante altre fotografie come questa continueremo a vedere? Quante non abbiamo visto? Una tragedia mostruosa su cui ben poche parole vengono spese per raccontarne gli effetti. L’Europa è colpita dal terrorismo e siamo invasi da immagini e storie delle vittime degli attentati. Ma se in Siria si muore ogni giorno e vengono colpiti anche scuole e ospedali, pochi sono i secondi dedicati a questi eventi. Immagini veloci e sfuggenti. Proprio quel mondo occidentale che si scandalizza per i diritti umani violati resta in silenzio dinnanzi ai crimini di guerra perpetrati in Siria ed in altre parti del mondo. È estate. La maggioranza di noi è in vacanza. Non roviniamo questo agognato momento in cui sorseggiamo un cocktail sotto l’ombrellone o ci impegniamo a condividere le foto dei nostri viaggi su facebook. Eppure ieri la foto di quel silenzioso bambino siriano con lo sguardo perso nel vuoto è riuscito a scuotere le nostre coscienze. Così com’era accaduto con Aylan Kurdi. […]
[…] cadavere del piccolo Aylan Kurdi, simbolo della tragedia dei profughi.Nilufer […]