Antonio Ligabue, il “Van Gogh della Val Padana”

antonio ligabue

Autoritratto

Mi dicono che sono sporco, pazzo, irresponsabile e analfabeta. Solo perché non seguo la massa degli obbedienti, non ascolto i proclami del potere, non mi drogo con la televisione, non mi faccio prendere per il culo dai politici e tanto meno dai giornalisti. Mi dicono che non valgo nulla, come se il valore fosse dettato dall’obbedienza, dal silenzio della violenza, dal mettersi in ginocchio davanti ai governanti, dal copiare gli altri artisti, dal seguire le loro leggi.
E allora io rispondo: Se questo è il vostro valore, allora io sono ben lieto di non valere nulla, di essere un semplice pazzo analfabeta senza valore.

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La pittura di Antonio Ligabue privilegia l’interiorità e le emozioni che agitano l’animo dell’artista con immagini spesso particolarmente inquietanti e violente in cui emergono ritratti di animali feroci colti nei momenti di lotta. I suoi quadri appaiono sovente amari e spigolosi, semplici e disperati, una fusione di memoria e creatività in cui si può cogliere il tormento di un uomo che sembra compenetrarsi in quegli animali per trovare il riscatto da un’esistenza molto dura, priva di affetti e afflitta da una lancinante solitudine. Una solitudine devastante che lo induce, a volte, a fingere di avere accanto a sé un amore che gli scaldi l’animo, o addirittura ad indossare abiti femminili. Ed in quei colori accesi che contraddistinguono i suoi quadri s’intravede quella perenne ricerca di se stesso, uomo fragile e disadattato.
Il disagio e l’angoscia di una vita segnata dalla sofferenza si esprime in un’arte che mostra in primo piano l’estenuante lotta per la sopravvivenza che cattura un momento di alta tensione in cui l’osservatore viene scaraventato in scene piuttosto cruente di lotte tra animali impegnati in un conflitto. Un conflitto molto differente da quello ritratto nelle tele del precursore della pittura naïf Henri Rousseau, privo di quella ferocia che domina il mondo. Un conflitto in cui il predatore ha già soggiogato la preda.

"Leone e zebra in lotta"

“Leone e zebra in lotta”

Emblematica la sua maniera di cercare se stesso in oltre trecento autoritratti. La sua arte sorge dall’urgente necessità di placare, anche se per poco, il suo animo sofferente. Le tinte usate dall’artista, spesso acide e aggressive, diventano uno strumento immediato per tradurre le sue sensazioni.
La sua genialità è sicuramente da attribuire alla sua instabilità mentale e alla difficoltà di adattarsi alla società. Conduce un’esistenza fuori dagli schemi, vagabondando e domandando ospitalità e, nel silenzio della notte, dove a volte trova riparo dentro una stalla, emette dei suoni animaleschi che recano inquietudine in chi li ascolta.

ligabue 2La vita del pittore Antonio Ligabue, nato a Zurigo il 18 dicembre del 1899, non è stata facile. La madre è una giovane single bellunese emigrata in Svizzera ed il padre gli è ignoto. Registrato con il cognome della madre che poi si sposerà con un uomo da lui detestato per la violenza e l’aggressività, viene da quest’ultimo riconosciuto e per legge prende il cognome del patrigno: Laccabue. Ma il pittore, da adulto, cambierà tale per lui insopportabile macigno, in Ligabue.
Affidato da piccolo ad una coppia di svizzeri tedeschi, l’adozione non sarà mai ufficializzata. La famiglia affidataria ha inoltre gravi problemi economici e, per tale ragione, il futuro artista sarà malnutrito e afflitto da un rachitismo che gli darà un aspetto sproporzionato e poco gradevole anche quando sarà adulto.
Il suo temperamento inquieto e instabile gli reca molti problemi nella socializzazione e nell’ambiente scolastico e nel 1913 viene introdotto in una scuola per disabili in cui presto si distinguerà per le sue capacità artistiche. Viene poi espulso per cattiva condotta non solo dalla scuola ma anche dalla Svizzera su segnalazione della madre adottiva. Internato più volte in diverse cliniche psichiatriche per depressione, si reca in Italia e vive da vagabondo continuando, però, a coltivare la sua passione per l’arte e realizzando incantevoli disegni. Grazie all’aiuto di un ospizio per mendicanti situato a Gualtieri, comincia a dipingere.

Nel 1928  conosce il pittore e scultore Renato Marino Mazzacurati che si renderà subito conto della genialità di Ligabue e lo aiuterà a migliorare la sua arte. In quegli anni continuerà a dipingere e a vagabondare. I suoi tormenti interiori sfociano in gravi atti di autolesionismo che ne costringeranno un’ulteriore reclusione in manicomio. Ma nel 1941 lo scultore Mazzali lo aiuta ad uscire dalla clinica ospitandolo a casa sua in un paesino vicino Reggio Emilia. Durante la seconda guerra mondiale trova lavoro come interprete alle truppe tedesche, ma tale impiego dura poco; viene infatti rinchiuso per altri tre anni in manicomio per aver colpito con una bottiglia un militare tedesco.
Dal 1957 i critici cominciano a notare le sue opere, viene insignito di numerosi premi e la sua fama si divulga.

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Tuttavia il successo non lo aiuta a superare i problemi comportamentali dovuti ad una vita difficile e ad un’eccessiva fragilità psichica, sorta durante la sua infelice infanzia e che lo induce, per tutta la vita, a cercare di innalzare una barriera tra sé e il mondo, precludendogli così la possibilità di instaurare una relazione autentica con gli altri.

Non pochi sono gli studiosi che ritengono i suoi continui attacchi d’isterismo fasulli, un modo insolito di difendersi da una società ai suoi occhi ostile e incomprensibile. Oppure semplicemente un modo di attirare l’attenzione di una società indifferente.
Solo attraverso l’arte riesce ad attenuare l’agitazione che ottenebra la sua mente. In una cartella clinica si legge infatti: «Sorprendente in senso intellettuale il talento, spiccato e unilaterale, del ragazzo per il disegno.»

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Nient’altro che possa aiutare a comprendere la vera personalità di questo pittore. Chi lo ha conosciuto, quando ancora non noto vagava per le campagne, ricorda che era solito ripetere in modo ossessivo la seguente frase: «Dam un bès (dammi un bacio)», che suona come il grido disperato di un bambino mai cresciuto nella ricerca dolorosa di un gesto d’amore.

Muore a Gualtieri il 27 maggio del 1965. Ricordato attraverso mostre, film, documentari e composizioni musicali, Antonio Ligabue riesce a trasformare gli incubi che attanagliano il suo animo inquieto in geniali dipinti che rappresentano per lo più animali selvatici o domestici, unici esseri viventi con cui l’artista riesce a sentirsi a suo agio e ad instaurare delle relazioni imitandone persino i loro versi. Ligabue li ritiene nettamente migliori degli uomini, che per lo più mostrano di non accettare la diversità dell’artista, da sempre relegato ai margini della società.antonio ligabue il pittore degli animali
D’indole timida, con il passare degli anni il suo carattere solitario diventa una delle sue principali caratteristiche e trova sfogo in dipinti contraddistinti da genuina spontaneità. Di lui dice Andrea Mozzali: «Ligabue quando doveva dipingere un quadro se lo figurava già finito tutto nella testa. Non faceva nessun disegno, ma il quadro dipinto a olio lo cominciava da un particolare, generalmente dalla testa dell’animale, che lui voleva riprodurre. Finita la testa perfettamente, non aveva bisogno di ritocchi. Poi continuava col corpo, con zampe ecc. Gli altri animali, la preda, la vittima della belva, poi faceva tutto il paesaggio, ma pezzo per pezzo finito completamente che non aveva più bisogno di nulla.»
Protagonista principale delle sue opere è dunque la natura, ma non mancano quadri che raffigurano scene di vita contadina. In linea generale gli esseri umani non sono presenti, o se lo sono, vengono rappresentati come figure marginali rispetto agli animali che popolano i suoi dipinti.

"Leone e leonessa"

“Leone e leonessa”

Nei suoi quadri che, inizialmente, sono caratterizzati da tinte sbiadite con immagini sfumate, Antonio Ligabue, passa poi ad uno stile completamente differente in cui i colori violenti saranno gli indiscussi protagonisti dei suoi quadri sempre più simili a dei bassorilievi cromatici. Negli ultimi anni della sua vita il disegno sembra scomparire e la realtà viene raffigurata con uno stile che si avvicina maggiormente all’espressionismo.

antonio ligabue il pittore degli animali

Ruggito

Continua così Maurizio Vanni: «la sua è una condizione di chi ha dovuto subire la vita, di chi non ha mai potuto definire il proprio destino, in cui esistenza e arte si sono perennemente rincorsi senza mai incontrarsi, senza trovare pace, in un costante combattimento istintivo e violento, che ricorda quello del suo bestiario.»

"Leopardo assalito da un serpente"

Leopardo assalito da un serpente

Estraneo a qualsiasi corrente artistica, viene considerato il caposcuola della pittura naïf italiana, sebbene sia da considerarsi riduttiva tale definizione, visto che la sua arte è scevra da ogni schema e sorge da un’esigenza interiore non finalizzata ad alcun scopo di lucro.
ligabue 6Non si può non condividere l’opinione del critico sopracitato: «Ligabue è un randagio della cultura, un artista libero dentro che, alla vulnerabilità emotiva congenita, ha unito grandi tragedie personali vissute nell’infanzia e nell’adolescenza; la sua cosciente follia, la sua istintività primitiva, il suo lasciarsi trasportare da eccessi emotivi lo hanno reso unico nel panorama delle arti visive del secolo scorso.»
Vi segnalo questo sito web dove chi è interessato può approfondire l’opera di questo pittore complesso che lo rende a pieno titolo uno dei protagonisti indiscussi dell’arte moderna.
Il “Van Gogh della Val Padana”, così come viene definito, dopo la sua morte viene imitato inutilmente da molti pittori in cerca di successo. Ma, come è giusto che accada, la genialità è irraggiungibile perché sorge da un impeto interiore di individui che non riescono a vivere nella realtà. E nel caso di Ligabue, soprannominato anche il “matt” (il matto), si tratta di una genialità scaturita da un interminabile e angosciante sogno.


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