Herman Melville, scrittore e critico statunitense di enorme rilievo nella letteratura americana e mondiale, viene considerato un autore di immensa profondità, in grado di esplorare i sempiterni interrogativi esistenziali, morali e metafisici attraverso la narrazione avventurosa e la riflessione filosofica. La sua opera non solo abbraccia temi complessi come la lotta tra il bene e il male, la ricerca di senso nell’universo e il potere indomabile della natura, ma presenta anche uno stile narrativo ricco di simbolismi e di raro linguaggio poetico.
Melville utilizza un linguaggio dai molteplici risvolti, indubbiamente denso di significati, a volte quasi lirico, in particolar modo quando esplora temi filosofici e morali. La sua prosa è caratterizzata da periodi lunghi e articolati, pieni di subordinate, che riflettono il suo desiderio di esplorare a fondo ogni concetto. Nel suo capolavoro “Moby Dick“, abbandona sovente la semplice narrazione per intraprendere riflessioni filosofiche che si intrecciano con la trama principale, riuscendo a donarci nelle sue descrizioni un’aura di solennità e grandezza, anche quando parla di dettagli quotidiani o tecnici. Un esempio emblematico è l’uso della balena bianca, che non è semplicemente un animale, ma assume una dimensione simbolica e mitologica, esprimendo una moltitudine di significati tra cui l’insondabilità della natura, l’ineluttabilità del destino, il male cosmico e il conflitto tra l’uomo e l’universo. Questo approccio simbolico si estende a molti altri aspetti del romanzo, come la nave Pequod, che rappresenta un microcosmo della società, e i vari personaggi, ciascuno portatore di simbolismi morali e filosofici. La sua scrittura allegorica non si limita solamente al suo romanzo più noto; non bisogna infatti dimenticare che anche in altri racconti, come “Bartleby lo scrivano“, Melville utilizza il personaggio di Bartleby come un simbolo dell’alienazione moderna e dell’incapacità dell’uomo di adattarsi a una società meccanizzata e disumanizzante. Il personaggio è una figura enigmatica, che resiste a ogni tentativo di essere compreso, rappresentando l’insondabilità della natura umana. Il famoso rifiuto di Bartleby, “Preferirei di no“, è una frase semplice ma carica di significato filosofico, che si presta a diverse interpretazioni sul libero arbitrio, sulla resistenza passiva e sull’incompatibilità dell’uomo con il sistema.
Abbastanza frequenti sono le sue digressioni, che spesso interrompono il flusso narrativo per approfondire questioni filosofiche, scientifiche o storiche. In “Moby Dick”, questi momenti di riflessione sono frequenti e spaziano dai dettagli della caccia alle balene fino a lunghe dissertazioni sull’anatomia dei cetacei o sulle implicazioni morali della caccia. Queste digressioni hanno lo scopo di ampliare la portata del racconto, trasformando un’avventura marina in una meditazione universale sull’esistenza. Un esempio significativo è il capitolo “Cetologia” del suddetto romanzo, in cui Melville inserisce una lunga dissertazione scientifica sulla classificazione delle balene. Questi momenti, che possono sembrare lontani dalla trama principale, servono a costruire un universo narrativo ricco di sfumature e ad esplorare le implicazioni filosofiche e simboliche della storia.
Profondamente influenzato da Shakespeare e dalla Bibbia, due fonti che permeano il suo stile e la sua struttura narrativa, nelle sue opere si notano riferimenti frequenti alla Bibbia, non solo in termini di temi religiosi e morali, ma anche nel tono e nel linguaggio. Tale testo religioso gli offre un linguaggio ricco di metafore e allegorie, che utilizza per esplorare le sue riflessioni metafisiche.
L’influenza di Shakespeare è particolarmente evidente nei suoi dialoghi, che spesso richiamano il dramma shakespeariano, soprattutto nelle opere più tarde. I personaggi di Melville hanno una dimensione tragica che richiama le figure eroiche e ossessionate di Shakespeare, e il loro linguaggio è spesso solenne e altamente drammatico.
Nonostante il suo raro talento verso il simbolismo e la metafisica, Melville è da considerarsi anche un realista, capace di descrivere con estrema precisione la vita a bordo delle navi, le tecniche della caccia alle balene e i dettagli della vita marinaresca. Questo realismo dà alla sua narrativa un forte senso di autenticità, radicando le sue riflessioni filosofiche in un contesto concreto e vivido.
Il suo stile è dunque una combinazione unica di realismo e simbolismo, profondità filosofica e narrativa avventurosa. Il suo linguaggio ricco e complesso, l’uso del simbolismo e delle digressioni, insieme alla capacità di creare personaggi psicologicamente complessi, rendono la sua opera straordinariamente sfaccettata e impegnativa. Con una visione dell’esistenza che oscilla tra il tragico e il metafisico, è riuscito a creare opere che parlano tanto all’intelletto quanto alle emozioni, lasciando un’impronta indelebile nella letteratura mondiale.
Herman Melville nasce a New York City il primo agosto del 1819 da Allan e Maria Gansevoort Melvill. A metà degli anni ’20, il giovane Melville si ammala di scarlattina e, sebbene riacquista presto la salute, la sua vista verrà compromessa in modo permanente dalla malattia. La sua famiglia gode di una vita agiata per molti anni grazie al successo di Allan come importatore e commerciante di lusso. Tuttavia, per finanziare i suoi interessi commerciali, Allan prende in prestito molto denaro e, dopo aver trasferito la famiglia nella parte settentrionale dello stato, ad Albany, in un fallito tentativo di diversificare il suo commercio di pellicce nel 1830, la fortuna della famiglia subisce un duro colpo. Quando Allan si spegne improvvisamente nel 1832, le finanze diminuiscono in modo notevole. Questo evento segna profondamente la giovinezza di Herman, obbligandolo a lavorare fin da giovane in vari impieghi che non riescono a gratificarlo. La sua passione per il mare nasce nel 1839, quando si imbarca come mozzo su una nave mercantile, la St. Lawrence, esperienza che ispirerà molte delle sue opere.
Nel 1841, Melville intraprende il suo secondo viaggio in mare dopo essere stato assunto per lavorare a bordo dell’Acushnet , una baleniera. Il suo successivo viaggio avventuroso gli fornisce una profonda ispirazione per la sua carriera letteraria ancora da realizzare. Dopo essere giunti alle Isole Marchesi della Polinesia nel 1842, Melville e un compagno di equipaggio abbandonano la nave e, poco dopo, vengono catturati dai cannibali locali. Sebbene Melville non subisca maltrattamenti, riesce a fuggire dopo quattro mesi a bordo di un’altra baleniera, la Lucy Ann, e viene incarcerato dopo essersi unito all’equipaggio in un ammutinamento. Finisce poi alle Hawaii prima di prendere un passaggio per tornare in Massachusetts sulla USS United States , tornando così a casa tre anni dopo la sua partenza.
Melville comincia subito a scrivere per catturare sulla carta le sue esperienze. “ (1846), è il suo romanzo d’esordio, una combinazione dei suoi racconti personali e di eventi immaginari che attira l’attenzione del pubblico e della critica per le sue descrizioni dettagliate della vita di mare. In questo romanzo lo scrittore mette a confronto il mondo “civilizzato” occidentale con quello “selvaggio” polinesiano, dipingendo un quadro ambivalente della vita dei Typee. Da un lato, la loro esistenza sembra libera dai vincoli della società industrializzata, dall’altro, Melville esplora la paura e il mistero che circondano i nativi, spesso dipinti dagli occidentali come cannibali. Questo tema del “buon selvaggio”, simile a quello di Rousseau, è centrale nella narrazione.
Nel 1847 pubblica il suo secondo romanzo: “Omoo“, anch’esso ispirato alle sue esperienze reali nel Pacifico. Il titolo del romanzo deriva da una parola tahitiana che significa “viaggiatore“, e l’opera descrive le vicende del protagonista, che dopo essere fuggito dai Typee, si unisce a un’altra nave, solo per finire incarcerato a Tahiti per aver partecipato ad un ammutinamento.
Rispetto a Typee, Omoo è meno romantico e più critico nei confronti dell’interazione tra colonialismo occidentale e popoli indigeni. Melville denuncia l’impatto negativo della civilizzazione europea sulle culture locali, evidenziando il degrado morale e la distruzione culturale causati dalle missioni religiose e dall’imperialismo. Sebbene meno famoso del suo predecessore, Omoo consolida la reputazione di Melville come scrittore avventuroso e attento osservatore del mondo.
La sua carriera è in ascesa, e nel 1847 Melville sposa Elizabeth Shaw, figlia del giudice capo del Massachusetts. Dal matrimonio nasceranno quattro figli. Due anni dopo pubblica “Mardi“, romanzo in cui comincia a distaccarsi dalle storie avventurose basate sulle sue esperienze in mare per esplorare nuovi territori più immaginativi e filosofici. Pur iniziando come un’avventura marina, simile ai suoi libri precedenti, “Mardi” presto si trasforma in un’opera allegorica e utopica. Il protagonista e i suoi compagni esplorano un arcipelago di isole immaginarie, ciascuna delle quali rappresenta un aspetto della società o della condizione umana. Mardi è considerato il primo vero tentativo di Melville di scrivere un’opera più ambiziosa e complessa, in cui la narrazione avventurosa si intreccia con riflessioni filosofiche e sociali. Tuttavia, il pubblico e la critica del tempo non apprezzano questa svolta più sperimentale, e il romanzo non ha alcun successo.
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