Basta pronunciare il nome di Al Pacino e ci si sente assalire da un senso d’impotenza. Non è facile definire con un semplice aggettivo la grandezza di un attore che riesce ad interpretare la complessità dell’anima senza trascurarne i lati oscuri e l’umanità.
Il suo inconfondibile stile sviluppa il metodo d’insegnamento recitativo ideato agli inizi del ‘900 da Konstantin Sergeevič Stanislavskij. Tale metodo, basato sull’approfondimento psicologico del personaggio da interpretare, svolge un’ossessiva ricerca sulle analogie tra l’universo interiore del personaggio e quello dell’attore. Per attuare la realizzazione di una prova recitativa eccelsa, che in Al Pacino si coglie nella profondità dello sguardo e nelle sue espressioni corporee, è necessario esternare e interpretare le proprie più recondite emozioni e infine rielaborarle dentro di sé.
Un lavoro d’immensa fatica che può anche lasciare emergere ferite mai cicatrizzate e che si traducono in Al Pacino in una recitazione brusca e irrequieta e uno sguardo in grado di trapassare lo schermo.
E lui, così come i personaggi che interpreta, ha sempre subito il fascino irresistibile del pericolo e di una vita ai margini della società e nella sua dirompente personalità si avverte quella disfatta esistenziale che lo avvicina a tutti coloro che riescono a percepire l’animo suo o dei personaggi che interpreta.
Chi è Al Pacino? Ovviamente le risposte non possono essere trovate nelle interviste da lui rilasciate o nella sua biografia. Solo di una cosa possiamo essere certi. Lui c’è. In ogni sua inquietante interpretazione. Nella sua alienazione, nel lampo di un sorriso appena abbozzato, nella sua lucida durezza e in quel meraviglioso mix di fragilità e superiorità che non invade mai lo schermo e sembra trasmettere quel senso di protezione di cui le donne, anche le più acerrime femministe, hanno bisogno.
Alfredo James Pacino, nasce a New York il 25 aprile 1940 da una famiglia di immigrati di origini siciliane. Il padre, agente assicurativo e ristoratore, abbandona la moglie e il piccolo Alfredo ancora in fasce, lasciandoli in gravissime difficoltà economiche. Alfredo cresce nel South Bronx, uno dei quartieri più degradati di New York, e comincia già da ragazzino a fumare, a bere alcolici e a sperimentare droghe leggere. Non proverà in giovinezza le droghe pesanti perché segnato profondamente dalla morte precoce di due suoi cari amici annientati dall’eroina. Rissoso e indisciplinato, abbandona gli studi a diciassette anni e svolge diversi lavori umili. In un’intervista dichiara di aver anche venduto il proprio corpo ad un’anziana donna.
Arrestato nel 1961 per possesso illecito di arma da fuoco, vede morire sua madre, di soli quarantatré anni, l’anno seguente.
Approda all’Actors Studio nella seconda metà degli anni ’60 e, dopo alcune esperienze teatrali, gli viene affidato il suo primo ruolo nel 1971. Il film, crudo e realista, è Panico a Needle Park, di Jerry Schatzberg, in cui il giovanissimo Alfred interpreta superbamente uno spacciatore di droga. Grazie a quel ruolo viene notato dai critici statunitensi e gli si spalancano le porte del successo nel 1972, quando viene scelto da Francis Ford Coppola nel ruolo di Michael Corleone ne “Il Padrino“.
“Il Padrino“, che non ha bisogno di alcuna presentazione, è considerato uno dei migliori film americani di tutti i tempi e investe Al Pacino di una popolarità impensabile fino a quel momento. Il grande regista Coppola riesce immediatamente a notare le qualità recitative del giovane attore. Acclamato in tutto il mondo, Al Pacino, con la sua recitazione incredibilmente realista e duttile, ottiene la prima candidatura all’Oscar.
Da quel momento, il successo, guadagnato faticosamente e con impegno quasi ossessivo, è inarrestabile. E tutte le sue interpretazioni restano scolpite nella storia del cinema, in modo particolare in quel ruolo che Coppola seguiterà ad affidargli nel Padrino Parte Seconda, dove esalta ancora di più la controversa personalità di Michael Corleone, fino alla conclusione della trilogia, in cui, come in una tragedia shakespeariana, paga le conseguenze delle sue scelte di vita nel modo più tragico che un uomo possa immaginare.
Indimenticabile la sua interpretazione nel film di Sidney Lumet “Serpico” (1973), dove gli viene affidato il ruolo di un poliziotto italo-americano realmente esistito che lotta contro la corruzione delle forze dell’ordine di New York, pagando la sua onestà con l’ostracismo e la ghettizzazione.
La carriera cinematografica di Al Pacino è contraddistinta da ruoli molto difficili in una costante sfida che un uomo dall’infanzia e dall’adolescenza segnata vuole probabilmente mostrare a se stesso.
Di seguito la sua filmografia completa fino al 2012, cui seguiranno altri tre film: The Humbling ( 2014), Manglehorn (2014) e Danny Collins (2015)
Negli anni ’80 un uso eccessivo di alcool e sostanze stupefacenti lo conduce sull’orlo di un baratro da cui riuscirà fortunatamente ad allontanarsi.
Personalità schiva e solitaria, vive in una villa sul fiume Hudson, situata a New York, con la figlia Julie, nata da una relazione con una misteriosa insegnante di cui non ha mai rivelato il nome. Gli fanno compagnia anche cinque cani e la sua enorme passione per il cinema in cui si è cimentato anche come produttore e regista. Insignito di numerosi premi e riconoscimenti prestigiosi, vince il Premio Oscar come Miglior Attore Protagonista nel 1993 nel ruolo di un uomo non vedente nel film “Scent of a Woman – Profumo di Donna“.
A questo ineguagliabile e inquieto figlio della New York emarginata, ormai entrato nella leggenda della storia del cinema, dedico un omaggio rammentando alcune delle sue riflessioni più significative.
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Davvero una bomba ad orologeria! Leggendario e unico Al Pacino. Non sapevo avesse avuto una giovinezza così difficile. Forte e vulnerabile. E solitario, come tutti i grandi. Bel post. Grazie.
Il dolore fulcro dell’energia creativa, ma non sempre purtroppo. Esistono persone che riescono a tramutarlo in forza vitale, altre che ne vengono annientate. Al Pacino ha inaugurato uno stile recitativo innovativo.
Nel suo sguardo, accompagnato da una gestualità per lo più algida, si leggono le stesse reazioni che potrebbe avere una bomba ad orologeria; può implodere o distruggere gli altri. O compiere entrambe le azioni.
Immenso. Un vero e proprio genio del mondo del cinema.
Ciao, Marina.
Al Pacino è algido soprattutto quando deve interpretare il mafioso e tuttavia riesce anche a fare intuire il proprio logorio interno. Sembra chiedersi continuamente se è giusto quello che sta facendo.
Concordo, grandissimo attore.
Il dolore? Magari si tramutasse sempre in arte! In alcune persone si tramuta in durezza e indifferenza. O forse mi sbaglio?
Giovanni
Il dolore purtroppo non si tramuta sempre in arte. Una vita difficile e grandi dolori spesso induriscono chi ha dovuto tollerare certe sofferenze e ciò succede nella maggioranza dei casi. L’espressività di Al Pacino è molto potente, così come in altri grandi attori che hanno condotto un’esistenza non facile. E allora sorge spontanea una domanda…la sofferenza, quale condizione ineluttabile della vita, aiuta a comunicare meglio con il mondo, anche e soprattutto attraverso l’arte? Probabilmente sì…i migliori artisti hanno concepito le loro opere per superare il proprio dolore. E nell’ossessività di una recitazione sublime quale quella di Al Pacino, si può facilmente cogliere un desiderio di interiorizzare il dolore per rasserenare il proprio animo. Forse non è una caso che lui sia riuscito ad eccellere in ruoli particolarmente difficili.
[…] conflittuali profondamente umani che vede tra i più grandi interpreti James Dean, Robert De Niro, Al Pacino, Jack Nicholson, Anthony Hopkins e Sean Penn. Uomini emotivamente vulnerabili e quindi pericolosi […]