Alberto Sordi, uno dei maggiori interpreti della commedia italiana, ispirata alla magistrale lezione del neorealismo, impone sul grande schermo l’italiano medio, pronto a cedere a meschini compromessi e a strisciare davanti ai suoi superiori o a qualunque persona ritenga possa essergli utile nella sua misera e viscida vita. La sua abilità nel rappresentare gli anfratti più sordidi delle meschinità quotidiane di patetici personaggi piuttosto comuni e familiari a tutti noi, riesce a fargli ottenere un enorme e duraturo successo tra il pubblico. Soprannominato “Albertone“, la sua fama è anche da attribuirsi a quella sorprendente duttilità che riesce a fargli interpretare personaggi sgradevoli e infimi, ma anche protagonisti inquieti alla ricerca di un riscatto morale. Numerosi i riconoscimenti ottenuti e non solo in Italia. Nel 1972 viene premiato come miglior attore al Festival di Berlino per “Detenuto in attesa di giudizio” di Nanni Loy, e nel 1995 viene insignito del prestigioso Leone d’oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia.
Nella sua vasta filmografia, impossibile da riassumere in un solo post, mette a nudo i numerosi vizi e le pochissime virtù del nostro popolo nella sua evoluzione dal boom economico del dopoguerra fino agli anni ’80, riuscendo ad analizzarne i mutamenti sociali e tramutandoli in ironici ritratti canzonatori sulle diverse sfaccettature dell’uomo italiano qualunque, talvolta schietto e invadente, spaccone e gretto, arrivista e borioso, ma in fondo insicuro. E lo interpreta senza cadere nella trappola di una comicità eccessiva o grottesca, ma delineandone la personalità e i gesti con estremo realismo.
Così come accaduto con altri grandi del cinema, riesce a far ridere di quell’antieroe messo alla berlina, suscitando nel medesimo tempo profonde riflessioni, sebbene nella maggioranza dei casi si pensa sempre che nemmeno uno di quei difetti rappresentati ci appartenga.
Nato il 15 giugno del 1920 a Roma da una famiglia piccolo borghese, ama esibirsi sin da bambino girando l’Italia con la compagnia del Teatrino delle Marionette indirizzato ad un pubblico di coetanei. Allievo nel coro della Cappella Sistina per breve tempo, a 16 anni incide un disco di fiabe per bambini.
Lascia l’Istituto d’Avviamento Commerciale ‘Giulio Romano’ di Trastevere, diplomandosi successivamente da privatista, e si stabilisce a Milano per frequentare l’Accademia dei Filodrammatici. Il suo marcato accento romano costituirà un ostacolo al suo sogno e, bocciato per quella sua peculiare inflessione che lo avrebbe poi reso famoso in tutto il mondo, sarà costretto a tornare a Roma.
La sua prima apparizione cinematografica avviene nel 1936 come comparsa nel film “Scipione l’Africano” e l’anno seguente Sordi viene scelto come doppiatore di Oliver Hardy (Ollio). Intraprende una discreta carriera di doppiatore di attori di successo ed inizia ad esibirsi nell’avanspettacolo come imitatore di Stanlio e Ollio usando il nome d’arte di Albert Odisor. Dopo il secondo conflitto mondiale, ottiene un grande successo alla radio con i programmi “Rosso e nero” e “Oplà“, presentati dall’indimenticabile conduttore Corrado, e successivamente con il programma ‘Vi parla Alberto Sordi‘.
Dopo ruoli secondari in più di venti film, nel 1950 riesce finalmente ad approdare ad un ruolo da protagonista nel lungometraggio di Roberto Savarese “Mamma mia, che impressione!”
Sarà Federico Fellini ad accorgersi del talento del giovane attore e ad affidargli il ruolo di un divo dei fotoromanzi che imbroglia le sue ingenue ammiratrici nel film “Lo sceicco bianco“.
I due film menzionati non otterranno grandi consensi da parte del pubblico e i produttori del film successivo di Fellini, acconsentiranno all’inclusione nel cast di Sordi solo a condizione che il suo nome non appaia nella locandina pubblicitaria. È il 1953 e, grazie al film in questione, “I vitelloni“, Albertone conquisterà definitivamente il pubblico e la critica.
La celebre scena in cui Sordi, che sta rientrando da una gita e deride un gruppo di sterratori, dandosi poi vigliaccamente alla fuga quando l’automobile su cui viaggia si guasta e gli operai si avvicinano per dargli una lezione, è ormai diventata leggendaria.
Improvvisamente investito da un enorme successo, diventa molto richiesto e interpreta altre commedie di poco rilevanza. In un episodio esilarante del film “Un giorno in pretura” di Steno, “America’ , facce Tarzan” nasce il personaggio di Nando Moriconi, “l’americano”, protagonista poi del famoso “Un americano a Roma” (1954).
Il film presenta una nuova comicità che non risparmia motivi per suscitare risate, ma nello stesso tempo, come accadrà nella maggioranza dei film da lui interpretati, lascia un sapore amaro in bocca per quell’impalpabile sensazione di disagio insinuata da quel personaggio esterofilo che conosce gli Stati Uniti solo attraverso il cinema e che si aggira con un berretto da baseball, cercando di imitare il look americano, e che, nonostante ignori l’inglese, usa delle frasi che ormai fanno parte della storia del cinema: «Polizia der Kansas City… orait orait…».
Forse perché quel Nando sbruffone e vile, falso e arrampicatore rappresenta quell’uomo qualunque che spesso avvelena la nostra vita quotidiana nel “Belpaese”.
Con il film sceneggiato da Vitaliano Brancati e diretto da Luigi Zampa, “L’arte di arrangiarsi” (1954), l’opportunismo senza scrupoli di un altro uomo qualunque disposto a cambiar bandiera politica continuamente per i propri interessi, la nuova comicità di Sordi irrompe nel cinema italiano e si distingue da quella di altri interpreti a lui contemporanei o che lo avevano preceduto.
Comici le cui caratteristiche fisiche o comportamentali li pongono in condizioni di inferiorità rispetto all’ambiente in cui si muovono. Basta pensare ad alcune maschere del cinema, come il buffo ometto Charlot che ispira tenerezza e vive ai margini della società, o altre maschere ben caratterizzate come Macario o Totò, che dei loro svantaggi fanno un punto di forza, ispirando empatia negli spettatori, per rendersi conto che Sordi introduce una nuova comicità caustica.
Nulla di buffo nel suo fisico, Sordi è un uomo qualsiasi di circa trent’anni, né particolarmente brutto, ma nemmeno bello, un personaggio del tutto insignificante. Il suo modo di interagire non possiede niente di divertente, non è uno stupido e non è nemmeno impacciato. Un individuo qualsiasi come ne incontriamo ogni giorno, spesso irritante e che ci fa sentire superiori, sebbene alcuni suoi difetti potrebbero anche appartenerci.
Difetti che mai confesseremo.
Nemmeno a noi stessi.
Dietro quel personaggio realistico interpretato da un artista di enorme talento si svela una parte ben nota del nostro paese, talvolta ingenua e superficiale, che insegue i soldi facili, i titoli e le raccomandazioni. L’italietta degli “onorevoli, eccellenza, cavalieri, senatori” del buon Rino Gaetano, altro nostro gigante di quella satira al vetriolo che riesce a far sorridere amaramente.
Non solo un attore. Dei testi dei film da lui interpretati ne è molto spesso collaboratore e si affianca talvolta al regista arricchendo molte scene e recando così la sua impronta personale.
Dopo il successo di “Un americano a Roma”, il suo nome fa il giro del mondo e nel 1955 il presidente degli Stati Uniti Truman gli consegna le chiavi di Kansas City e lo nomina Governatore onorario della città, per la positiva propaganda agli Stati Uniti racchiusa nell’indimenticabile Nando Moriconi che sembra vivere dentro un film americano.
Da quel momento in poi la filmografia dell’instancabile Alberto Sordi è una lista inarrestabile di lungometraggi ormai divenuti veri e propri cult della storia del cinema italiano e di cui ne nomino solo i più significativi.
“Un eroe dei nostri tempi” (1955) e “La grande guerra” (1959), entrambi diretti dal maestro Mario Monicelli, “Il vigile” (1960) e “Il medico della mutua” (1968) di Luigi Zampa, ” Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata” (1971) e “Finché c’è guerra c’è speranza” (1974) diretto dallo stesso Sordi.
L’interpretazione di “Un borghese piccolo piccolo” (1977), diretto anch’esso da Mario Monicelli, rappresenta un cambiamento molto rilevante nella carriera cinematografica di Sordi, che per la prima volta spezza quel legame comico e tragico riscontrabile in altri film. Ed è questo il momento in cui la famosa commedia all’italiana invia il suo messaggio conclusivo. Un periodo significativo della storia del cinema volge a termine e, sebbene Sordi continuerà a recitare, a parte qualche raro caso come “Il marchese del Grillo” (1980), non credo vi siano film da lui interpretati che possano minimamente paragonarsi ai suoi primi lavori cinematografici.
Duranti gli anni ’80 Sordi riceverà molte onorificenze internazionali tra cui bisogna ricordare la rassegna a lui dedicata “Alberto Sordi – Maestro of Italian Comedy” al Carnegie Hall Cinema di New York nel 1985.
Estremamente riservato, nulla ha mai lasciato trapelare della sua vita privata.
Ancora oggi della sua immensa produzione del periodo in cui nella commedia all’italiana era stato ineguagliabile, continuano ad essere riproposti i suoi film nel piccolo schermo, incontrando le simpatie anche delle nuove generazioni.
Si spegne il 24 febbraio del 2003, a Roma, all’età di ottantadue anni, dopo aver lottato a lungo contro una grave malattia.
Di seguito alcune sue citazioni.
La pennica è sacra: un’ora e mezza a letto ogni giorno dopo pranzo. Sto disteso e godo nel sentire i clacson in lontananza. Quelli della gente che sta in macchina, in coda, suda, si affanna. Io ridacchio fra me e me e penso: ma ‘ndo annate?
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Io la tristezza la nascondo. Ecco, l’unica volta che recito, non davanti alla macchina da presa, è il fatto di non manifestare tristezza perché ho capito che non importa niente a nessuno delle mie tristezze, perciò non mi confido mai e dico: – Tutto bene, tutto bene. Me la tengo per me.
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L’indolenza è una filosofia che raccomando a tutti: oggi il cittadino romano non esiste più, siamo presi da una vita convulsa, tutti vanno di fretta. A Roma un tempo, se uno passava di corsa, lo prendevano, lo sbattevano contro una porta e gli dicevano: «’Ndo’ scappi?». Perché a Roma, se correvi come un matto, poteva voler dire solo che scappavi. Ma l’indolenza era anche un aspetto della voglia di ragionare sulle cose, di non accettare in maniera ottusa, di non seguire le mode. Oggi non riflettiamo più sulle nostre azioni, trasgrediamo o commettiamo delle crudeltà anche per mancanza di riflessione. Una volta anche solo il fatto di andare a piedi, di salutarsi, di sentirsi parte di una società, aiutava ad essere più umani.
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Non ho voluto anticipare nulla, solo raccontare il presente.
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Tutto è diverso da quaranta, cinquanta anni fa: il modo di vivere, lo stesso comportamento si è modificato. Oggi si vive seguendo i dettami di questo sfrenato consumismo che la televisione propone. Tutti quanti credono di dover vivere in quel modo lì. Questo non permette più di fare riflessioni e di commentare: “Mah!”, di fronte a ciò che accade.
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La vita è un dono troppo grande per non godersela.
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Perché vedete le guerre non le fanno solo i fabbricanti d’armi e i commessi viaggiatori che le vendono, anche le persone come voi le famiglie come la vostra, che vogliono, vogliono e non si accontentano mai: le ville, le macchine, le moto, le feste, il cavallo, gli anellini, i braccialetti, le pellicce e tutti i ca**i che ve se fregano, costano molto! E per procurarseli, qualcuno bisogna depredare, ecco perché si fanno le guerre! – (Da “Finché c’è guerra c’è speranza”)
Sono fuori dalle logiche politiche, per questo ho fatto la satira di tutti.
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Nei miei film io mi limito a riflettere le inquietudini di tutti noi, il pessimismo dilagante.
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Ero in piazza Navona, il cuore della città. A un certo punto vedo spuntare, prima a destra e poi a sinistra, quattro ceffi che non promettevano niente di buono. Questi ti fanno blu, mi sono detto. Per fortuna, arrivato a pochi passi da me, uno dei ceffi mi riconosce: “Albe’ – grida – Albertone bello, ma dove cavolo vai a quest’ora di notte?”. E rimettendo in tasca qualcosa, che poteva essere una pistola o un coltello, mi dà una gran botta sulla spalla. Così fanno anche gli altri manigoldi. “Andiamo a bere qualcosa!” dice uno coi baffi. “No, grazie – mi difendo – ho un gran mal di testa, fate finta che ho accettato”. Qualche volta anche i teppisti hanno un’anima. Ma fino a quando?
La ginnastica, il footing e le attività del genere sono in gran parte masochistiche, punitive della nostra istintiva passione per la spaparanzata.
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Roma non è una città come le altre. È un grande museo, un salotto da attraversare in punta di piedi.
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Le cattive abitudini le prendo subito.
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