«Se andrai in bicicletta, non potrai avere figli.»
«Tu non vai in bicicletta, eppure non puoi avere figli.»
In Arabia Saudita, paese molto rigido nell’osservare i dettami dell’integralismo islamico, persino la scelta di andare in bicicletta può compromettere la reputazione di una donna.
Divieto illogico agli occhi di una ragazzina ribelle decisa ad abbattere i limiti imposti dalla sua cultura. Acuta osservatrice del mondo angusto che la circonda, la protagonista di quello che può essere considerato un cult della storia del cinema, vive nella periferia di Riyadh, ascolta la musica pop, indossa scarpe da ginnastica e a volte non porta il velo.
Wadjda, questo il nome della ragazzina poco incline al rispetto delle regole prescritte dalla religione, rincorre il sogno di guidare una bicicletta per gareggiare con il suo amico e compagno di giochi Abdullah. Ed è proprio questo desiderio proibito a spingerla ad intraprendere un percorso di ribellione silenziosa con inflessibile tenacia.
Nonostante non venga aiutata dalla madre nel progetto di raccogliere il denaro necessario per l’acquisto di una scintillante bicicletta verde vista in un negozio di giocattoli, Wadjda, interpretata dalla bravissima attrice esordiente Waad Mohammed, sente di avere la certezza di riuscire a coronare il suo sogno e chiede in modo imperioso al proprietario di “non vendere la sua bicicletta a qualcun altro.”
Con questa frase lei ha già vinto, ha già sfidato le ottuse convenzioni che opprimono il mondo femminile arabo e la rigida morale del fondamentalismo islamico che persegue il dissenso in qualsiasi forma si manifesti.
L’unico modo per racimolare la somma necessaria all’acquisto è quella di partecipare ad una gara di Corano che prevede un premio in denaro. E Wadjda, pur non nutrendo un grande interesse per le materie religiose, s’iscrive alla gara fingendo di essere cambiata, data la pessima fama che si era costruita a scuola.
Ammonita più volte dalla preside, l’inflessibile e frustrata signorina Haas, per certe futili e innocenti trasgressioni ( possesso di cassette con canzoni d’amore e braccialetti di squadre di calcio), decide dunque di imparare a recitare superbamente i versetti del Corano.
La rivoluzione attuata dalla ragazzina è piuttosto insolita: ossequiare le regole imposte, rappresentate dalla gara di Corano, per demolirle da dentro e dichiarare coraggiosamente, al termine della gara, tra lo stupore di studentesse e insegnanti, che la vincita le sarebbe servita per l’acquisto di una bicicletta.
Una ragazzina volitiva e controcorrente lancia una singolare sfida ai pregiudizi di una società dominata da uomini che umiliano continuamente la dignità femminile.
La stessa madre di Wadjda (Reem Abdullah), pur lavorando, è costretta a pagare un autista arrogante e maleducato per raggiungere il posto di lavoro, dato che alle donne non è permesso mettersi alla guida di un’automobile.
La donna è ossessionata dal suo aspetto fisico che cura in modo maniacale, pur essendo bellissima, per paura di perdere il marito a cui non è riuscita a dare un figlio maschio.
Emblematico il dialogo tra madre e figlia riguardo la disputa sulla sconvenienza di andare in bicicletta.
«Se andrai in bicicletta, non potrai avere figli.»
«Tu non vai in bicicletta, eppure non puoi avere figli.»
Film imperdibile che mette in crisi l’intera impalcatura dell’Islam fondamentalista, è stato diretto da una donna saudita, Haifaa Al-Mansour, che, nonostante il tema drammatico affrontato, riesce a denunciare la condizione femminile del proprio paese in modo leggero, spesso divertente. La regista ha girato il film nascosta dentro un pulmino ed è stata costretta a chiedere il permesso della casa reale per poterlo realizzare. Prima regista e scenografa saudita della storia in un paese privo di cinema e dove la “voce delle donne non deve uscire dalla porta di casa“, lancia un messaggio di speranza rivolto alle donne.
Non a caso le figure maschili s’intravedono appena, figure secondarie di poco spessore in un film che focalizza la sua attenzione sulle donne.
Unica eccezione il compagno di giochi della protagonista che, ancora incontaminato dal bombardamento educativo, asseconda l’amica e la sostiene moralmente in quel sogno.
Il tocco della macchina da presa è lieve, inquadra quasi timidamente le compagne di Wadjda, ma indugia in profondità su quei particolari che mostrano l’ipocrisia presente laddove la religione interferisce nelle scelte individuali della gente. Le severe insegnanti delle ragazze portano le scarpe con i tacchi, l’infelice e autoritaria preside è costretta a vivere il proprio amore in modo clandestino, benché la sua tresca con l’amante ( chiamata scherzosamente la visita del “ladro notturno“) sia nota a a tutti.
Il messaggio della regista è molto chiaro: il cambiamento può avvenire solamente dalle donne e dalla loro tenacia interiore. Fino a quando esisteranno donne che asseconderanno leggi anacronistiche e incomprensibili e opprimeranno altre donne per dar sfogo alle loro frustrazioni, nulla mai potrà mutare. Fino a quando esisteranno ipocrite e squallide signorine Haas tutto resterà immobile e in mano a un Dio invadente e misogino inventato dagli uomini per esercitare il loro potere.
La madre della piccola Wadija trae insegnamento dalla ribellione della figlia e, tradita dal marito, nonostante abbia seguito con dedizione il comportamento imposto alle donne arabe, diventa complice della sua piccola.
Da qualche mese alle donne saudite è finalmente consentito andare in bicicletta, ma la strada da percorrere per una reale emancipazione, secondo la regista del film, è ancora lunga.
All’intensa protagonista è stato dato il permesso di recitare dai genitori solamente perchè, ancora undicenne, non si può considerare “donna a tutti gli effetti“. Poi la spingeranno a cercare quello che definiscono “un lavoro rispettabile“.
Non è dello stesso parere Haifaa che spera in cuor suo in una lotta della ragazzina per realizzare i propri sogni, così come il personaggio da lei interpretato e che, come dichiarato dalla stessa regista, presenta elementi autobiografici non molto difficili da intuire.
Il problema della mancanza di unione tra donne non è di certo una prerogativa saudita. Le amicizie femminili vere sono molto rare e spesso avvelenate da sentimenti ancestrali di competizione e invidia.
La donna occidentale ritiene di essere libera, ma, nella maggioranza dei casi, non lo è. Quando la smetteremo di adeguarci acriticamente a pubblicità che ci vogliono sempre belle, giovani, sorridenti, brave in cucina e sul lavoro? La donna occidentale è indubbiamente più libera della donne arabe. Ma ancora oggi non si può considerare totalmente emancipata se resta vittima di modelli di bellezza, magrezza e giovinezza irraggiungibili e si sottopone ad interventi estetici per competere con le ragazzine. La libertà non viene donata da nessuno. Siamo noi con la nostra determinazione a scegliere come vivere e decidere se strisciare e adeguarci a modelli imposti da una società apparentemente libera o rifiutare di uniformarci ad atteggiamenti e canoni di bellezza definiti da altri.
Ecco il film completo.
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