«Le mie collezioni rappresentano uno specchio della mia vita. Quando mi guardo, vedo altre donne come me, le mie sorelle, le mie amiche, le donne di questo paese.»
Shadi Ghadirian è una fotografa iraniana che vive e lavora a Teheran.
Nata nel 1974, proprio nella capitale di quel paese a noi poco conosciuto, è stata una delle prime donne a laurearsi in fotografia con una tesi sul Qajar presso l’Università di Azad, chiusa durante i primi anni ottanta dopo la Rivoluzione. Mentre frequenta l’università studia alcune delle prime opere della storia della fotografia iraniana. Tali immagini ispirano il lavoro di Shadi che realizza una serie di fotografie volte a catturare il mondo privato delle donne iraniane di oggi, sospese tra tradizione e modernità.
La fotografa sfida i pregiudizi internazionali del ruolo delle donne all’interno di uno stato islamico donando immagini tratte dalla sua esperienza di donna moderna che vive all’interno delle antiche leggi della Sharia. E le sue fotografie immortalano un’identità femminile positiva e olistica, cercando di cogliere l’umorismo in quei ruoli tradizionali che identificano le donne islamiche, e non solo loro.
Fino al 21 giugno potrete assistere ad una sua mostra a Milano alle Officine dell’immagine in via Atto Vannucci, 13.
La prima serie di fotografie di Shadi è stata denominata la Serie Qajar, nata dal progetto per la realizzazione della sua tesi di laurea.
Così dichiara riguardo quel primo suo periodo creativo: «Durante i miei studi universitari ho cominciato a lavorare presso un museo di fotografia stampando le vecchie foto da negativi e riportandole su vetro. Mi sono resa conto che in Iran abbiamo una buona cultura fotografica perché 150 anni fa il nostro re era appassionato di fotografia. E questo è accaduto solo in Iran, non negli altri paesi islamici circostanti, e ho voluto che tale cammino intrapreso continuasse.»
Shadi include nelle sue foto oggetti considerati proibiti o da usare con moderazione in Iran: lettori CD, televisioni, chitarre, libri censurati, lattine di birra, biciclette (le donne non possono andare in bicicletta, così come succedeva fino a poco tempo fa in Arabia Saudita).
Ritrae sorelle e amiche rigorosamente all’interno delle loro abitazioni per mostrare la situazione paradossale vissuta dalle giovani donne della sua generazione. Donne nate negli anni della rivoluzione cui è negato il diritto di ballare, ascoltare musica, bere alcol, o anche bere la Coca Cola o la Pepsi Cola e altri prodotti stranieri. Ma attraverso il mercato nero molti sono i prodotti che possono essere acquistati e le foto di Shadi mostrano ciò che accade dentro le abitazioni.
Lo sfondo utilizzato da Shadi prevede uno scenario classico dell’Ottocento per emulare l’aspetto grafico delle prime foto iraniane. Con il passare del tempo, alle lussuose composizioni classiche ha aggiunto qualcosa di moderno proprio per mostrare che anche le donne islamiche hanno trovato un modo per infrangere le regole ed esprimere sé stesse.
Le ragazze ritratte guardano l’obiettivo in modo fiero. Non abbassano gli occhi, non sono timide, corrono dei rischi, usano oggetti proibiti; non sono quelle donne timide e sottomesse che noi occidentali immaginiamo.
Quando Shadi si sposa con con il collega fotografo Peyman Hooshmandzadeh comincia a creare un’altra collezione fotografica in cui ritrae la vita quotidiana delle giovanni donne che intraprendono il percorso della vita matrimoniale. Tazze, piatti, pentole, scope e ferri da stiro entrano nelle immagini della fotografa.
In Iran le giovani vivono in famiglia fino a quando si sposano e, contrariamente alle aspettative, una ragazza appena sposata non è in grado di affrontare la vita domestica. Ignara delle faccende domestiche e delle ricette di cucina, lavori prima svolti dalla madre, dai camerieri o dai cuochi, Shadi è diventata una donna che non sa ancora usare quegli utensili che gli amici le donano. Nelle sue foto si vedono donne senza volto che indossano chador colorati e con fantasie floreali.
Shadi trascorre poco tempo in casa e la sera è molto stanca. A causa del suo lavoro viaggia molto ed il suo stile di vita le ha consentito di conoscere molte donne di tutte le parti del mondo, accorgendosi che è sempre la donna, anche se medico, insegnante o casalinga, a preoccuparsi dei figli e della casa.
Non nota una grande differenza tra le donne iraniane e quelle occidentali riguardo tale questione. Ed era molto giovane quando scoppia quella rivoluzione che obbliga le donne ad indossare il velo. Non ha mai conosciuto quel periodo storico in cui le donne iraniane indossavano le minigonne. È cresciuta con il hijab e non le reca alcun fastidio indossarlo. Probabilmente, dichiara, lo è per sua madre, costretta a portare il velo dopo la rivoluzione, ma per lei non costituisce alcun problema.
Crede che nella vita della nuova generazione iraniana sia positivo che la tradizione possa fondersi con la modernità e, se qualcosa è tradizionale e va bene per il suo popolo, l’accetta senza problemi. E se qualcos’altro proveniente da altri paesi può essere utile, bisognerebbe accettarlo con la stessa naturalezza. Ma le nuove generazioni non hanno questa libertà di scelta, mentre Shadi crede che aggiungere alle sue tradizioni qualcosa di moderno in grado di migliorare la vita potrebbe essere molto positivo. Ed è questa la storia che racconta attraverso le sue originali e talvolta drammatiche fotografie.
Quella quotidianità di donne che cercano la luce e la libertà, mentre intrecciano i fili della spessa ragnatela di convenzioni che le tengono imprigionate e che possono trovare una liberazione momentanea solo dentro le pareti domestiche.
Una mostra da non perdere per chi vive a Milano o nei dintorni della città.
Un’esibizione di foto di denuncia in bilico tra fantasia e realtà, tradizione e modernità, ma distante da certi preconcetti occidentali sull’oppressione delle donne islamiche.
“The Others Me“, questo il titolo della mostra, darà forse una percezione ambigua del messaggio di questa singolare fotografa, ma sicuramente riuscirà ad indurre riflessioni sulla condizione della donna (non solo nei paesi islamici) e sulle convenzioni di qualsiasi società.
Numerose sono state le mostre organizzate per celebrare Shadi sia in Iran che in Occidente; Londra, Barcellona, New York, Mosca e Parigi hanno visto esposte le sue opere. La fotografa vanta anche la presenza delle sue immagini in note e prestigiose collezioni pubbliche e private tra cui il British Museum e il Victoria and Albert Museum di Londra, il Centre Georges Pompidou di Parigi, il Los Angeles County Museum of Art in California e il Mumok, Museum Moderner Kunst Sitftung Ludwig di Vienna.
Immagini e video reperiti nel web

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